Appalti

Subappalto, meno vincoli ai contratti continuativi di cooperazione

di Roberto Mangani

La disposizione contenuta all'articolo 105 del D.lgs. 50/2016 secondo cui non costituiscono subappalto le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata all'aggiudicazione dell'appalto non può essere interpretata in senso restrittivo, limitandone l'applicazione solo ad attività secondarie e ancillari nell'ambito dell'appalto principale.

In quest'ottica, si può fare ricorso a questa modalità di cooperazione per soddisfare il requisito richiesto dal bando di gara consistente nel possesso di una sede operativa localizzata nella circoscrizione territoriale dell'ente committente dove devono essere eseguite le prestazioni.

Si è espresso in questo senso il Consiglio di Stato, Sez. III, 18 luglio 2019, n. 5068, che così interviene attribuendo una portata ampia a una previsione che fin dall'introduzione ha suscitato molti dubbi in merito alla sua corretta interpretazione.

Il fatto
Un ente appaltante aveva bandito una procedura aperta per il servizio di manutenzione e riparazione degli automezzi costituenti il parco macchine di proprietà dell'ente stesso.

Tra i requisiti richiesti ne veniva individuato uno riconducibile alla capacità tecnica e professionale, consistente nel possesso di una sede operativa ubicata entro un raggio di cinque km dalla sede dove dovevano essere svolte le prestazioni.
Il concorrente risultato aggiudicatario, non disponendo di tale sede operativa, aveva dichiarato di non voler ricorrere né al subappalto né all'avvalimento. Aveva invece optato per la modalità indicata dall'articolo 105, comma 3, lettera c) bis del D.lgs. 50/2016, contando cioè, al fine di soddisfare il requisito indicato, su un contratto di collaborazione preesistente concluso con un'impresa che disponeva della sede operativa nei termini richiesti dal bando di gara.

Un concorrente partecipante alla gara ha impugnato l'aggiudicazione, ritenendo che la soluzione individuata dall'aggiudicatario non fosse conforme alla normativa. La previsione di cui quest'ultimo ha inteso fare applicazione riguarderebbe infatti l'esecuzione di prestazioni contrattuali di carattere secondario o sussidiario, non potendo certamente essere utilizzata per supplire alla carenza di un requisito quale quello del possesso di una sede operativa avente determinate caratteristiche.

La norma
La norma che viene in considerazione è dunque quella contenuta all'articolo 105, comma 3, lettera c- bis, secondo cui non si configurano come attività affidate in subappalto le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata all'aggiudicazione.
La previsione non è di facile interpretazione. Se infatti la si considera in modo isolato e nel suo significato strettamente letterale potrebbe avere un effetto dirompente rispetto alla disciplina vincolistica sul subappalto. L'esecuzione di prestazioni in virtù di contratti di cooperazione, servizio e/o fornitura stipulati prima dell'indizione della gara potrebbe avvenire senza rispettare alcun limite e vincolo dettato dalla disciplina sul subappalto.

È anche per limitare tali effetti che parte della giurisprudenza ha offerto una lettura restrittiva della norma. E' stato così affermato che le prestazioni oggetto dei contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sono rivolte a favore dell'operatore economico affidatario del contratto di appalto con l'ente committente e non invece direttamente a favore di quest'ultimo, come avviene nel caso del subappalto (Cons. Stato, Sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7256). In realtà la distinzione che viene operata non è chiara, giacché nell'ambito dell'appalto le prestazioni oggetto di subaffidamento vengono rese comunque a favore dell'appaltatore, che è l'unico soggetto titolare del rapporto contrattuale con l'ente appaltante. Non si capisce quindi la distinzione che sotto questo profilo viene delineata tra subappalto e prestazioni rese in virtù dei citati contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura.

Altra giurisprudenza ha invece affermato che la norma in questione deve essere interpretata nel senso che le prestazioni rese in virtù dei citati contratti che non vanno considerate come affidate in subappalto devono essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell'oggetto dell'appalto. Una diversa lettura costituirebbe una evidente e inammissibile deviazione dal principio di personalità nell'esecuzione dell'appalto in assenza di ogni forma di tutela degli interessi pubblici, il che farebbe dubitare della coerenze della norma con le disposizioni comunitarie e anche costituzionali (Tar Lazio, Sez. III, 29 gennaio 2019, n. 1135; Tar Sicilia, Sez. III, 6 dicembre 2018, n. 2583).

La posizione del Consiglio di Stato
La posizione restrittiva assunta dalla giurisprudenza richiamata non è stata condivisa dal Consiglio di Stato. Secondo quest'ultimo occorre infatti garantire l'effetto utile della previsione, risultato che non sarebbe conseguito qualora si circoscrivesse l'utilizzo dell'istituto esclusivamente al subaffidamento di prestazioni secondarie e/o sussidiarie o addirittura non coincidenti contenutisticamente con quelle oggetto dell'appalto.
Infatti la previsione in questione, proprio in quanto derogatoria rispetto alla disciplina del subappalto, non può che avere lo stesso ambito applicativo di quest'ultimo. Dunque le prestazioni che possono essere subaffidate sulla base di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sono tutte quelle oggetto dell'appalto principale.

Quanto al fatto che le prestazioni devono essere rese a vantaggio dell'appaltatore – come specificato dalla norma - il Consiglio di Stato sottolinea come tale previsione vada intesa nel senso che la relazione giuridica del subaffidatario sussiste solo nei confronti dell'appaltatore che, a sua volta, è l'unico responsabile nei confronti dell'ente appaltante. In questo senso risulta fuorviante affermare che l'utilità della prestazione deve essere a esclusivo vantaggio dell'appaltatore, essendo evidente che tale affermazione non può essere intesa in senso materiale ma, appunto, nel senso della relativa relazione giuridica.
Applicando queste affermazioni al caso di specie il Consiglio di Stato conclude nel senso che il requisito richiesto dai documenti di gara, consistente nell'avere la disponibilità di una sede operativa nei pressi della località presso cui devono essere rese le prestazioni, può essere assicurato mediante un contratto continuativo di cooperazione, servizio e/o fornitura stipulato prima dell'indizione della gara.

I margini di incertezza della norma
La conclusione del Consiglio di Stato appare in realtà poco convincente. La norma in questione, nel delimitare il suo ambito applicativo, fa esplicito riferimento alla nozione di prestazioni. Sono queste ultime che possono essere rese a favore del soggetto affidatario (l'appaltatore) in base alle tipologie contrattuali indicate dalla norma stessa.
A fronte di questo chiaro dettato normativo non si comprende come la disposizione in questione possa essere utilizzata non per fornire una prestazione bensì per dimostrare un requisito di cui l'appaltatore è sprovvisto. Quest'ultimo infatti non può in alcun modo essere assimilato a una prestazione, cosicché la dimostrazione del requisito appare fuori dall'ambito applicativo della norma.

Più in generale la previsione in esame risulta oggettivamente circondata da un significativo margine di incertezza in merito all'individuazione delle sue corrette modalità di applicazione. Occorre infatti considerare come tale previsione si ponga in una logica derogatoria del subappalto, consentendo di sottrarre alla disciplina vincolistica dettata per quest'ultimo tutte le prestazioni che vengano subaffidate in base alla stessa.
È evidente che un utilizzo indiscriminato della stessa rischia di porre nel nulla tutti i vincoli e limiti che il legislatore ha dettato per il subappalto. Da qui i tentativi di limitarne la portata posti in essere da una parte della giurisprudenza che tuttavia, come evidenziato, non tengono conto del tenore letterale della norma.

Quest'ultima parla genericamente di prestazioni, rese in base a tre diverse tipologie di contratto: continuativo di cooperazione, di servizio e di fornitura. Appare quindi indubbio che l'istituto in questione possa trovare ampio spazio negli appalti di forniture e servizi, in cui le prestazioni da parte dei subaffidatari possono essere svolte in virtù di una delle tre tipologie di contratti sopra elencate.
Più problematica si presenta la questione con riferimento agli appalti di lavori. Il subaffidamento di lavori non può evidentemente avvenire attraverso contratti di fornitura e servizi; resta da capire se possa essere idoneo allo scopo il contratto continuativo di cooperazione, che in realtà appare un contratto del tutto atipico e dai contorni indefiniti. In linea generale non sembra potersi escludere che a tale tipologia di contratto si possa fare ricorso per subaffidare lavori, potendosi delineare la tipologia contrattuale in questione come una sorta di accordo quadro stipulato a prescindere dal singolo appalto e quindi ai fini dell'esecuzione, mediante subaffidamento, di lavori facenti parte di una pluralità indistinta di appalti.
Resta la questione che accogliendo questa interpretazione viene nei fatti aggirata la disciplina vincolistica sul subappalto, essendo sufficiente stipulare uno dei contratti indicati dalla norma antecedentemente all'avvio della gara per procedere a subaffidamenti che restano fuori dal capo applicativo della disciplina sul subappalto.

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