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Conferenza di servizi, Palazzo Spada toglie agli Enti locali l'arma del dissenso per «pubblica incolumità»

di Massimo Frontera

Gli enti locali non sono, di norma, legittimati a esprimere il dissenso contro la determinazione motivata della conferenza di servizi, ai sensi dell'articolo 14-quinquies della legge 241/90. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato nel parere pubblicato il 30 settembre scorso in risposta ad alcuni specifici quesiti arrivati da Palazzo Chigi. L'articolo di legge in questione, sui «Rimedi per le amministrazioni dissenzienti», è stato introdotto nel giugno del 2016 al testo della legge 241; e consente, in ultima istanza, di opporsi alla realizzazione di un'infrastruttura, in ragione di specifiche esigenze di tutela della cittadinanza. Nel sottoporre alcuni specifici quesiti al Consiglio di Stato, la Presidenza del Consiglio riferisce di «numerose opposizioni formulate da amministrazioni comunali a vario titolo chiamate ad esprimersi» su opere esaminate nelle conferenze di servizi di primo livello. Le numerose opposizioni sono, evidentemente, altrettante procedure bloccate dal braccio di ferro dei comuni che si sono avvalsi dell'articolo citato. Grazie al parere del Consiglio di Stato, che accoglie la tesi di Palazzo Chigi, le procedure - sia presenti, sia future - hanno ora la strada spianata. Ma andiamo con ordine.

L'articolo 14-quinquies e il quesito del governo
Ecco, più precisamente, il testo della norma: «Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza - recita l'articolo 14-quinquies della legge 241/90 - , entro 10 giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali l'opposizione è proposta dal Ministro competente». Il governo chiede ai giudici di Palazzo Spada «in linea generale, se le amministrazioni comunali possano a pieno titolo rientrare tra i soggetti deputati alla cura di taluni interessi sensibili e, dunque, risultare conseguentemente legittimate a sollevare opposizione ai sensi dell'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990».

La risposta del Consiglio di Stato
Rispondendo al governo, il Consiglio di Stato accoglie - sostanzialmente - la tesi suggerita dalla stessa Presidenza del Consiglio, secondo cui i comuni sono esclusi dalla possibilità di appellarsi all'articolo citato, fatta salva l'ipotesi (teorica, residuale e, di fatto, molto remota) che l'ente locale sia espressamente delegato da una amministrazione sovraordinata e titolare delle competenze tecniche circa la valutazione delle tutele citate nell'articolo della legge 241 (ambientale, paesaggistico-territoriale, beni culturali, salute e pubblica incolumità dei cittadini).

Le amministrazione «preposte»
Il pilastro argomentativo dei giudici poggia proprio sulla titolarità delle amministrazioni «preposte» alle materie citate dalla legge. «E ciò essenzialmente - spiegano i giudici - perché un siffatto potere non può rinvenire un suo adeguato fondamento attributivo nella generale competenza del Comune, quale ente esponenziale della collettività rappresentata, a "tutelare" tutti gli interessi ad essa facenti capo, essendo invece necessaria, come si evince dalla lettera stessa della disposizione, un'apposita "preposizione", con norma speciale, all'esercizio di funzioni, eminentemente tecnico-scientifiche (cfr. art. 17, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990), di tutela di quegli interessi "sensibili", preposizione che, riguardo ai Comuni, di regola non si rinviene nella legislazione di settore che provvede alla allocazione delle funzioni amministrative ai sensi dell'art. 118 della Costituzione».

La scappatoia: necessaria una delega "tecnica" al comune
Come si diceva, anche se, di fatto, i comuni vengono "disarmati" dalla possibilità di appellarsi all'articolo 14-quinquiues, Palazzo Spada lascia aperto uno spiraglio, sia pure teorico. «Tuttavia - si legge infatti nel parere della Prima Sezione - anche in considerazione del non infrequente ricorso, in specie nella legislazione regionale in materia ambientale, a ciò abilitata dalla legge nazionale, a forme di delega di funzioni di tutela agli enti locali e, in taluni casi, tra questi, anche ai Comuni, non appare possibile enunciare in questa sede una conclusione in termini assoluti, valida una per volta per tutte e per tutti i casi applicativi, che neghi in radice e a priori un siffatto potere di opposizione comunale, potere che potrebbe invece ravvisarsi come sussistente allorquando la pertinente legislazione speciale di settore, statale e, soprattutto, regionale, abbia attribuito o delegato talune competenze (propriamente) di tutela ambientale ai Comuni».
I comuni potranno pertanto agire solo in funzione di una apposita attribuzione di una competenza o delega loro conferita: forte, specifica e tecnica. Spiegano infatti i giudici: «al fine del soddisfacimento del concetto di "preposizione" (alle funzioni di tutela . . . etc.) utile agli effetti dell'art. 14-quinquies in esame, non basterà una norma (di fonte statale o regionale, a seconda dei casi) di attribuzione o di delega di funzioni di tutela in quanto tali, ma occorrerà che queste funzioni di tutela (attribuite o delegate) si concretizzino e debbano esprimersi proprio attraverso la pronuncia di pareri tecnici (potenzialmente ostativi e non surrogabili) o di atti di assenso comunque denominati potenzialmente impeditivi dell'approvazione del progetto di intervento in conferenza di servizi».

Gli spazi e i poteri dei comuni
Dunque, che spazi di manovra ha il Comune per avvalersi dell'articolo 14-quinques? Allo stato attuale, gli spazi sono pressoché nulli, rispondono i giudici. Prima di tutto, a seguito di una disamina costituzionale, si esclude che gli enti locali siano «proposti - nel senso tecnico e specifico del termine – ad alcuna delle funzioni di "tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini" di cui all'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990». In un successivo approfondimento, si esclude che nella normativa di settore - specifica in materia ambientale, protezione civile, tutela paesaggistico-territoriale, sanitaria ed edilizia - gli enti locali abbiano specifiche attribuzioni sufficienti a giustificare il ricorso all'articolo 14-quinques. Resta tuttavia possibile - in via del tutto residuale e ipotetica - che in alcuni casi, le regioni possano avere attribuito ai comuni o alle città metropolitane, alcune competenze di tutela in materie di competenza legislativa regionale.

Il caso del Piemonte (non sufficiente per il dissenso)
A titolo esemplificativo si cita il caso del Piemonte, dove con la legge n.42/2000 la Regione ha delegato ai comuni funzioni in materia di bonifica dei siti inquinati, di approvazione del progetto e di autorizzare degli interventi previsti, realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale. Una caso però insufficiente, tuttavia, a giustificare l'opposizione ai sensi dell'articolo 14-quinquies. Tale attribuzione decisa dal legislatore regionale, sottolineano infatti i giudici della prima sezione di Palazzo Spada, «non pare rilevante e risolutiva ai fini della proponibilità dell'opposizione al Consiglio dei Ministri ex art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché, a tal fine, si deve trattare non già di competenze "qualsiasi", purché in materia di tutela ambientale, ma occorre che si tratti, evidentemente, di competenze a pronunciare pareri o atti di assenso comunque denominati in conferenze di servizi per progetti, interventi o attività da approvare o autorizzare. Nell'esempio proposto della legge regionale del Piemonte, invero, la tutela delegata in materia di bonifica dei siti inquinati pone il Comune delegato nella posizione di autorità procedente e non di autorità chiamata a rendere un parere o un atto di assenso comunque denominato, e dunque non rileva ai fini del presente quesito».

Cosa succede a tutte le conferenze di servizi bloccate?
Il Consiglio di Stato indica pertanto alla Presidenza del Consiglio la strada da seguire per rimettere in marcia tutte le conferenze di servizi bloccate dai comuni dissenzienti: basta verificare se, alla luce delle considerazioni espresse dai giudici amministrativi, l'ente locale è o meno titolato a dissentire. «Alla luce di questa impostazione interpretativa - conclude il parere del Consiglio di Stato - codesta Presidenza dovrà, ogni qual volta pervenga un'opposizione comunale ex art. 14-quinquies, al fine di poter motivatamente escludere la legittimazione comunale e dichiarare inammissibile l'opposizione, operare un'attenta analisi specifica della disciplina di settore applicabile». In che modo? Svolgendo, «riguardo al singolo affare concreto», una «puntuale disamina sulla legislazione settoriale e regionale applicabile alla fattispecie».

Il parere del Consiglio di Stato

Il parere del Consiglio di Stato

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