Appalti

Cantieri, investimenti in crescita anche nel 2020: «Ma l'uscita dalla crisi non è vicina»

Osservatorio Ance: rialzo del 2,3% nel 2019 e dell'1,7% nel 2020. Buia: non illudiamoci, servono misure concrete. Polemica concessionari-Anas sulla manutenzione

di Mauro Salerno

Nel 2019 gli investimenti in costruzioni sono cresciuti del 2,3% rispetto al 2018. Si tratta di un nuovo segno positivo dopo il +1,7% registrato un anno fa, ma ancora insufficiente «a segnare una vera svolta e di stabilizzare un settore che negli ultimi 11 anni si è ridotto ai minimi storici». I dati e l'analisi arrivano dall'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori edili, che oggi ha presentato a Roma il suo l'osservatorio congiunturale sull'industria delle costruzioni. Secondo l'Ance anche quest'anno il settore chiuderà con il segno positivo, mettendo a segno un rialzo dell'1,7%. Segnali positivi che i costruttori giudicano troppo «timidi per considerare la crisi finita», visto che tra il 2007 e il 2019 gli investimenti nel settore sono crollati del 35,3 per cento. «Non illudiamoci che il mondo delle costruzioni sia uscito dalla crisi, mancano le basi per dire che siamo al sicuro. Le imprese continuano a . Buia ha stigmatizzato «i troppi ritardi» causati dalla burocrazia, le risorse «troppo scarse» per la manutenzione e anche l'incapacità di gestire le emergenze, ricordando che «a tre anni e mezzo dal primo terremoto del Centro Italia ha ancora macerie da rimuovere, con solo 49 milioni spesi sui 2,17 miliardi stanziati per la ricostruzione». «Chiediamo - ha detto - misure concrete per semplificare un settore ingabbiato da una burocrazia che lo rende inefficiente e inoperoso, altrimenti non usciremo mai stabilmente da questa crisi».

I primi timidi segnali positivi
A pesare sulle tendenze, secondo i costruttori, è l'indebolimento della produzione segnato a fine dell'anno scorso, dopo una fiammata iniziale. Nel dettaglio i migliori risultati si sono avuti nel settore delle nuove abitazioni (investimenti in crescita del 5,4%) e delle opere pubbliche (+2,9%). Quest'anno, invece, ci si aspetta una crescita in particolare dalle opere pubbliche (+4%), in linea con l'aumento dei bandi registrato negli ultimi due anni, e di nuovo dalle case di nuova realizzazione (+2,5%). Non ci sono dati negativi: la performance peggiore è lo stallo del settore privato non residenziale (industria, terziario) che chiuderà con un +0,4 per cento.

Senza scosse uscita dalla crisi nel 2045
Il problema è che con una previsione di crescita dell'1,7% nel 2020, i costruttori segnalano che «continuando di questo passo» per uscire dalla crisi che attanaglia da undici anni il settore «bisognerà aspettare il 2045». Anche gli effetti dell'ultima legge di bilancio non vengono considerati positivi per gli investimenti nei cantieri. «La legge di bilancio per il 2020 - si legge nell'osservatorio - ha penalizzato la spesa in conto capitale, destinando gli spazio finanziari concordati con la commissione europea a spese di natura corrente, nel tentativo, più volte fallito, di sostenere la crescita economica attraverso i consumi, piuttosto che con gli investimenti pubblici».

Le opere pubbliche
Il 2019 è stato il primo anno positivo per gli investimenti in opere pubbliche, con un +2,9% giudicato però anche qui solo un primo passo, visto che si parla « di un comparto che ha perso complessivamente dal 2005 al 2019 il 58% degli investimenti». A trainare la crescita è stata la ripresa della spesa in conto capitale effettuata dai Comuni, cresciuta del 16% «grazie allo sbocco degli avanzi di amministrazione degli enti locali e ai programmi di spesa previsti nelle ultime leggi di bilancio». Male invece gli investimenti delle grandi stazioni appaltanti, come l'Anas, che «ha speso il 39% degli investimenti previsti». In ritardo anche i programmi di investimento dei concessionari autostradali che per la manutenzione di 7.317 tra ponti, viadotti e gallerie hanno «speso soltanto il 2,2% degli investimenti totali previsti».

La polemica sulle manutenzioni delle strade
Il dato, citato dall'Ance e ripreso dall'ultima relazione annuale dell'Anac non è passato inosservato. Anzi ha scatenato un botta e risposta con i concessionari e tra i concessionari e l'Anas. I dati forniti dall'Ance sull'andamento delle spese di manutenzione dei concessionari
autostradali italiani non sono corretti, in quanto basati su un calcolo errato dell'Anac», ha attaccato l'Aiscat, l'associazione dei concessionari autostradali. «In particolare, -segnala l'Aiscat - Anac aveva messo impropriamente in relazione tra loro le spese di manutenzione
con le spese complessive delle concessionarie, includendo anche quelle per investimenti. È invece risaputo e certificato che le concessionarie italiane - sottolinea Aiscat - spendono molto più di Anas in manutenzione. Il complesso delle concessionarie italiane aderenti ad Aiscat spende in manutenzione per chilometro di infrastruttura una cifra mediamente superiore a 100 mila euro all'anno (periodo 2013-2017), pari a circa 5 volte di più rispetto a quanto spende Anas sulla propria rete (19 mila euro/anno nel 2013-2016)». Parole che non hanno tardato a innescare la replica dell'Anas, secondo cui la spesa sulla propria rete autostradale non a pedaggio (1.300 km) è pari a 98mila euro all'anno e raggiunge 128mial euro all'anno sull'A2 del Mediterraneo (la ex Salerno - Reggio Calabria). «Anche sulle strade statali - aggiunge l'Anas - la spesa è in crescita: nel 2019, infatti, Anas ha speso in manutenzione programmata 647 milioni (+13% rispetto all'anno precedente)».

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