Appalti

Nuovo codice/2. L'inchiesta di Napoli conferma le falle della riforma sulle commissioni di gara

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di Mauro Salerno

C'è un punto dell'inchiesta della procura di Napoli sugli appalti truccati a Santa Maria Capua Vetere che tocca da vicino l'efficacia del nuovo codice appalti nella lotta alla corruzione. Il punto è delicato, ma in qualche modo esemplare dei "buchi" che si rischia di lasciare aperti decidendo di concentrare l'attenzione sulle grandi opere.

L'inchiesta dei magistrati napoletani è partita dai controlli sulla gara per l'appalto di recupero del Palazzo Teti Maffuccini. Edificio situato a Santa Maria Capua Vetere, dove nel 1860 fu firmata la resa dei Borbonici nel processo che ha portato all'Unità d'Italia. Valore dell'appalto: circa due milioni.

L'importo è evidentemente inferiore alle soglie europee (5,2 milioni per i lavori), ma comunque sufficiente a muovere gli interessi del malaffare, con pagamento di tangenti e interventi sui commissari di gara (interni alle amministrazioni) per "pilotare" l'appalto. Un appalto integrato (progetto e lavori) dunque da assegnare all'offerta economicamente più vantaggiosa. Un criterio che, oltre al prezzo (parametro oggettivo), tiene conto anche dell'offerta tecnica (migliorie al progetto, aspetti di esecuzione in cantiere) e dunque lascia ampi margini di discrezionalità nelle scelte dei commissari.

Proprio pensando ai fenomeni di corruzione diffusa, e alla preferenza dell'offerta più vantaggiosa rispetto al masismo ribasso, la legge delega per la riforma degli appalti approvata dal Parlamento ha imposto di scegliere i commissari di gara a sorteggio all'interno di un albo nazionale istituito e gestito dall'Anac. Niente più commissari interni alle Pa, dunque. Ma nomina di soggetti esterni, più difficili da "addomesticare". Il codice, fin dalla prima versione varata dal Governo il 3 marzo, ha scelto di limitare questo obbligo soltanto alle procedure di importo superiore alle soglie comunitarie. Nel caso dei lavori i commissari di gara esterni devono essere chiamati solo oltre i 5,2 milioni.

Inutile la richiesta del Parlamento di allargare l'obbligo di sorteggiare i commissari di gara a tutti gli appalti sopra i 150mila euro. Inascoltata, su questo specifico punto è stata anche la voce del numero uno dell'Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone che, in audizione al Parlamento, ha chiesto di cambiare la norma, sottolineando che « l'uso delle commissioni esterne solo sopra la soglia comunitaria non è in linea con la legge delega». Niente da fare: troppo costoso per le amministrazione pagare i gettoni ai commissari esterni, che anche nella versione finale del codice, entrata in vigore il 19 aprile, verranno chiamati solo per i grandi appalti.

Dunque, questa è la riflessione, anche ammettendo per assurdo che per il caso finito al centro dell'inchiesta di Napoli fosse già stato in vigore il nuovo codice nulla sarebbe cambiato. Le procedure per l'assegnazione dell'appalto sarebbero state perfettamente identiche a quelle applicate prima della riforma varata il 19 aprile. E il paletto dei commissari di gara nominati dall'Anac, ed estratti a sorteggio dalle Pa, sarebbe risultato del tutto inapplicabile.

È vero, come è anche stato sostenuto che, discendendo dall'obbligo di applicare anche in Italia le nuove direttive europee, il nuovo codice debba innanzitutto occuparsi degli appalti che superano le soglie di rilievo comunitario. Ma, come hanno rilevato il Parlamento e Cantone, nulla vieta di imporre regole stringenti anche per i contratti che stanno sotto queste soglie . È tutto da dimostrare che il paletto dei commissari a sorteggio si dimostri una formula efficace contro i tentativi di pilotare le gare. Ma invocare il cosiddetto "divieto di gold plating", ovvero di imporre standard più stringenti di quelli previsti dalle regole Ue, soprattutto nel campo della lotta alla corruzione negli appalti - in Italia - rischia di suonare come un alibi rispetto alla scelta di lasciare tutto com'è.

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