Appalti

Sblocca-cantieri, poca chiarezza e nuovo rischio contenzioso dalla riforma dei motivi di esclusione

di Alessandro Zuccaro (*)

Significative incertezze investono le modifiche apportate dal decreto Sblocca-cantieri ai motivi di esclusione disciplinati dall'art. 80 del Codice. La disposizione costituisce da sempre la base giuridica di un voluminosissimo contenzioso che, le modifiche introdotte, corrono il rischio di incrementare.

Poche sono di fatti le notazioni di merito o le novità capaci di destare un interesse positivo.
La prima riguarda la modifica apportata al co. 2 che, richiamando espressamente quanto previsto dall'art. 34-bis, co. 6 e 7 del d.lgs. n. 159/2011, determina l'allineamento, più volte auspicato dall'Anac , tra l'ambito di applicazione soggettivo delle condanne penali rilevanti ai fini delle procedure di gara e quello dei controlli antimafia rispetto alle società a capitale ristretto.
La seconda, che però dovrà esser verificata alla luce della prassi e del contenzioso che certamente ne deriverà, è l'inserimento, al co. 5 del medesimo art. 80 della lett. c-quater). La norma include il grave inadempimento posto in essere nei confronti di uno o più subappaltatori riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato tra le situazioni che assumono rilievo ai fini dell'ammissione in gara.

Per il resto, le criticità emergenti dalla disamina del testo varato dal Parlamento sono molteplici e sono tutte particolarmente significative.

Un primo elemento critico riguarda la mancata conversione della modifica che il testo originariamente adottato dal Governo apportava al co. 4. La disposizione, infatti, riconosceva alle stazioni appaltanti il potere di escludere dalle procedure di gara gli operatori in caso di violazione di obblighi di pagamento di imposte o tributi anche se non definitivamente accertata ma comunque adeguatamente dimostrata. La soluzione mirava chiaramente a soddisfare le indicazioni emerse nell'ambito della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea . Certo, come segnalato dall'Anac, sarebbe stato necessario adeguare la norma in modo da circostanziare i poteri di esclusione in un'ottica di maggiore proporzionalità, ma aver lasciato cadere la modifica non consente certo di risolvere le criticità già emerse nel dialogo con la Commissione.

Altro tema critico riguarda il mancato coordinamento tra quanto previsto dai nuovi co. 10 e 10-bis dell'art. 80 e quanto stabilito, invece, dall'art. 317-bis del codice penale in merito all'interdizione da applicare, nel caso in cui la sentenza di condanna in sede penale si limiti a stabilire la durata della pena principale, comminando la reclusione per un tempo non superiore a due anni.
Ebbene con riferimento a questa specifica ipotesi, a seguito delle modifiche varate dal Parlamento, le disposizioni citate appaiono particolarmente contraddittorie. In tal caso, infatti, ai sensi di quanto previsto dal co. 10 dell'art. 80, l'interdizione dovrebbe essere pari a sette anni; secondo quanto previsto dal successivo co. 10-bis, la medesima interdizione, invece, dovrebbe avere durata pari alla durata della pena principale (e quindi non potrebbe essere superiore a due anni); mentre, stando a quanto previsto dall'art. 317-bis c.p., la stessa identica misura interdittiva dovrebbe avere durata non inferiore a cinque e non superiore a sette anni. La difficoltà di coordinamento tra le norme è palese e, peraltro, era puntualmente stata segnalata dall'Anac nell'ambito della propria audizione parlamentare. Ciononostante, la criticità è rimasta tal quale nel testo definitivo ora convertito in legge.

Ulteriori perplessità riguardano lo stesso co. 10-bis nella parte in cui disciplina il regime interdittivo applicabile in caso di situazioni escludenti non derivanti da sentenze penali di condanna. La norma limita espressamente l'applicazione dell'interdizione dalle gare alle sole ipotesi contemplate dal co. 5. Diversamente dal regime previgente, pertanto, è ora escluso che la sanzione possa trovare applicazione nei confronti in caso di violazioni gravi e definitivamente accertate agli obblighi di pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali di cui al co. 4 del medesimo art. 80. La novità, per quanto potrebbe lasciar perplessi in termini di opportunità, appare coerente con quanto previsto dall'art. 57, co. 7 della Direttiva 2014/24/UE che non include, infatti, tali ipotesi tra quelle soggette al periodo massimo di interdizione stabilito dagli Stati Membri .

Nello specifico, la disposizione introdotta dal Legislatore nazionale prevede che tutte le situazioni escludenti di cui al co. 5 (ossia quelle non connesse a condanne penali o a inadempimenti fiscali e previdenziale) siano sanzionate con un'interdizione «pari a tre anni decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza». Stando a quanto stabilito dalla nuova disposizione, inoltre, «nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante» dovrà «tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso».

La norma, tuttavia, appare sproporzionata e priva di coordinamento sia rispetto alle ipotesi contemplate dal co. 5 sia rispetto alla corretta individuazione del momento da cui far decorrere l'interdizione. Ampi e poco circostanziati appaiono inoltre i poteri che le stazioni appaltanti potranno esercitare «nel tempo occorrente alla definizione del giudizio».
La disposizione, infatti, sanziona (o almeno stando agli intenti vorrebbe sanzionare) con un'interdizione di tre anni tutti gli illeciti di cui al co.5 benché per alcuni di essi la soluzione appaia sproporzionata se non confliggente con lo specifico regime per essi previsto.

È sproporzionata, ad esempio, rispetto alle ipotesi concernenti la mancata presentazione della certificazione relativa al rispetto della disciplina in tema di disabili (lett. l, co.5) o ancora rispetto alle ipotesi in cui sussista una situazione di controllo e/o collegamento sostanziale con altro concorrente (lett. m), co.5) o di conflitto di interessi (lett. d), co.5). Tutte queste situazioni, infatti, riguardano illeciti la cui efficacia temporale è circoscritta alla singola gara cui ineriscono. Sarebbe irragionevole, pertanto, disporre l'esclusione da tutte le gare del successivo triennio (ovviamente laddove la ragione escludente che ha determinato l'espulsione originaria sia venuta meno).

La stessa soluzione, poi, è priva di qualsiasi coordinamento con il regime interdittivo previsto dal co. 12 dello stesso art. 80 per le ipotesi in cui l'operatore economico abbia presentato false dichiarazioni o falsa documentazione, come nei casi previsti dalle lett. f-ter) e g) del precedente co. 5. In tali casi, infatti, la durata dell'interdizione non può essere pari a tre anni, ma è (o quanto meno dovrebbe essere) variabile e ha (o quanto meno dovrebbe avere) durata pari a quella di iscrizione al casellario Anac. Manca ogni coordinamento, inoltre, con l'ipotesi di violazione del divieto di intestazione fiduciaria di cui all'art. 17 della legge n. 55/1990 che la lett. h) del co. 5 dello stesso art. 80 sanziona con un'interdizione pari a un anno che, perciò, è incompatibile con quella triennale introdotta dal nuovo co. 10-bis.
Incerta e foriera di dubbi appare, inoltre, l'individuazione del momento dal quale far decorrere il periodo interdittivo. Nello specifico, il co. 10-bis prevede che i tre anni di interdizione decorrano «dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza».
La norma cancella la precedente formulazione del co. 10 che già tanto aveva fatto discutere a mente della quale la sanzione interdittiva decorreva dalla data dell'"accertamento definitivo" della situazione escludente.

La nuova formulazione, tuttavia, alimenta maggiori incertezze della precedente. Non è chiaro, infatti, a quale provvedimento occorra far riferimento. La stessa previsione, inoltre, non risulta coordinata con il coacervo di situazioni contemplate dal precedente co. 5. Non tutte, infatti, finiscono per esser cristallizzate in un provvedimento amministrativo, tanto meno di esclusione. È il caso, ad esempio, dei gravi illeciti professionali ravvisabili in comportamenti gravi tenuti dal concorrente nell'esecuzione di precedenti contratti che normalmente sfociano in risoluzioni contrattuali di natura privatistica. Rispetto a tali ipotesi non ha senso alcuno far decorrere il dies a quo della sanzione interdittiva dalla "data di adozione del provvedimento di esclusione".

Non meno critico appare il mancato coordinamento con quanto previsto dall'art. 57, par. 7 della Direttiva 2024/24/UE che, in netta contrapposizione alla nuova disposizione nazionale, fa decorrere il periodo massimo di interdizione "dalla data del fatto". Rispetto alla precedente formulazione nazionale, pertanto, sarà ben più arduo per la giurisprudenza ricondurre il dettato nazionale nell'ambito di un'interpretazione conforme al quadro eurounitario.

Un ulteriore elemento di incertezza, infine, deriva dall'ultimo periodo del nuovo co. 10-bis laddove stabilisce che "nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante" dovrà "tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso".

La norma mira a porre rimedio ai rilievi formulati dalla Commissione europea che, nell'ambito della procedura di infrazione avviata, aveva ritenuto la precedente formulazione dell'art. 80 incompatibile con quanto previsto dagli artt. 57, par. 4, lett. c) e g) della Direttiva 2014/24/UE e 38, par. 7 lett. c) ed f) "giacché nel caso di offerenti che abbiano contestato in giudizio la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto o concessione" precludeva "alle stazioni appaltanti ogni valutazione circa l'affidabilità di tali offerenti sino a quanto il giudizio non abbia confermato" la precedente risoluzione .
La ratio della nuova disposizione, pertanto, è chiara: evitare che gli operatori economici promuovano azioni giudiziali palesemente infondate contro provvedimenti o risoluzioni suscettibili di determinare l'interdizione al solo scopo di procrastinarne l'applicazione fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza.

Tuttavia, nonostante gli intenti siano per certi versi condivisibili, la norma è formulata in modo troppo ampio e poco circostanziato e finisce per attribuire alle stazioni appaltanti uno spazio di discrezionalità eccessivo che, non è difficile immaginarlo, contribuirà senz'altro a incrementare il contenzioso in materia.

(*) Associate di Pedersoli Studio Legale

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