Appalti

Consiglio di Stato: massimo ribasso scelta residuale, ricorsi senza aspettare l'esito della gara

di Roberto Mangani

Il ricorso al giudice amministrativo volto a contestare la scelta dell'ente appaltante di utilizzare il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso – che ha carattere residuale nel sistema del Dlgs 50/2016 – deve essere proposto immediatamente, senza cioè attendere gli esiti della procedura di gara. Ciò in quanto la relativa clausola contenuta nel bando deve ritenersi immediatamente lesiva della posizione dei concorrenti, in quanto pregiudica in via attuale e diretta la possibilità che va riconosciuta agli stessi di formulare un'offerta sulla base di un criterio di aggiudicazione che consenta di valutare non solo il prezzo ma anche i contenuti qualitativi dell'offerta stessa.

È questo l'importante principio sancito dal Consiglio di Stato, Sez. III, 2 maggio 2017, n. 2014, che ha una portata innovativa in quanto rivede alcuni orientamenti fino ad oggi consolidati in tema di onere di immediata impugnazione di determinate clausole del bando di gara, alla luce dei più recenti mutamenti normativi, con particolare riferimento a quelli intervenuti con il Dlgs.50.

Il caso
Un'azienda sanitaria aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento della somministrazione di personale infermieristico e tecnico – sanitario. Nel bando veniva previsto il ricorso al criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, sul presupposto che il servizio in questione rientrasse nella categoria dei servizi con caratteristiche standardizzate, per i quali l'articolo 95, comma 4, lettera b) del D.lgs. 50 consente – in via derogatoria alla regola generale – il ricorso al criterio di aggiudicazione del prezzo più basso.
Questa scelta è stata contestata da un concorrente, che ha impugnato il bando sotto questo specifico profilo, sostenendo che il ricorso da parte dell'ente appaltante a un criterio di aggiudicazione ritenuto illegittimo – nel caso di specie il prezzo più basso - lederebbe in via immediata e diretta il "diritto" degli operatori economici di formulare un'offerta sulla base invece del diverso criterio – l'offerta economicamente più vantaggiosa – che è il solo legittimamente utilizzabile.

La posizione del Tar
Il ricorso è stato respinto dal giudice amministrativo di primo grado, che lo ha dichiarato inammissibile. Ciò in quanto l'utilizzo di tale criterio, non precludendo la partecipazione alla gara dell'impresa né impedendogli di formulare un'offerta concorrenziale, non sarebbe suscettibile di immediata impugnazione.
Tale motivazione assunta dal giudice di primo grado a sostegno della sua decisione di dichiarare il ricorso inammissibile trova il suo fondamento nei principi che si sono consolidati nel tempo a partire dalla nota sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2003.
Tali principi si riassumono nell'orientamento secondo cui la regola generale è che le clausole del bando di gara vanno impugnate unitamente agli atti che di esse fanno applicazione, perché solo in tale momento si produce la lesione attuale e concreta della posizione del concorrente.

Fanno eccezione a questa regola le clausole del bando – che vanno quindi impugnate immediatamente - che hanno un effetto immediatamente escludente o che impongono oneri ai concorrenti manifestamente incomprensibili o sproporzionati o, ancora, che rendono impossibile la stessa formulazione dell'offerta. Tra tali clausole non rientrano quelle che incidono sulla formulazione dell'offerta, quali appunto quelle relative al criterio di aggiudicazione prescelto dall'ente appaltante. Secondo questo orientamento, infatti, tali clausole producono il loro eventuale effetto lesivo per il concorrente solo all'esito negativo della procedura di gara. Di conseguenza, esse devono essere impugnate unitamente al provvedimento di aggiudicazione che ne fa applicazione, non sussistendo quindi per le stesse un onere di impugnazione immediata che, se proposta, va dichiarata inammissibile.

Il mutamento di indirizzo del Consiglio di Stato
La sentenza del Consiglio di Stato rivisita in maniera significativa questo orientamento, ritenendo necessario sottoporre i principi affermati in passato a una «interpretazione evolutiva idonea a conservarne la coerenza rispetto alle profonde trasformazioni che hanno investito il diritto degli appalti mutandone impostazione e prospettive».
Questa interpretazione evolutiva trova fondamento in alcune novità che il Consiglio di Stato elenca come rappresentative del mutamento di prospettiva della disciplina complessiva dei contratti pubblici.

La prima novità segnalata riguarda la sanzione della nullità che il legislatore ha previsto per le clausole di esclusione dalla gara che l'ente appaltante abbia eventualmente stabilito, diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste da specifiche disposizioni normative (articolo 83, comma 9 del D.lgs. 50, che ha riprodotto quanto già contenuto nell'articolo 46, comma 1 – bis del D.lgs. 163/2006). Secondo il Consiglio di Stato la sanzione della nullità – per sua natura rilevabile d'ufficio dal giudice senza limiti di tempo - in luogo di quella dell'annullabilità degli atti di gara illegittimi rappresenta l'indice della volontà del legislatore di modificare la prospettiva complessiva. Tale mutamento va nel senso di superare l'impostazione secondo cui l'illegittimità colpisce esclusivamente il concorrente leso nella sua posizione, per accoglierne una diversa e più ampia in cui ciò che ciò che viene leso è anche un interesse più generale alla regolarità della gara.

La seconda innovazione segnalata è quella relativa alla norma già contenuta nell'articolo 211, comma 2 del Dlgs 50 – in realtà abrogata dal D.lgs. 57/17 – che attribuiva all'Anac un potere di raccomandazione vincolante all'ente appaltante ai fini della rimozione, in regime di autotutela, degli atti di gara ritenuti illegittimi. Questa forma di «autotutela doverosa» viene interpretata dal Consiglio di Stato come finalizzata a ripristinare il corretto svolgimento delle procedure di gara, in un'ottica che trascende l'interesse del singolo partecipante per sconfinare in un interesse più generale di tutti i concorrenti e, in ultima analisi, dell'intera collettività.

Ancora più significativa rispetto alla questione oggetto della decisione è la terza novità, relativa all'onere di impugnazione immediata dei provvedimenti di ammissione e di esclusione alla/dalla gara introdotto dall'articolo 204, comma 1, lettera b) del Dlgs. 50 (che ha modificato all'articolo 120 del Codice del processo amministrativo). Anche in questo caso vi è un netto cambio di prospettiva da parte del legislatore, nel senso che da un sistema in cui l'interesse a ricorrere contro i provvedimenti di ammissione/esclusione diveniva concreto e attuale solo all'esito della procedura di gara si è passati a un'impostazione in cui viene imposto l'onere di immediata impugnazione di tali provvedimenti. Indice, anche sotto questo profilo, della volontà del legislatore di attribuire un rilievo autonomo all'interesse (generale) al corretto svolgimento della gara, che coesiste con l'interesse (particolare) del concorrente che si ritenga leso dalla decisione dell'ente appaltante.

Ultimo elemento di novità – da ritenere peraltro dirimente ai fini della controversia oggetto del giudizio – è quello introdotto dal Dlgs. 50 in merito ai criteri di aggiudicazione da utilizzare per l'affidamento dei contratti pubblici. A fronte del sistema precedente che si fondava sulla sostanziale equiparazione dei due criteri del prezzo più basso e dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il Dlgs. 50 ha operato una scelta radicalmente diversa.
L'articolo 95 ha infatti individuato il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa come quello cui le stazioni appaltanti devono ricorrere in via ordinaria, mentre l'utilizzo del diverso criterio del prezzo più basso ha carattere residuale, essendo confinato a ipotesi specificamente indicate dal legislatore.

L'insieme delle novità legislative maturate negli ultimi tempi porta il Consiglio di Stato a concludere che nell'attuale disciplina dei contratti pubblici si è andata configurando una tutela del "bene della vita" – cioè dell'interesse meritevole di protezione - diversa e più ampia di quella tradizionale. Mentre in passato tale tutela si identificava con l'interesse specifico del concorrente a conseguire l'aggiudicazione del contratto, oggi vi è un interesse più ampio che ricomprende il diritto di tutti i concorrenti di partecipare alla gara sulla base delle regole individuate dal legislatore.

Tale diritto, relativamente all'ambito specifico dei criteri di aggiudicazione, si sostanzia nella possibilità – che non può essere illegittimamente preclusa ai concorrenti - di vedere valutata la propria offerta non solo sotto il profilo del prezzo, ma anche in relazione agli elementi qualitativi della stessa. Detto diversamente, l'apparato regolatorio vigente comporta che il "bene della vita" in capo ai concorrenti alla gara che l'ordinamento vuole proteggere è quello di consentire una competizione in cui le offerte vengono confrontate sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo.

L'insieme delle considerazioni esposte porta a una naturale conclusione sotto il profilo strettamente processuale: sussiste l'onere di immediata impugnazione della clausola del bando che preveda il ricorso – ritenuto illegittimo - al criterio di aggiudicazione del prezzo più basso. E ciò in quanto la posizione del concorrente – che si sostanzia nell'interesse a concorrere alla gara sulla base di un criterio che consenta anche la valutazione dei profili qualitativi dell'offerta – subisce una lesione attuale e concreta già al momento della scelta del criterio di aggiudicazione, senza necessità di attendere gli esiti della gara.

A conferma della correttezza di questa soluzione, il Consiglio di Stato evidenzia come che la tesi opposta – cioè dell'impugnazione successiva unitamente al provvedimento di aggiudicazione, secondo la tradizionale impostazione che trova fondamento nella pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 1/2003 – finirebbe per depotenziare due principi cardine introdotti dal Dlgs 50.

Il primo principio è quello che individua quale criterio di aggiudicazione ordinario l'offerta economicamente più vantaggiosa, relegando il prezzo più basso a ipotesi residuali. Questa scelta del legislatore rischierebbe di rimanere priva di concreta effettività se si consentisse che il rispetto della regola indicata possa essere invocato solo a valle del provvedimento di aggiudicazione.

Il secondo pilastro del nuovo sistema normativo che verrebbe meno è quello che incentra il sistema dei ricorsi giurisdizionali su una logica bifasica, in cui la prima fase si esaurisce nelle contestazioni (e nei relativi giudizi) che attengono alla fase delle ammissioni ed esclusioni, che non possono più essere prese in considerazione nella seconda fase, in cui le eventuali illegittimità da far valere in giudizio sono solo quelle che attengono allo svolgimento della procedura di gara in senso stretto. E' infatti evidente che, poiché l'eventuale illegittimità del bando sotto il profilo del criterio di aggiudicazione prescelto rappresenta un aspetto prioritario rispetto al tema delle ammissioni/esclusioni, la relativa contestazione va sollevata nella prima fase, per evitare che sia vanificato l'intento acceleratorio e semplificatorio del contenzioso che il legislatore ha inteso perseguire.

Gli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera. Esaurito secondo l'articolato ragionamento sopra riportato la questione preliminare relativa all'ammissibilità del ricorso, il Consiglio di Stato risolve con poche e puntuali affermazioni la questione di merito.
La pronuncia si esprime nel senso dell'illegittimità dell'utilizzo nel caso di specie del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso. L'appalto di cui si discute si caratterizza infatti per essere ad alta intensità di manodopera; per questa categoria di appalti l'articolo 95, comma 3 prevede quale unico criterio di aggiudicazione utilizzabile quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Né vale invocare – come ha fatto l'ente appaltante - il successivo comma 4, che in relazione ai servizi con caratteristiche standardizzate consente il ricorso al criterio del prezzo più basso.

Secondo il Consiglio di Stato le due disposizioni si collocano in rapporto di specie rispetto al genere, con la conseguenza che la prima prevale sulla seconda. Ne deriva che un servizio ad alta intensità di manodopera va comunque aggiudicato facendo ricorso al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche se nel servizio stesso siano altresì rinvenibili i caratteri della standardizzazione.

La sentenza del Consiglio di Stato

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