Urbanistica

Abusi sanabili/2. Interventi senza permesso (o senza Scia) ma conformi alle norme urbanistico-edilizie, ecco come regolarizzarli

di Massimo Ghiloni

Negli ultimi trenta anni si sono succeduti tre condoni edilizi che si sono connotati come provvedimenti a carattere straordinario diretti a sanare abusi sostanziali, ossia opere realizzate in contrasto con le normative e le prescrizioni dello strumento urbanistico comunale.

Il condono riguarda, inoltre, abusi individuati temporalmente, indica gli eventuali limiti, sana gli effetti amministrativi e penali dell'illecito e a fronte del pagamento di una oblazione e del contributo concessorio si acquisisce il diritto a mantenere sul territorio la costruzione e a commercializzarla nel tempo. È significativo, però, che la stessa legge, la 47/1985, che ha introdotto il primo condono edilizio, abbia contestualmente previsto l'accertamento di conformità (oggi disciplinato dall'art. 36 del Testo unico edilizia, Dpr 380/2001), il quale rappresenta una norma non eccezionale bensì a regime, ossia senza una scadenza, ed è finalizzato a sanare abusi formali, relativi a interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ma conformi, nella sostanza, alla disciplina edilizia urbanistica per poter effettuare la trasformazione del territorio. L'art. 36 pone, perciò, precise condizioni: il permesso di costruire può essere conseguito in sanatoria allorquando si sia in presenza di un abuso formale, ossia quando il permesso, sebbene non richiesto preventivamente, può essere legittimamente ottenuto, a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione della costruzione, sia a quello della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, ossia la c.d. doppia conformità.

LA DOMANDA DI SANATORIA
La domanda può essere presentata sia dal soggetto responsabile dell'abuso, sia da colui che ne è oggi proprietario, in quanto il permesso di costruzione accede all'oggetto, ossia all'immobile e all'area su cui insiste, e non al soggetto.
Relativamente all'adempimento gravante sull'interessato si ritiene che l'esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio costituisce atto dovuto, per cui accertata l'esecuzione di opere abusive non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia, sussistendo perciò l'onere dell'istanza di parte. Il Comune nell'esame della domanda di accertamento di conformità è condizionato dal disposto della legge, in quanto si è in presenza di un'attività oggettiva e vincolata priva di apprezzamenti discrezionali.
La domanda deve perentoriamente essere presentata prima che i provvedimenti repressivi dell'abuso contestato divengano definitivi. Le sanzioni pendenti rimangono sospese per il termine assegnato per l'esame dell'istanza, in quanto la stessa impedisce che l'amministrazione prima del suo esame si attivi per eliminare un abuso che potrebbe essere sanato.
Ove l'amministrazione non si pronunci entro sessanta giorni, si forma, ope legis, il silenzio significativo con valenza di diniego, ossia equiparabile a un provvedimento negativo espresso. Non ci si trova, perciò, di fronte a una inadempienza delle amministrazioni nel pronunciarsi (silenzio-rifiuto) a fronte della quale l'interessato deve proporre l'impugnazione giurisprudenziale affinché si esprima: dovrà invece essere attivata la contestazione giurisprudenziale nei confronti del silenzio-diniego entro i successivi 60 giorni a pena di decadenza.

L'ISTRUTTORIA
In merito alla necessità o meno di acquisire il parere della commissione edilizia, è da ritenere che detto parere in sede di esame della domanda di accertamento di conformità debba essere ritenuto facoltativo, in virtù dell'assenza di una sua esplicita previsione normativa nell'ambito di questo procedimento speciale di sanatoria.
La presentazione della domanda di sanatoria determina, perciò, per l'amministrazione l'onere di un provvedimento di reiezione o di accoglimento dell'istanza stessa, cui deve far seguito l'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti sanzionatori che il Comune è tenuto a emanare come atto vincolato una volta che si sia verificato che non sussistono le condizioni per la sanatoria delle opere abusive. Ciò vuol dire che dopo la presentazione della domanda, la procedura per l'esecuzione di una sanzione amministrativa deve ritenersi sospesa in attesa della determinazione sulla domanda di sanatoria, in quanto se così non fosse potrebbe venire meno l'opera oggetto della domanda prima della decisione del Comune. Come corollario discende che il provvedimento di diniego della sanatoria deve addurre le ragioni di non conformità urbanistico-edilizia e della presenza di altre cause ostative all'accoglimento dell'istanza, dando anche conto dell'esperimento di attività istruttorie o dell'acquisizione di elementi di giudizio che evidenzino il contrasto delle opere con la disciplina pianificatoria (Cons. Stato, sez. IV, 3534/2012).
In merito alla impugnazione del titolo abilitativo rilasciato in sanatoria da parte di un soggetto terzo interessato, è stato specificato che mentre nel caso di impugnazione del titolo edilizio ordinario, salvo conoscenza anticipata, il termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento assentito, nel caso di impugnazione del titolo edilizio in sanatoria il termine decorre, invece, solamente dalla data in cui sia portato a conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stato rilasciato il provvedimento in sanatoria (Cons Stato, sez. IV, 1699/2013).

SANATORIA SCIA
Sostanzialmente analogo è il regime dell'accertamento di conformità per la denuncia di inizio attività (oggi Scia) disciplinato dall'art. 37 del Testo unico edilizia, Dpr 380/2001. Viene esplicitamente prevista la possibilità di autodenuncia in corso d'opera, con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria minima di 516 euro. Negli altri casi si applica una sanzione rapportata all'aumento di valore dell'immobile, con alcune specifiche sanzioni per abusi su immobili vincolati o ricadenti nei centri storici, ivi compresa l'eventuale restituzione in pristino.
In questa fattispecie l'accertamento non è finalizzato a conseguire il titolo abilitativo da parte dell'amministrazione in quanto la denuncia di inizio attività si fonda sull'impulso dell'interessato, bensì a sanare l'intervento.
Non si pone inoltre un problema di estinzione del reato penale, in quanto questo non è comunque ricollegabile alla denuncia di inizio attività, quando quest'ultima non sia sostitutiva del permesso di costruire.

RILASCIO DEL PERMESSO IN SANATORIA
Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo concessorio in misura maggiorata a secondo della gravità dell'abuso.
Anche se si fa riferimento al contributo di costruzione per commisurare la sanzione da corrispondere per l'abuso formale, la stessa è qualificata come oblazione, per cui, oltre a venir sanato l'intervento dal punto di vista amministrativo, è altresì estinto il reato penale. La somma da corrispondere è pari al doppio del contributo di costruzione, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari allo stesso. In caso di parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte dell'opera difforme dal titolo abilitativo. Rimane problematico il rapporto tra sanatoria e conseguimento a posteriori dell'autorizzazione nel caso di abusi compiuti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e ambientale, con conseguente applicazione delle specifiche sanzioni, in quanto il divieto di sanatoria paesaggistica su tali beni pregiudica la possibilità di accedere alla sanatoria edilizia, nonostante la presenza nell'ordinamento in generale dell'istituto dell'autorizzazione postuma a condizione di una verifica di compatibilità. In proposito si deve rilevare una limitata apertura nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 1671/2013 nella quale si afferma che, se non è consentito sanare opere edilizie che abbiano comportato aumento di volumi, è però permesso alla Soprintendenza di esaminare favorevolmente l'istanza di sanatoria, quando la stessa prevede la demolizione di volumi, del tutto legittimamente realizzati, per mantenere altri realizzati senza titolo.

SANATORIA GIURISPRUDENZIALE
Si devono infine rilevare contrasti giurisprudenziali in ordine alla c.d. sanatoria giurisprudenziale in base alla quale un immobile in contrasto con il piano al momento della realizzazione, ma conforme al momento della rilevazione dell'assenza del titolo abilitativo può conseguire la sanatoria amministrativa, in quanto, ove demolito, il giorno dopo potrebbe essere legittimamente riedificato.
Difatti, esiste oltre alla conformità in sanatoria basata sulla doppia conformità anche la c.d. sanatoria giurisprudenziale che ritiene sanabili gli interventi abusivi conformi solo alla normativa urbanistica sopravvenuta. Tale regola giurisprudenziale riconosce prevalenza al principio dell'efficienza (evitare uno spreco di attività inutili) rispetto a quello della legalità. Il Consiglio di Stato in numerose pronunce (Cons. Stato, sez.V, 3961/2012) ha però affermato che non può esservi rispetto del buon andamento della pubblica amministrazione se non vi è nel contempo rispetto del principio di legalità. Il legislatore ha, perciò, consentito unicamente la sanatoria dei c.d. abusi formali evitando un sacrificio degli interessi dei privati che abbiano violato soltanto le norme sul procedimento da osservare nell'attività edificatoria, in modo da non dare agli aspetti formali un peso preponderante rispetto a quelli sostanziali delle norme in materia di uso del territorio.
Alla base vi è dunque la considerazione, suffragata da una interpretazione letterale, che non è possibile derogare alla tassatività delle condizioni per l'accertamento di conformità per legittimare un abuso sostanziale al momento della realizzazione dell'opera, quasi fosse un istituto giuridico liberamente utilizzabile dalle amministrazioni a fronte della sola sopravvenuta conformità agli strumenti urbanistici, fattispecie analoga al condono edilizio vero e proprio in contrasto con la netta differenziazione introdotta fin dall'inizio dalla legge 47/1985.

I QUESITI

Ampliamento difforme dal titolo abilitativo
È stato compiuto un intervento edile in parziale difformità dell'atto abilitante edilizio (anno di realizzazione 1978) nell'ambito di un edificio monofamiliare in compendio di un agglomerato urbano del tipo cascinale; il detto intervento è riconducibile a un ampliamento di mc 14,00 per costituire un servizio igienico (volume edificio esistente pari a mc. 1.190,00); è possibile nella fattispecie applicare il comma aggiuntivo all'art. 34 del Dpr n. 380 del 6/6/2001 e succ, mod. agg. e integr. discendente dal Dl 13/05/2011, n. 70 convertito con modificazioni nella legge 12/07/2011, n. 106 essendo la cubatura effettuata in ampliamento inferiore alla quota del 2%? Con formulazione di ringraziamento per la risposta porgo cordiali saluti.

L'articolo 5 del Dl 70/2011, introduttivo del comma 2-ter dell'articolo 34 del Dpr 380/2001 (Tue), prevede un margine di errore nell'esecuzione di interventi edilizi che non costituisce difformità rilevante ai fini della disciplina sanzionatoria edilizia. La tolleranza opera dunque con riguardo agli abusi edilizi posti in essere in sede di realizzazione della costruzione e a condizione che sia osservata la soglia massima del 2% dei parametri quantitativi. La Regione Emilia Romagna, autrice di una norma analoga, con la circolare 312129/2011 ha specificato che l'errore tollerato non costituisce violazione edilizia e dunque l'opera eseguita è ritenuta sotto il profilo edilizio corrispondente a quella progettata, con la conseguenza di escludere la presentazione di una denuncia di inizio attività a fine lavori e che la constatazione dell'esistenza dei requisiti di legge preclude l'avvio del procedimento sanzionatorio. Infatti la scelta di intervenire nel titolo del Tue dedicato alle sanzioni invece che in quello relativo ai titoli abilitativi rivela l'intenzione del legislatore di sottrarre tale fattispecie a sanzioni e a eventuali regolarizzazioni. Si è dunque in presenza di una «sanatoria per legge» che fa decadere l'azione repressiva da parte dell'amministrazione. Perciò, non esistendo più l'ipotesi sanzionatoria, è possibile ritenere che la previsione dell'articolo 34, comma 2-ter sia applicabile anche in caso di accertamento relativo a violazioni eseguite prima del 2011, proprio perché la violazione è stata eliminata dall'ordinamento. Per completezza si deve, però, sottolineare che esiste un contrasto in dottrina e in giurisprudenza relativo al fatto che in materia di sanzioni amministrative, a differenza di quelle penali, non è dato rinvenire, in caso di successione di leggi nel tempo, un vincolo all'applicazione della legge posteriore più favorevole, rientrandosi così nella discrezionalità del legislatore (Consiglio di Stato 3497/2010). In merito è stato, però, sottolineato che si deve fare riferimento al criterio della ragionevolezza, per cui l'essenza afflittiva della potestà sanzionatoria amministrativa dovrebbe essere rapportata alla valutazione che storicamente l'ordinamento opera della condotta che intende sanzionare, ormai non più ritenuta rilevante (Tribunale di Cremona, ordinanza 447/2013 con la quale è stata sollevata eccezione di illegittimità costituzionale al fine di ottenere un chiarimento). Massimo Ghiloni

Realizzazione scavo fondazione
Essendo stata assentita la costruzione di fabbricato per civile abitazione, sono state effettuate le attività di «scavo delle fondazioni» senza aver ancora ottenuto la relativa autorizzazione sismica. Tale attività è assimilabile ad abuso edilizio?

La fattispecie prospettata (semplice scavo delle fondazioni), laddove non preveda l'installazione di opere strutturali di natura transitoria volte a sostenere il fronte del terreno ed evitare cedimenti causati dal venir meno dell'azione di contenimento del suolo escavato (quali ad esempio una berlinese in micropali ecc.), ovvero - tenuto conto delle dimensioni dello scavo, della collocazione o della morfologia del sito - non sia in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità, non rientra nelle fattispecie di inizio dei lavori di cui all'articolo 94, Dpr 380/2001 (già legge 3 febbraio 1974, n. 64, art. 18). La giurisprudenza infatti è concorde nel ritenere che l'apprestamento del cantiere, compreso lo sbancamento del terreno e l'esecuzione dei lavori di scavo, non sono segno univoco di un serio inizio dei lavori edili assentiti dal titolo edilizio (e comunque implicitamente in esso ricomprese), seppur ai fini del rispetto del termine di inizio dei lavori di cui all'articolo 15 del Tue cit., secondo cui occorre il compimento di attività direttamente e immediatamente collegate all'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire (da ultime cfr. Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 04/02/2013, n. 61; Tar Toscana, Firenze, sez. III, 29/01/2013, n. 154). Diversamente, se l'apprestamento del cantiere e l'esecuzione degli scavi prevedano opere in senso tecnico (ancorché temporanee anche se non espressamente indicate nel titolo edilizio) dirette alla stabilità del terreno circostante, queste dovrebbero far parte del progetto previsto dall'articolo 93, comma 2, Dpr 380/2001. Fabrizio Luches

Sanatoria art. 37, comma 4 con Scia
A seguito di presentazione di Scia in sanatoria art. 37, comma 4, Dpr 380/2001, il Comune ha avviato la procedura indicata all'art. 37, comma 3 della stessa legge. La soprintendenza non ha reso il parere entro i 60 gg. dalla richiesta. Adesso il dirigente dell'ufficio comunale deve provvedere autonomamente. Qualora trascorrano ulteriori 30 gg. senza che il dirigente si esprima, vige il silenzio-assenso, trattandosi di Scia? E di conseguenza la sanzione pecuniaria pari a 516 euro già corrisposta dall'istante, va rimborsata? Grazie

L'accertamento di conformità in sanatoria è disciplinato dagli articoli 36 e 37 del Dpr 380/2001, Testo unico edilizia, i quali hanno finalità e condizioni analoghe, ma divergono in alcuni aspetti procedimentali. L'articolo 36 prevede che l'interessato presenti apposita istanza di permesso in sanatoria sulla quale l'amministrazione deve pronunciarsi entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata. La domanda deve essere comunque rigettata se non sussiste la doppia conformità dell'abuso al momento della realizzazione e a quello della domanda di sanatoria. L'articolo 37 relativo alla Scia non contempla esplicitamente un assenso dell'amministrazione, ma prevede la corresponsione di una sanzione pecuniaria da 516 a 5.164 euro, se vi è la doppia conformità, e da 516 euro al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi abusivi. La procedura cambia, però, se l'intervento è stato realizzato su un immobile ricadente nel centro storico in quanto occorre acquisire il parere del soprintendente se ordinare la riduzione in pristino ovvero irrogare la sanzione pecuniaria. In caso di silenzio della Soprintendenza, compete all'amministrazione decidere autonomamente se procedere alla riduzione in pristino ovvero applicare la sanzione di cui al comma 1 dell'articolo 37 ovvero quella ridotta di cui al quarto comma dello stesso articolo. In tale contesto non sembra possibile ipotizzare una forma di silenzio-assenso sulla domanda di Scia in sanatoria, in quanto il problema non risiede sull'accoglimento dell'istanza, bensì sulla necessità di una esplicita determinazione dell'amministrazione in ordine a una pluralità di sanzioni, per cui il silenzio non può portare a una non applicazione delle stesse.
Massimo Ghiloni

Permesso di costruire a sanatoria
In relazione a una pratica edilizia presentata nel mese di settembre c.a. relativa a un permesso di costruire a sanatoria ex art. 36 consistente nell'abuso edilizio di apertura e chiusura di una porta per frazionamento e fusione di un locale si chiede se l'istruttoria debba tenere conto dell'immediata applicabilità dell'art. 17 del Dl n. 133 del 12.09.2014. Si ringrazia sentitamente.

Analizziamo preliminarmente alcuni principi generali formulati dalla giurisprudenza. In tema di sanzioni si è affermato che il divieto di norme sanzionatorie retroattive è costituzionalmente previsto per le sole norme penali: ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il canone della irretroattività posta dall'articolo 11 delle disposizioni preliminari del codice civile, in mancanza di una espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (Consiglio Stato 5158/2013). Più in generale è stato sottolineato che in tema di modifica normativa vale il principio che si deve tener conto della situazione di fatto e di diritto esistente al tempo della adozione del provvedimento (Consiglio Stato 445/2012). La nuova norma può applicarsi a effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente, quando essa sia diretta a disciplinare tali effetti, con l'attribuzione di effetti nuovi a fatti pregressi. È stato altresì affermato che la retroattività della legge più favorevole deve considerarsi espressione di un principio generale dell'ordinamento, dovendosi adeguare le sanzioni all'eventuale modificazione della percezione della gravità degli illeciti da parte dell'ordinamento giuridico. Ciò premesso si può affrontare l'argomento specifico dell'accertamento di conformità in sanatoria che richiede la doppia conformità al momento della realizzazione dell'opera e a quello della presentazione della domanda e che si tratti di abuso formale, ossia assenza del titolo abilitativo, e non di contrasto con le previsioni di piano. È stata anche prospettata la c.d. sanatoria giurisprudenziale che richiede la sola conformità al momento dell'accertamento, in quanto sarebbe illogico demolire un'opera precedentemente illecita, ma consentita dalle norme sopravvenute. Tale orientamento è stato, però, oggetto di critiche in quanto si introdurrebbe un condono atipico di un abuso che beneficerebbe di una disciplina favorevole sopravvenuta (Consiglio di Stato 3961/2012). La sopravvenuta nuova classificazione della manutenzione straordinaria altererebbe quindi la condizione della doppia conformità ove fosse rinvenibile una disposizione di piano che non ammetteva espressamente il frazionamento al momento della realizzazione dell'opera. In base ai principi sopra riportati potrebbe, però, ritenersi applicabile il regime sanzionatorio previsto per la comunicazione inizio lavori che ora disciplina la nuova categoria della manutenzione straordinaria comprensiva del frazionamento dell'unità immobiliare e che prevede non l'applicabilità del ripristino dello stato di fatto bensì l'irrogazione di una sanzione pecuniaria. Massimo Ghiloni

Permesso costruire a sanatoria
È stata presentata, perché richiesta dal Comune, una pratica di permesso di costruire a sanatoria (non una Dia) relativa a un frazionamento e fusione di un locale, con aumento della superficie originaria dell'appartamento, avvenuto contestualmente all'acquisto dell'immobile nel 1982 (l'abuso consiste quindi nell'apertura e chiusura di due porte ed è conforme alle norme in vigore e vigenti). Mentre l'art. 36, comma 2 prevede il pagamento in misura doppia del costo di costruzione delle opere, l'art. 37, comma 4 prevede una somma variabile da un minimo di euro 516 a un max di euro 5.164 in relazione all'incremento di valore stabilito dall'agenzia del Territorio. Si chiede di conoscere, rispetto alla sanzione pecuniaria applicabile, quale sia tra le due la procedura corretta. Grazie.
La questione prospettata deve tener conto dell'istanza a suo tempo formulata, relativa al rilascio del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 Tue, che prevede per l'appunto il versamento di un'oblazione del contributo di costruzione (c.d. oneri Bucalossi) in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16 del medesimo Dpr 380/2001. Diversamente, per poter applicare l'altra disposizione invocata, relativa agli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività (ora Scia) e accertamento di conformità, prevista dall'articolo 37 Tue, ancorché l'intervento eseguito abbia il requisito della c.d. «doppia conformità» urbanistica, è necessario che le opere eseguite risultino assoggettate a Dia/Scia al momento della presentazione dell'istanza. Sul punto è utile rilevare che solo a decorrere dalla legge 98/2013 è stato eliminato - dagli interventi di ristrutturazione soggetti a permesso di costruire - l'aumento delle unità immobiliari, mentre dal 13 settembre 2014 (a opera del Dl 133/2014) la definizione di «manutenzione straordinaria» risulta integrata, ora ricomprendendo anche gli interventi consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso. Se l'istanza in questione è stata presentata anteriormente a tali modifiche, per poter applicare la disposizione di sanatoria eventualmente più favorevole risulta necessario ritirare la domanda originaria e ripresentarne una nuova motivata in forza delle recenti modifiche legislative che assoggettano a Scia il mero frazionamento interno delle unità immobiliari esistenti. Fabrizio Luches

Interventi che si regolarizzano con Dia tardiva
Se un intervento edilizio può essere eseguito dopo la presentazione di una Dia ci sono degli impedimenti legislativi per regolarizzare lo stesso intervento non comunicato al Comune con una Dia tardiva? Quali sono le norme legislative che lo impedirebbero? Quali sono gli interventi edilizi realizzati senza Dia o Scia, su un edificio costruito con regolare licenza edilizia (quindi non abusivo), che possono essere regolarizzati con la Dia tardiva o con qualche altra procedura? Grazie della Vostra risposta.
L'articolo 22 del Dpr 380/2001, Testo unico edilizia (Tue) stabilisce che sono sottoposti a Dia (oggi Scia dopo il Dl 133/2014) gli interventi non rientranti nell'attività edilizia libera (es. manutenzione straordinaria su parti strutturali, risanamento e ristrutturazione leggera) e non ricompresi tra quelli sottoposti a permesso di costruire; sono altresì ammissibili le varianti in corso d'opera che non configurino una variazione essenziale. Fermo restando, quindi, che deve essere rispettato questo ambito oggettivo di applicazione, l'articolo 37 del Tue prescrive che la realizzazione di interventi in assenza o in difformità dalla Dia comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente ai lavori e comunque in misura non inferiore a 516 euro, con esclusione dell'applicazione di sanzioni ripristinatorie. Sanzioni particolari, anche in ordine al ripristino, sono invece previste per opere abusive su immobili oggetto di vincoli di tutela o ricadenti nel centro storico. Se la Dia è presentata spontaneamente quando l'intervento è in corso d'opera, la sanzione è ridotta a 516 euro. Ai fini della regolarizzazione dell'intervento è possibile conseguire l'accertamento di conformità in sanatoria quando, pur in assenza del titolo abilitativo, l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione delle opere sia a quello della presentazione della domanda di accertamento, versando una somma non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro. Da tutto ciò discende che la sanzione più favorevole è quella ricollegata alla denuncia effettuata in corso d'opera. Massimo Ghiloni

Accertamento di conformità
Edificio inserito in Piano attuativo che nelle more della redazione e approvazione dello stesso non prevede la ristrutturazione edilizia. A seguito di approvazione di variante urbanistica alle norme tecniche (che prevede anche ristrutturazione nelle aree soggette a Piano Attuativo) viene rilasciato il PdC che prevede demolizione e fedele ricostruzione dell'edificio industriale. La variante viene impugnata da un privato, che ottiene l'annullamento per mancanza di Vas. Si procede l'annullamento del PdC. Nel mentre è avvenuta la demolizione e la ricostruzione (l'edificio è allo stato grezzo, solo struttura in cemento armato). È possibile utilizzare l' accertamento di conformità? In tal caso quale sanzione pecuniaria adottare?
L'esclusione della ristrutturazione edilizia in attesa della redazione e approvazione del piano attuativo si pone in contrasto con l'articolo 9 del Dpr 380/2001, Testo unico edilizia (Tue), il quale prevede che nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l'edificazione sono consentiti oltre agli interventi di manutenzione e risanamento anche quelli di ristrutturazione edilizia compresa la demolizione e ricostruzione che riguardino singole unità immobiliari. L'intervenuta variante alle norme tecniche ha reso conforme la situazione al disposto di legge. Il successivo annullamento della variante e del permesso di costruire, comporta l'applicazione della originaria esclusione della ristrutturazione edilizia. Ciò incide anche sulla possibilità di richiedere l'accertamento di conformità in sanatoria ai sensi dell'articolo 36 del Tue che richiede la conformità dell'opera sia al momento della realizzazione della costruzione che a quello della presentazione della domanda con pagamento a titolo di oblazione del contributo di costruzione in misura doppia. Si può solo provare a ricorrere contro l'annullamento del permesso di costruire per contrasto con l'articolo 9 del Tue. Massimo Ghiloni

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©