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Intervento. Il valore giuridico delle tecnologie basate su registri distribuiti: le potenzialità negli appalti

di Pierluigi Piselli

Sempre più spesso si sente parlare di nuove tecnologie e, soprattutto, di blockchain, anche nel comparto della contrattualistica pubblica. Se ne discute spesso in maniera generica, a volte con scarsa consapevolezza, in ogni caso come tecnologia in grado di fornire risposte all'attuale situazione difficile per il settore.

Ad avviso di chi scrive, i punti da cui occorre prendere le mosse sono almeno quattro.
In primo luogo, rileva la circostanza che quello degli appalti pubblici è un settore assai complesso e variegato, vitale per l'economia, all'interno del quale le criticità sono connesse e si riflettono direttamente sulle attività produttive. Non a caso, in una situazione difficile come l'attuale, è stato appena emanato il Decreto c.d. "sblocca-cantieri".
La principale causa delle difficoltà contingenti deve individuarsi nella eccessiva confusione sia normativa sia giurisprudenziale. Si parla di semplificazione delle procedure amministrative, ma si continua ad emanare norme di difficilissima interpretazione, senza alcuna guida per i pubblici funzionari assoggettati poi ai severi controlli della Corte dei Conti.

In secondo luogo, per contro, ancorché la blockchain mostri una serie di applicazioni potenzialmente interessantissime nel senso della certezza delle transazioni, della trasparenza e dell'efficacia delle soluzioni, non può essere considerata la panacea di tutti mali. Essa stessa infatti, nel settore in esame, è in fase iniziale, di studio e di prima sperimentazione.

Non se ne conoscono ancora in modo esaustivo tutte le potenzialità: dobbiamo ancora provare ad immaginarle, vedendo ciò che in altri paesi si sta facendo. Ad esempio, in Russia è stato sperimentato un sistema di pagamenti basati sulla blockchain e servizi elettronici per migliorare l'efficienza della governance pubblica. Occorre, quindi, studiare in quali ambiti intervenire.

E qui si apre una duplice possibilità, potendosi sia ragionare su schemi contrattuali tradizionali sia, ed è l'aspetto più stimolante, ipotizzando schemi contrattuali innovativi.
In altre parole, si potrebbe pensare ad adattare il nostro ordinamento alle potenzialità delle nuove tecnologie. In terzo luogo, occorre precisare che la blockchain nel campo della contrattualistica pubblica deve coordinarsi e coniugarsi con le altre tecnologie, prima fra tutte l'IA, vale a dire l'Intelligenza Artificiale, algoritmi che sempre più sono di ausilio alla mente umana nei procedimenti decisionali senza l'intervento umano (si pensi ai potenziali sviluppi del cognitive procurement).

Infine, deve essere tenuta presente la necessità di regolamentare le nuove tecnologie in genere e la blockchain in particolare. Soltanto avendosi contezza di cosa siano e di come saranno disciplinate - almeno quanto agli effetti sul procedimento amministrativo - si potrà ipotizzare un loro impiego nel settore della contrattualistica pubblica.

In questo quadro, allora, si deve partire dal presupposto che la blockchain è una struttura nuova, non classificabile negli attuali istituti previsti dal codice civile. Della stessa abbiamo risposte sotto il profilo tecnico. Abbiamo una descrizione della tecnologia, una classificazione tipologica, la considerazione degli effetti (modello decentralizzato di conservazione e condivisione delle informazioni). Manca, però, qualsivoglia inquadramento del fenomeno dal punto di vista oggettivo, ed ancor più dal punto di vista sistemico. In proposito, sappiamo che si tratta di una tecnologia basata su registri distribuiti. Una tecnologia che funziona in rete (pubbliche ovvero private). Essa porta ad una gestione distribuita e condivisa di dati e di servizi digitali. Il suo punto di forza è l'immutabilità, cioè la certezza dell'integrità dei contenuti affini di controllo. Con la blockchain si passa da un modello di controllo fisico centralizzato dei dati ad un modello decentralizzato di conservazione e condivisione delle informazioni.

Nell'ottica di pensare ad una regolazione, i profili da tenere presenti sono due: il primo quello meramente interno, vale a dire cosa sia in sé la blockchain, civilisticamente parlando. Il secondo è quello esterno, cioè cosa sia la blockchain in senso pubblicistico.
Ciò assumendo consapevolezza che essa non è solo un mezzo, una tecnologia, uno strumento, ma anche qualcosa di più.

Qualsiasi blockchain, infatti, ha un suo inizio. Ci dovrà essere qualcuno (privato o pubblico, Stato, Ente pubblico territoriale o meno) che la studia (ideatore), che ne fissa le regole (protocolli). Ha, poi, una sua vita. È dotata di una struttura (server, persone a servizio, persone qualificate, c.d. oracoli). Funziona sulla rete ed è a disposizione della rete, vale a dire di tutti gli utenti della rete nelle blockchain pubbliche, ovvero degli utenti ammessi nelle blockchain private. Conservando dati e servizi transattivi genera valore. Il tutto anche con finalità probatorie. Ma, se ha un suo inizio e una sua vita, può anche terminare? Certamente sì, sia per cause fisiche (ad esempio, malfunzionamento dei server), sia per cause indotte (ad esempio per opera di hacker, con conseguenti profili relativi alla vulnerabilità del sistema). Ed allora, dovremmo chiederci se tale tecnologia possa realmente considerarsi immodificabile.

Se il sistema può finire, occorre conoscere preventivamente dove finiscono i dati e le certezze dei registri distribuiti, nel caso in cui ci siano disfunzioni nel sistema.
Più in particolare, poi, da un punto di vista squisitamente civilistico, deve escludersi che si tratti di una società, ovvero di un'associazione, o ancora di altre figure basate sulla collaborazione intersoggettiva. Non ha una durata predeterminata. Non ha una territorialità. Non è quindi riconducibile ad uno specifico Ordinamento.
In positivo, possiamo invece dire che si tratta di un sistema a disposizione della rete. Una sorta di intermediario diffuso.

Considerando che su di essa possono generarsi rapporti contrattuali, e che quindi "produce valore", si potrebbe avvicinare il sistema blockchain ad una sorta di azienda a dirigenza diffusa. Essa fornisce un servizio avanzato di certificazione di dati. Ha costi industriali di funzionamento. E' dotata di proprie regole peculiari vincolanti per gli aderenti e che gli stessi accettano fin dal momento del loro ingresso nella "catena"; regole che possono subire modifiche solo se condivise dal 51% degli utenti medesimi.

Ha, quindi, una forte componente strutturale e necessitata, che permette il raggiungimento degli obiettivi.

Passando al profilo pubblicistico, occorre considerare il modello decentralizzato di conservazione e condivisione delle informazioni quale alternativa ai sistemi centralizzati di certezza giuridico sociale dei dati.
E noto che la funzione certificativa è demandata all'Autorità Statale (a livello centrale e locale). Ebbene, molti aspetti di tale funzione potrebbero essere svolti da sistemi di blockchain, ma, anche volendosi prescindere dalla circostanza che il 51% degli aderenti possono intervenire per modificare le regole che reggono la specifica blockchain, (situazione che pone forti problematiche per quel che concerne la certezza giuridica), vi è da tenere in considerazione che le blockchain possono ospitare nel proprio ambito settori già disciplinati dall'ordinamento giuridico.

Sarà necessario, allora, porsi il problema di come le singole blockchain debbano interfacciarsi con l'Autorità Centrale ed anche fra di loro. Appare in tale ottica indispensabile una regolamentazione del sistema blockchain in astratto, ivi inclusa anche una specifica registrazione per tutte le blockchain cui si voglia riconoscere una qualche efficacia probatoria ufficiale.

Occorreranno, così, protocolli internazionali accettati da tutti gli Stati con finalità di censimento, di controllo a tutela degli utenti, ma soprattutto di dialogo fra le blockchain e i vari Ordinamenti statali ed anche fra le diverse blockchain stesse.
Quanto alla possibilità di applicare i sistemi di blockchain agli appalti pubblici, appare opportuno precisare come, allo stato attuale della normativa, non sembri di per sé una cosa possibile in via immediata. Sarà necessario del tempo, delle normative ad hoc, ed ancor prima un percorso di avvicinamento.

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