Urbanistica

Volumi, il Consiglio di Stato spiega come va calcolato il criterio del «vuoto per pieno»

di Pietro Verna

Il cosiddetto criterio del «vuoto per pieno» (inteso come volume totale dello spazio compreso tra le pareti esterne, il pavimento più basso e la copertura, misurato all'esterno) di cui all'art. 3 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 non esclude, in linea di principio, alcuno spazio e/o superficie. L'unica deduzione consentita è quella dei volumi tecnici, espressione con la quale si fa riferimento esclusivamente a quei volumi che sono realizzati per esigenze tecnico-funzionali della costruzione (per la realizzazione di impianti elettrici, idraulici, termici o di ascensori), che non possono essere ubicati all'interno di questa e che sono del tutto privi di propria autonoma utilizzazione funzionale, anche potenziale. Lo ha stabilito la Quarta Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 18 ottobre 2019, n. 7087) che ha ribadito l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui soltanto i locali tecnici sono esclusi dal calcolo della volumetria ammissibile (ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 4 novembre 2014, n. 5494 ).

Cornice normativa
L'art.3, comma 3 del d.m. 1444/1968 stabilisce che lo strumento urbanistico deve assicurare ad ogni abitante 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).

La vicenda processuale
La pronuncia in narrativa ha confermato la decisione con la quale il Tar Lazio-Latina aveva respinto il ricorso proposto da una impresa di costruzioni contro il provvedimento con cui il Commissario straordinario del Comune di Latina aveva annullato la delibera della Giunta comunale recante la revisione del Piano particolareggiato esecutivo (Ppe) relativo ai lavori di recupero di un quartiere del centro storico. Provvedimento che veniva adottato perché nel computo della volumetria massima ammissibile erano stati inseriti « locali tecnici, androni, scale, cantine, garage e interrati », il cui effetto si era tradotto in «una maggiore disponibilità di volumetria realizzabile di circa 10.125 mc.» rispetto a quella prevista dallo strumento urbanistico.

L'impresa aveva difeso la validità del computo volumetrico richiamando la relazione allegata alla delibera di approvazione del Ppe, nella parte in cui precisava che il calcolo dei volumi era stato eseguito tenendo conto:

1) « del sistema costruttivo diverso degli edifici esistenti rispetto alle normative vigenti: morfologia dell'impianto storico degli edifici, spessori murari portanti, sistemi distributivi e pertinenziali, ecc., considerato che la quota degli edifici storici presenti all'interno del comprensorio costituisce il 60% circa del patrimonio edilizio esistente>>;

2i) della Circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 1820 del 23 luglio 1960 «Definizioni in materia edilizia», in base al quale la superficie abitabile è costituita dalla superficie dei "vani utili": «camere da letto, camere da pranzo, da studio e da soggiorno, soffitte abitabili, camere dei domestici, cucine e agli altri spazi destinati all'abitazione, esclusi i vani accessori che fanno parte dello stesso alloggio»;

3) dell'art. 12 della legge della Regione Lazio 27 maggio 2008, n. 6, che consente «lo scomputo del maggior spessore delle murature esterne degli edifici per la parte eccedente 30 centimetri »;

4) dell'art. 34, comma 2-ter del Testo unico dell'edilizia- Tue, nella parte cui stabilisce un limite di tolleranza della cubatura «nella misura del 2% delle misure progettuali».

Tesi che il Consiglio di Stato ha respinto alla luce del suindicato indirizzo giurisprudenziale e della circolare del Ministero dei lavori pubblici del 31 gennaio 1973, secondo la quale «devono intendersi per volumi tecnici, ai fini del calcolo della cubatura degli edifici, i volumi strettamente necessari a contenere e a consentire l'accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc) che non possono per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche»). Fermo restando che il Collegio ha ritenuto inapplicabili al caso di specie gli artt. 12 della legge regionale n. 6/2008 e 34, comma 2-ter del Tue in quanto il primo articolo « riguarda gli interventi di edilizia sostenibile, architettura sostenibile e di bioedilizia» mentre l'altro «disciplina gli interventi eseguiti in parziale difformità del permesso di costruire».

La sentenza del Consiglio di Stato

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