Appalti

Nuovo Codice/2. Il débat public rischia di essere un'occasione persa: i limiti del modello italiano

di Massimiliano Atelli(*)

(*) Magistrato della Corte dei Conti - Toscana

L'assenza nel nostro Paese di uno spazio di incontro e confronto – prima e al di fuori del procedimento amministrativo vero e proprio – sulla localizzazione (anzitutto, ma non solo) di infrastrutture e impianti distingue da tempo l'esperienza italiana da quella di altri Stati (la Francia, in primo luogo).

Il tema è semplice: confrontarsi con gli stakeholder (il territorio e i suoi comitati, in primo luogo), in modo aperto e muovendo da evidenze scientifiche, attraverso un parlarsi «prima» (e quindi, appunto, fuori) del procedimento amministrativo vero e proprio, senza escludere l'opzione zero (all'insegna del «meglio non iniziare neppure quel che qui non mi sarà consentito di finire, e che potrebbe invece farsi altrove»).

A questo modello, che non sostituisce ma si aggiunge (prima) al procedimento amministrativo, l'Italia ha rinunciato - almeno a livello statale - sino a pochi giorni fa. Nell'illusione, figlia per molti versi di una tradizione giuridica ancorata a schemi non sempre adeguati al nostro più complesso tempo, che l'ecosistema asettico e fortemente ritualizzato rappresentato dal procedimento amministrativo, affidato a tecnocrati senza nome e senza volto, restasse comunque il luogo migliore per prendere una decisione perfino su fattispecie a intuitivo tasso di delicatezza come quelle sopra richiamate.
La prova più chiara la offre l'innumerevole quantità di modifiche apportate negli ultimi anni alla disciplina della conferenza di servizi, nella supposizione che là fosse da ricercare il problema e, quindi, anche la soluzione.

Tuttavia, nel perdurare dell'assenza di una cornice normativa di carattere statale su débat public, le Regioni si stanno già da tempo attrezzando, facendo uso del proprio potere legislativo, al riguardo (si pensi alla nota Lr Toscana n. 259/2013 che lo ha previsto come obbligatorio per gli interventi dai 50 milioni di euro in su).

Il vuoto di una cornice statale in tema di débat public è stato riempito dal nuovo Codice dei contratti pubblici, che vi dedica un'apposita norma. Tutto bene, dunque? Non proprio.
Sul punto, occorre infatti essere chiari: il tema della democrazia partecipativa è troppo importante e delicato, specie in questo tornante della Storia, per sperimentare e andare per tentativi. Al Paese va dato, anzitutto, un modello chiaro, netto, non irrisolto o in bilico fra una cosa e il suo contrario.

Che un problema al riguardo potesse esservi era già stato segnalato nel parere esitato dal Consiglio di stato sullo schema di decreto di attuazione della delega, nella parte concernente l'articolo (22) dedicato, appunto, al débat public.
I giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato criticità non banali (nell'insieme, si parla di normativa lacunosa e non chiara, in cui il decreto attuativo rimette perfino in discussione, in parte, il principio dell'obbligatorietà del ricorso a questo strumento fissato dalla delega, né, prosegue il parere, sono ben regolati tempi e modi con i quali cittadini e comitati potranno manifestare l'interesse a partecipare al dibattito).

Ne usciva (dallo schema di decreto, non dal parere) una fotografia del futuro débat public all'italiana che appare lontana dal modello francese, il quale è certamente perfettibile ma di sicuro non negoziabile - a pena non semplicemente di inutilità - negli assi portanti (preventività e obbligatorietà del débat, chiarezza dei ruoli e delle prerogative dei partecipanti, affidamento della sua gestione ad un'Authority terza a forte connotazione di indipendenza ecc.).

I limiti del modello italiano di débat public complessivamente messi in luce nel parere del Consiglio di stato sono rimasti immutati nel testo finale dell'articolo 22, e sono, in sintesi, almeno tre:

1) il débat public non è obbligatorio (diversamente da quanto previsto dalla delega) per tutte tutte le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull'ambiente, sulla città o sull'assetto del territorio, ma solo per quelle che saranno individuate, entro un anno, con Dpcm;
2) ciascuna amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore proponente l'opera soggetta a dibattito pubblico indice e cura lo svolgimento della procedura; dunque, per così dire in proprio, e, quindi, senza alcuna terzietà;
3) resta un pò indeterminato, sulla scorta del tenore letterale del comma 1 dell'articolo 22, se il débat sarà preventivo, e, in caso affermativo, rispetto a che cosa esattamente (l'impressione, a ogni modo, è che il débat si collochi fra la pubblicazione del progetto di fattibilità, che sarebbe dunque il punto di riferimento per il successivo svolgimento del débat medesimo, e la predisposizione del progetto definitivo).

Complessivamente, un'occasione forse sciupata, perché senza terzietà (del moderatore) fra proponente e comunità locale, e con la subprocedimentalizzazione derivante dalla collocazione del débat fra progetto di fattibilità e progetto definitivo, il débat all'italiana è tutt'altra cosa rispetto al modello francese, ed è a forte rischio di ingestibilità concreta con riflessi di possibile paralisi procedimentale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©