Il Commento Appalti

Ponte Genova: bene procedure straordinarie, ma senza coesione non si accelera

di Giorgio Santilli

Allarme tempi per il nuovo ponte di Genova e per la ricostruzione di quella parte della città. I rischi che il prolungamento dell’impasse decisionale si traduca in ridimensionamento dell’economia della città e del porto – con riflessi gravi sull’intera economia del Nord - è altissimo. Il decreto legge su cui stanno litigando Lega e M5S è più che mai urgente ed è necessario che le soluzioni adottate dal governo in quel provvedimento siano adeguate, realistiche, il più possibile condivise. Uno stato di emergenza in deroga a tutte le leggi ordinarie, come quello che si profila, ha bisogno di una blindatura ampia per evitare guerre di ricorsi in Italia ed Europa, false partenze, interferenze tecniche, litigi politici (per esempio su chi fa il commissario), corsie di emergenza e superpoteri che diventano nuovi imbuti.

Prendiamo il nuovo ponte. Le previsioni del governo sono che entro il 2019 l’infrastruttura sarà funzionante. Anche Renzo Piano ha parlato di un anno. Le previsioni “tecniche” di Autostrade parlano di un anno dal momento in cui saranno pronte le autorizzazioni: questa stima è però basata su tempi di produzione “cinesi” con lavori su tre turni 22 ore al giorno per 7 giorni su 7. C’è una certa convergenza fra le varie ipotesi se si azzerano o si accorciano al minimo i tempi di progettazione e autorizzazione dell’intervento ed è proprio questo ciò cui il decreto punta. In altre parole, tutto deve filare liscio perché l’obiettivo sia realistico. L’Italia dovrebbe dimostrare per una volta che, in nome di valori comuni, può agire in modo coeso, efficiente, rapido. Bisogna ricordare che in regime ordinario per opere analoghe servono mediamente 4 anni e mezzo per affidare i lavori e aprire il cantiere.

I litigi cui stiamo assistendo dicono che così non è. C’è forte sottovalutazione degli effetti concreti delle norme: si fanno proclami più o meno ottimisti sui tempi, ma non si decide rapidamente per rendere quelle previsioni credibili. Mentre il ministro delle Infrastrutture Toninelli cerca di consolidare nel testo un punto di equilibrio, con una soluzione mediana rispetto a quanto proposto dal governatore Toti, arrivano bordate proprio dai Cinquestelle per minare l’accordo Autostrade-Fincantieri-Piano-Toti. O circolano nuove bozze (smentite) che fanno due passi indietro con la revoca per decreto della concessione sulla A10. Il governo ha legittimamente deciso di avviare la procedura per la revoca della concessione se emergeranno responsabilità di Aspi. Ma si deve sapere che senza un’intesa nella maggioranza, con gli enti locali e all’interno dello schema concessorio attuale, si andrà a una guerra che paralizzerà tutto. Tanto più che Anac e Ue hanno perplessità su deroghe alla concorrenza negli appalti.

Il decreto immagina anche un supercommissario che sia la risposta a quei 4 anni e mezzo ordinari per avviare i cantieri. Si disegna però una figura che non svolge poteri di coordinamento e sostitutivi in caso di inerzia, ma si sostituisce in tutto e per tutto a ogni struttura tecnica o amministrativa dello Stato, della regione, del comune: dovrà fare tutto, dai pareri tecnici come quelli del Consiglio superiore dei lavori pubblici, alla valutazione di impatto ambientale, alle autorizzazioni urbanistiche. Potrà avvalersi delle strutture tecniche e amministrative ma il rischio è di creare nuovi imbuti. Tanto più se si pensa di affidarlo a figure tecniche, in contrasto con gli enti sul territorio. L’emergenza è grave e richiede la chiamata a raccolta di tutte le migliori energie del Paese, senza azioni strumentalmente divisive.