Appalti

Grandi opere, con il nuovo codice addio a legge obiettivo e Cipe: decide Porta Pia

di Alessandro Arona

Il 18 aprile, con la prevista entrata in vigore del nuovo Codice appalti, sarà completamente abolita la legge obiettivo, la 443/2001 di Berlusconi e Lunardi poi confluita nel Dlgs 163/2006 (articoli 161-194). E cioè saranno aboliti (in estrema sintesi): la lista delle infrastrutture strategiche di serie A (Pis); le conseguenti procedure speciali della 443, che si applicavano solo alle opere del Pis (conferenza di servizi e Via solo consultive, possibilità di scavalcare il dissenso delle Regioni su opere di interesse statale, approvazione dei progetti al Cipe, general contractor con gare anche sul preliminare).

Tutto questo sarà sostituito con un nuovo assetto, delineato dal nuovo Codice direttamente su input del Ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio: 1) una programmazione unitaria delle opere prioritarie di interesse statale, senza più liste di serie A con procedure speciali e tutto il resto con procedure ordinarie: ci sarà un unico Documento pluriennale di programmazione (Dpp) (anticipato a regime dal Piano generale dei trasporti e della logistica, Pgtl, entrambi approvati dal Cipe), con procedure ordinarie per tutti (conferenza di servizi); 2) a tutte le opere pubbliche si applica la stessa procedura, che è quella ordinaria della conferenza di servizi, rafforzata però dal Dlgs Madia in fase di approvazione finale (tempi finali ridotti da 150 a 125 giorni, silenzio-assenso anche per gli enti di tutela e la Via, possibilità di chiudere la conferenza di servizi anche in caso di dissenso di enti di tutela, con decisione finale del consiglio dei ministri).

Le conferenze di servizi sulle opere statali saranno gestite dal Mit, con competenze suddivise tra varie Direzioni in base alle competenze, secondo quanto disposto dal Dm Infrastrutture 194 del 9 giugno 2015. Mentre prima, dunque, per le opere in legge obiettivo, dopo l'istruttoria tecnico-amministrativa della Stratturta di Missione del Mit, il dossier passava alla presidenza del Consiglio, che la istruiva un'altra volta per l'approvazione finale del Cipe, con la presenza di quasi tutti i ministri, del Presidente del Consiglio e delle Regioni interessate, ora invece - una volta aprovati al Cipe il Pgtl e il Dpp - a chiudere la conferenza di servizi e approvare le opere ci penserà solo il Mit, finanziandole con i due fondi di cui si dirà tra poco. Un bel potere, rispetto a oggi, al Ministro delle Infrastrutture.

L'altra novità, nel nuovo Codice come nel Dlgs Madia, è che la conferenza di servizi per le opere pubbliche si fa sul "progetto preliminare", che ora si chiama «progetto di fattibilità» (art. 23 c. 5 bozza Codice del 3 marzo), e non più sul definitivo (come avviene oggi, per le opere statali non legge obiettivo e per tutte le altre). Il progetto di fattibilità, oltre al primo livello tecnico sull'opera, ha anche il compito (citiamo dall'Allegato al Def) di «verificare se sussistano le condizioni tecnico-economiche, ambientali e territoriali per realizzare un'infrastruttura e individuare, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire anche nelle fasi successive della progettazione».
Tutte le amministrazioni coinvolte sono obbligate ad anticipare a questa fase la loro pronuncia principale sull'opera, incidendo così prima di quanto avvenga oggi sulla eventuale ri-progettazione o modifiche di tracciato nel progetto definitivo, e «salvo circostanze imprevedibili» «le conclusioni adottate dalla conferenza di servizi» (sul progetto di fattibilità) «non possono essere modificate in sede di approvazione dei successivi livelli progettuali».

La Valutazione di impatto ambientale, invece, che era sul preliminare e consultiva con la legge obiettivo, torna a essere sul definitivo e vincolante, salvo silenzio-assenso in caso di scadenza dei termini e possibilità di superare il dissenso con delibera di Consiglio dei Ministri (secondo le nuove regole generali in arrivo con il Dlgs Madia sulla conferenza dei servizi).

Il Nuovo Codice prevede poi l'istituzione di due nuovi fondi, gestiti dal Mit, il Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture prioritarie e la project review delle opere già finanziate; e il Fondo per la realizzazione delle infrastrutture prioritarie.

Viene poi prevista normativamente la project review, attività su cui da mesi è già attiva lòa struttura di missione del Mit guidata da Ennio Cascetta, e cioè (Allegato al Mef) «la revisione dei progetti infrastrutturali non ancora avviati per verificare la possibile ridefinizione delle fasi realizzative e delle caratteristiche funzionali», con l'obiettivo di «valutare e rivedere i progetti sovradimensionati».

Fermo restando che andrà letto con attenzione il testo finale del Nuovo Codice, restano però due incognite in questo nuovo assetto.

Primo: la lunga fase transitoria
Da mesi il Ministro Delrio (con gli incontri in giro per l'Italia, nel lavoro con Anas e Rfi, nel Piano dei porti e della logistica) e la struttura di missione, stanno lavorando al nuovo Dpp, ma per completarlo ci vorranno ancora mesi e mesi, forse tutti i 12 mesi massimi previsti dal Codice. Ancora più in là (anche se nel Codice è previsto prima) arriverà il Pgtl.
Il Codice prevede, nelle more dei nuovi strumenti di programmazione, l'individuazione delle opere con obbligazioni giuridicamente vincolanti, la ricognizione sui fondi disponibili, revocati o revocabili. E fa salva la validità di piani e programmi «in relazione ai quali sussiste un impegno assunto con i competenti organi dell'Unione europea» (programmi con fondi strutturali, opere Ten-T, opere ex legge obiettivo nell'Allegato al Def). Poi ci sono naturalmente i contratti di programma con Anas e Rfi, i programmi delle Autorità portuali e i contratti con le società aeroportuali.
In attesa del primo Dpp si navigherà un po' a vista, insomma, con qualche rischio di poca chiarezza sulle scelte delle infrastrutture e di scarsa trasparenza sui criteri di finanziamento. Il contrario di quello che, a regime, si vorrebbe dal nuovo assetto programmatico-approvativo.

Secondo: il Dpr sui super-poteri a Renzi
Come abbiamo scritto più volte, il regolamento delegificante "sblocca-opere" approvato il 20 gennaio dal governo ha potenzialmente la forza di scardinare completamente l'assetto sopra descritto (programmazione unitaria e procedura ordinaria), mettendo in campo, a discrezionalità del premier di turno, una legge obiettivo più forte di quella di Berlusconi.
La presidenza del Consiglio potrà infatti individuare ogni anno, fuori da ogni programmazione, un elenco di opere pubbliche o insediamenti produttivi, locali o statali, «suscettibili di produrre effetti positivi sull'economia o l'occupazione» (definizione molto vaga e ampia), da inserire in un Dpcm previa deliberazione del consiglio dei ministri. Su queste opere saranno fissati termini accelerati, fino alla metà di quelli ordinari, e se alla fine non rispettati potrà essere il premier, in beata solitudine, ad approvare progetti o altri adempimenti con poteri sostitutivi.
Altro che intesa con le Regioni, conferenza di servizi e Cipe, questa lista del premier è molto più forte della legge obiettivo. Le Regioni se ne sono accorte e stanno alzando i paletti in conferenza delle Regioni. Si tratterà di vedere come questi poteri saranno usati: solo per sbloccare opere non altrimenti sbloccabili, d'intesa con il Mit o le Regioni; o come clava usata arbitrariamente scavalcando programmi concordati con le Regioni e approvati dal Cipe.

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