Appalti

Linee guida Ppp, con il Van pari a zero l'Anac rischia di uccidere il partenariato pubblico-privato

di Ivo Allegro, Claudio Guccione e Laura Martiniello

Nell'attuale situazione di deficit infrastrutturale del paese e con una spesa pubblica in conto capitale che, alla luce della complessa situazione dei conti pubblici, non supera i 60 miliardi all'anno, il Ppp costituisce una leva strategica fondamentale per il rilancio della competitività del paese. È ampiamente noto, infatti, nella letteratura economica il nesso causale tra investimenti infrastrutturali e produttività nazionale (Aschauer - 1989; Munnell - 1990; Di Giacinto, Micucci e Montanaro, 2011), così come la circostanza che la crescita dell'efficienza e dell'efficacia nei processi di erogazione dei «servizi pubblici», abilitata da investimenti in infrastrutture sia materiali che immateriali, in primis quelle ICT, abbia una chiara influenza non solo sulla qualità della vita ma anche sul potenziale di sviluppo delle performance delle imprese e, quindi, sulla crescita economica.

Grazie al consolidarsi di una curva di esperienza fatta di trial and error, anche costosi, ed alla emanazione della Direttiva Concessioni 2014/23/UE con il suo recepimento da parte del nuovo Codice dei Contratti Pubblici, l'aspettativa di molti addetti ai lavori era che si potesse finalmente assistere ad una stagione di sviluppo di numerose, quanto equilibrate, operazioni di partenariato tra pubblico e privato in grado di dare un contributo importante al recupero dei gap infrastrutturali, materiali ed immateriali, del Paese.
Operazioni che , grazie ad una corretta allocazione dei rischi e all'esposizione del privato al rischio operativo, potessero effettivamente pervenire a contemperare in modo equo le due esigenze cardine del PPP: quella del settore pubblico di accrescere il benessere sociale della collettività amministrata e quella del privato di generare valore economico, ovvero profitti, attraverso l'operazione.

Tali obiettivi emergono dalla lettura del Codice, che, all'art. 181 comma 3, impone un' "adeguata istruttoria" che includa l'analisi "della sostenibilità economico-finanziaria e economico- sociale dell'operazione". Inoltre,il Manuale sulla contabilizzazione del deficit e del debito di Eurostat (MGDD),considera elemento cardine per le operazioni di PPP il concetto di risk & rewards correlando i profitti degli operatori all'entità dei rischi sostenuti.

Il 5/05/2018 vedono la luce le nuove linee guida ANAC n. 9 sul "Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull'attività dell'operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato". Esse appaiono chiaramente permeate da una impostazione particolarmente conservativa del PPP, volta a limitare la capacità di profitto dell'operatore economico.
Nel dettaglio, l'ANAC al paragrafo 3.1 ha affermato il principio secondo cui "il PEF è in equilibrio quando il TIR dell'azionista è uguale al costo atteso del capitale investito; il TIR di progetto è uguale al Costo medio ponderato del capitale (Weighted Average Cost of Capital - WACC); il VAN dell'azionista/di progetto è pari a zero. Se i valori di VAN e TIR di progetto non tendono all'equilibrio significa che il contratto contiene margini di extra-redditività per il partner privato che ne riducono il trasferimento del rischio operativo e, pertanto, queste situazioni devono essere attentamente valutate dalle amministrazioni".

Seppur con la buona intenzione di tutelare al massimo le pubbliche amministrazioni, si rende necessario rilevare che con questa direttiva emerge il rischio di una serie di gravi problemi, sia metodologici che di effetto sul mercato del PPP.

Dal punto di vista metodologico, l'impostazione richiamata, e soprattutto la deterministica e perentoria affermazione in merito a supposti "margini di extra-redditività" per il privato appare azzardata.
Se in fase di valutazione ,per le operazioni ad "iniziativa del privato" (oggi prevalenti sul mercato) la PA, come suggerito dalla direttiva, scegliesse di fatto la "one best way" di accettare solo Piani Economico-Finanziari (PEF) con il VAN dell'operazione a zero, si creerebbero dei problemi seri nella formulazione di corretti PEF evidenti a qualsiasi soggetto avvezzo alle tecniche di "capital budgeting" su cui si basa la formulazione del Piano in un'operazione di PPP.

In particolare è opportuno porsi i seguenti quesiti:
1.È corretto nel metodo del WACC ipotizzare che il rendimento atteso del capitale proprio (Ke) incorpori anche il tasso di redditività atteso dell'azionista?

2.La condizione per cui "il PEF è in equilibrio quando il TIR dell'azionista è uguale al costo atteso del capitale investito; il TIR di progetto è uguale al Costo medio ponderato del capitale (Weighted Average Cost of Capital - WACC); il VAN dell'azionista/di progetto è pari a zero", è matematicamente possibile?

3.Anche laddove questa condizione fosse matematicamente possibile, cosa accadrebbe alla "bancabilità" dell'operazione? Sul punto si ricorda che il codice, all'art 165, c. 3, prescrive adeguati livelli di bancabilità , intendendosi per tali la reperibilità sul mercato finanziario di risorse appropriate ai fabbisogni, la sostenibilità di tali fonti e la congrua redditività del capitale investito.

Prima di provare a dare una risposta a questi tre interrogativi occorre evidenziare come tipicamente il PEF di un'operazione di PPP dovrebbe:
a) coerentemente con quanto previsto sia dalla Direttiva Concessioni che dal Codice, considerare uno scenario in "condizioni operative normali" e, quindi, con assunzioni normali e non eccessivamente conservative/prudenziali nelle modalità di finanziamento dell'operazione (ovvero nel rapporto tra debito e mezzi propri), nella durata del finanziamento e nella previsione dei ricavi e, soprattutto, dei costi operativi;
b) essere indicizzato al tasso di inflazione tendenziale, il che determina che una parte del rendimento dell'operazione è connesso all'effetto matematico della divaricazione dei ricavi rispetto ai costi moltiplicati per il medesimo tasso tendenziale. In buona sostanza, il delta tra ricavi e costi tende ad amplificarsi per effetto del tasso di inflazione atteso con una parte della redditività che è sostanzialmente legata ad un "illusione monetaria".

Venendo ai tre interrogativi occorre evidenziare come:
1.Il WACC è nella prassi utilizzato quale tasso di attualizzazione dei flussi di cassa. Esso mirerebbe a rappresentare il costo opportunità del capitale, che non è per forza coincidente con il WACC. Alcune teorie giudicano, infatti, il WACC (soprattutto quando calcolato in modo puntuale) poco adatto all'attualizzazione di flussi di cassa, ovvero di investimenti, caratterizzati da rapporti di indebitamento non costanti come nel caso delle PPP. Anche volendo prescindere da ciò quando si cristallizza nel calcolo del WACC il costo del capitale proprio (Ke) non si tiene in considerazione la consistente oscillazione di rischio che caratterizza il progetto nelle sue diverse fasi e che presupporrebbe, di conseguenza, premi per il rischio differenziati. Con il TIR che deve essere eguale al WACC questa dinamica non viene considerata e potrebbe essere molto complesso raccogliere capitali privati soprattutto per quei progetti più innovativi e, quindi, potenzialmente utili per il settore pubblico ma, di conseguenza, più rischiosi per il privato.

2.In termini teorici il costo del capitale proprio (Ke) nel WACC non esprime il tasso atteso di rendimento equo dell'azionista, come invece avviene ad esempio nel concetto formalmente analogo presente nel teorema di Modigliani-Miller, ma il tasso di indifferenza per l'azionista ovvero il tasso minimo di remunerazione del capitale atteso un certo livello di rischiosità (che per quanto detto prima è in realtà una rischiosità media).

3.In quest'ottica, appare chiaro come per investire effettivamente in un'operazione di PPP, l'azionista debba poter avere la legittima aspettativa di un rendimento "equo" ovvero di un rendimento superiore al mero costo del capitale espresso dal Ke. In altre parole, e contrariamente a quanto sotteso al ragionamento sviluppato nelle Linee Guida, il Ke costituisce il livello minimo di redditività a cui l'azionista è disponibile ad investire e non il livello massimo.

Ciò apre ulteriori interrogativi: in un'operazione di PPP a prevalente rischio di disponibilità, dove cioè i pagamenti sono effettuati dalla PA e sono connessi quasi esclusivamente a fluttuazioni negative correlate a gap di performance in fase di gestione del Concessionario (che per tale motivo è esposto a rischio operativo), come è possibile realizzare questa aspettativa di maggior rendimento rispetto al Ke? Questo significa che nelle operazioni di PPP Italiane l'ANAC sta suggerendo agli Enti Concedenti e/o agli aspiranti Concessionari di incorporare nel Ke anche un saggio atteso di profitto? E se si, quale sarebbe il tasso atteso corretto? E se ciò avviene, non si ritorna alla situazione tale per cui l'operazione "contiene margini di extra-redditività per il partner privato che ne riducono il trasferimento del rischio operativo"?

4.In merito al secondo interrogativo, si deve osservare come in "condizioni operative normali", ovvero prevedendo una durata del debito sensibilmente più breve rispetto alla durata della concessione e una modalità di finanziamento dell'operazione con almeno 2/3 di debito, la coincidenza delle quattro condizioni enunciate dall'ANAC (TIR dell'azionista coincidente con il KE; TIR dell'operazione post imposte tendente al WACC; VAN dell'azionista pari a zero; VAN dell'operazione pari a zero) risulta matematicamente complessa se non impossibile. I flussi di cassa disponibili per l'azionista nei primi anni del piano sono pesantemente impattati dal servizio del debito. Se contemporaneamente il TIR è eguale al WACC e il VAN dell'operazione è pari a zero, si assiste ad un disallineamento consistente e negativo del TIR dell'azionista dal Ke e, di conseguenza, un VAN dell'azionista tendenzialmente negativo se attualizzato correttamente al Ke.

5.Relativamente al terzo quesito, si deve osservare come le Linee Guida ANAC sembrano non considerare che nelle operazioni di PPP, ancorché il rapporto contrattuale sia bilaterale tra Concedente e Concessionario, esista di fatto un "convitato di pietra" rappresentato dai soggetti finanziatori, in primis le banche. Tipicamente, le istituzioni finanziarie considerano "bancabile" un'operazione di PPP allorquando sono soddisfatte 2 condizioni: a) l'ADSCR dell'operazione è superiore ad un valore soglia compreso tra 1,2 – 1,35; b) il PLCR è superiore al LLCR del progetto. La prima condizione presuppone, in buona sostanza, che il flusso di cassa disponibile operativo prima del servizio del debito (operating free cash flow unlevered) sia superiore di una cifra almeno compresa tra il 20% ed il 35% del servizio del debito (sorta capitale + interessi).
Tenuto conto che: a) normalmente un'operazione di PPP ha una leva finanziaria anche prossima al 70% dell'investimento; b) la sua restituzione avviene in un arco temporale tipicamente inferiore al massimo a 15 anni; c) il flusso di cassa disponibile operativo prima del servizio del debito è la stessa grandezza su cui si calcola il TIR di progetto; è chiaro come, per motivi puramente matematici, visto il "margine di sicurezza minimo" del 20%-35% che le banche richiedono, o il TIR tenderà a essere superiore al WACC o sarà estremamente complesso e al limite dell'impossibile avere progetti bancabili in quanto l'ADSCR assumerà valori inferiori al minimo soglia.

In sintesi, l' impostazione suggerita (VAN e TIR = 0) rischia di rendere insostenibili le operazioni di PPP, soprattutto quelle connesse a "opere fredde" o "tiepide", ovvero di rendere il PPP un mercato per "furbetti del quartierino" che proveranno a modificare surrettiziamente le variabili in gioco.
Non per niente nei libri di finanza si legge che VAN = 0 significa un investimento "appena accettabile" in quanto quando il VAN è uguale a zero il rendimento conseguito dall'operatore eguaglia il costo del capitale. Per l'imprenditore sarà dunque più conveniente qualunque altro investimento a VAN positivo con un forte incentivo a scegliere altre tipologie d' investimento o a forzare le variabili economico- finanziarie per evidenziare un VAN = 0 solo formale.

Quella che è stata erroneamente definita "extra-redditività" rappresenta, invece, per l'operazione un cuscinetto indispensabile senza il quale al primo piccolissimo cambiamento di rischio, redditività o valore d'investimento, il progetto sarebbe immediatamente in default. Non per niente le clausole di riequilibrio prendono in genere in considerazione le variazioni degli indicatori di redditività e bancabilità del progetto entro opportuni e pre-determinati range e il codice dispone che "non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione" e che "ogni potenziale perdita stimata subita dall'operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile" ma non l'eccesso opposto che così rischia di configurarsi per cui qualsiasi minima fluttuazione ponga l'operazione in perdita.

Apparentemente, quindi, le Linee Guida n. 9 sembrano tracciare per il PPP una situazione similare al famoso Comma 22 degli aviatori americani impegnati nei bombardamenti diurni: "chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo". La conclusione è simile a quella delle famose Sturmtruppen di Bonvi "Comma 22! Vietato impazzire!" e cioè "PPP! Impossibile da realizzare". Non a caso, le primissime conseguenze dell'applicazione dei principi sopra enunciati stanno portando o alla bocciatura delle proposte da parte della PA o all'abbandono delle stesse da parte dei promotori a fronte della richiesta del Concedente di adeguare i PEF ai criteri enunciati dall'ANAC.

Alla luce delle preoccupazioni sinora illustrate e delle conseguenze negative attese ai fini di una corretta valutazione e selezione delle operazioni di PPP da parte delle amministrazioni pubbliche, viene allora spontaneo interrogarsi sulla collocazione nella gerarchia delle fonti delle linee guida Anac e, in particolare , di quelle qui esaminate. A tal proposito il Consiglio di Stato, nel parere n.1257/2017 reso in Adunanza della Commissione Speciale ha chiarito che con le linee guida non vincolanti l'Anac fornisce ai soggetti interessati indicazioni sul corretto modo di adempiere agli obblighi previsti dalla normativa. I destinatari possono discostarsi dalle linee guida mediante atti che contengano una adeguata e puntuale motivazione , anche ai fini di trasparenza, idonea a dar conto delle ragioni della diversa scelta amministrativa. Di recente il Tar Lazio, richiamando l'illustrato parere del Consiglio di Stato ha aggiunto che la formulazione di tali linee guida avrebbe una "finalità istruttiva", quindi si concretano in un mero atto di indirizzo e supporto.

Venendo ora alla valenza delle linee guida N.9, nel parere n. 775 reso il 29 marzo 2017 sullo schema di tali linee il Consiglio di Stato ha affermato che la prima parte delle Linee Guida relativa all'analisi e collocazione dei rischi (in cui ricade anche il paragrafo 3.1 qui analizzato) non ha valore vincolante e solo la seconda parte, relativa al monitoraggio dell'attivita dell'operatore economico sarebbe vincolante in quanto diretta attuazione dell'art 181, c 4 del Codice (che, per l'appunto, prevede l'emanazione di linee guida precipuamente sul suddetto monitoraggio)

Chiarita, quindi, la possibilità di discostarsi dalle indicazioni Anac in commento, proprio in quanto renderebbero le operazioni di PPP di dubbia bancabilita' , appare chiaro come su un tema come il PPP, in cui il settore pubblico sconta evidenti gap culturali e molti pregiudizi connessi alla prima incerta stagione del project, l'indirizzo in questione andrebbe rimeditato per evitare che i funzionari pubblici si espongano a possibili censure di aver consentito al privato di appropriarsi di supposti "margini di extra-redditività" , ciò che porrebbe una seria ipoteca sul futuro dello strumento.
In un momento così delicato per la ripresa del paese e in cui la necessità di una collaborazione efficace tra pubblico e privato per risolvere i gap infrastrutturali uscendo, grazie al PPP, dalle strettoie dell'equilibrio di bilancio è particolarmente evidente, privarsi, di fatto, di uno strumento, certamente delicato ma anche molto potente, sembra un passaggio al limite del masochismo. Urgente, quindi, che si torni sul tema per modificarne gli attuali approdi.

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