Il CommentoImprese

Nel piano Fs un progetto di modernizzazione con una visione europea

di Giorgio Santilli

Decollano le Ferrovie di Renato Mazzoncini. Quello di ieri è stato un battesimo in cui l’amministratore delegato delle Fs, insediatosi da dieci mesi, ha regalato al Paese un progetto di modernizzazione di visione e di dimensioni europee. Un sogno lontano, forse, per l’Italia che arranca, quella dei pendolari (e delle imprese) che giustamente reclamano tutti i giorni servizi all’altezza di un Paese civile europeo. Eppure, la sfida della mobilità integrata lanciata ieri da Mazzoncini prende il meglio che c’è nelle Fs e cerca di proiettarlo oltre la tradizione, la forza, i limiti della ferrovia italiana.

Non solo verso la gomma, le strade e le piattaforme digitali, con acquisizioni societarie o la conquista di servizi di imminente liberalizzazione: piuttosto nell'idea stessa di responsabilità unitaria verso il cliente, verso la città, verso il Paese, con servizi "door to door" che poco importa se avvengano in treno, autobus o bicicletta, l'importante è garantire il risultato nel modo più semplice possibile.

Lo stesso perno finanziario del nuovo progetto industriale - la quotazione in Borsa dei servizi a lungo raggio (in pratica, la divisione di Trenitalia cui fanno capo le Frecce e gli Intercity) - si proietta in una sfera di opportunità (e di rischi per la tenuta unitaria del gruppo) cui si era sempre opposto il predecessore di Mazzoncini, Mauro Moretti, il grande risanatore storico del gruppo Fs. In fondo da quel progetto di risanamento e di sviluppo, oggi muove Mazzoncini, per proiettarsi molto oltre. Il raddoppio del fatturato in dieci anni (dai 9 miliardi del 2016 ai 17,6 previsti a fine piano) è la sfida numerica in cui si traduce questo gettare il cuore oltre l'ostacolo.

La sfida strategica è la grande alleanza della mobilità collettiva per fare su tutti i fronti quel che solo l'Alta velocità è riuscita parzialmente a fare (sulle medie distanze fino a 200 chilometri), far arretrare quella mobilità individuale su gomma che in Italia continua ad avere, per passeggeri e merci, quote di traffico abnormi. La quotazione in Borsa, la fusione con Anas prima ancora, l'assalto al trasporto pubblico locale su autobus (con una quota Fs su scala nazionale che dovrebbe crescere in dieci anni dal 6% del 2015 fino al 25%), un piano di investimenti da 94 miliardi, la piattaforma digitale per proporre l'alleanza ai vettori del trasporto collettivo, quella stessa parola "integrazione" eretta a filosofia del piano, sono progetti e sfide che un imprenditore più prudente si sarebbe ben guardato dal lanciare con obiettivi e parole tanto ambiziosi e tutti insieme.

Le Ferrovie decidono di entrare nel mondo di Uber e Google Transit senza passare dal via.Le difficoltà - inutile negarlo - saranno enormi nel Paese della frammentazione esasperata, delle corporazioni, delle lentezze politiche e burocratiche, degli ostacoli amministrativi, delle resistenze campanilistiche che hanno già insabbiato le liberalizzazioni della fine degli anni '90 (decreto Burlando). Eppure, proprio in questo obiettivo sbandierato di assaltare e superare le resistenze ataviche che hanno fatto di alcuni settori strategici dello sviluppo il "cuore" dell'inefficienza italiana - il trasporto pubblico locale e il trasporto merci dei "padroncini" prima di tutti -, proprio in questa visione di riallineamento europeo c'è il fascino del disegno delle nuove Fs, sponda perfetta per la promessa "renziana" di modernizzazione del Paese e di uscita in avanti dall'eterna transizione.Si tratta di vedere, quindi, se due promesse di questo calibro in un settore decisivo per la modernità, quale la mobilità e i miliardi di giri d'affari di euro che gli ruotano intorno, sapranno sostenersi a vicenda e realizzarsi concretamente, vincendo le resistenze che, implicite o esplicite, si frapporranno al cammino.

Per questa guerra dichiarata servono strumenti, quadri legislativi evoluti, la definizione di un regime di apertura concorrenziale che valga per tutti oltre le rendite di posizione (comprese quelle delle stesse Fs), servono commissari capaci di far arrivare al traguardo le opere nei tempi previsti, risorse finanziarie enormi, dirigenti adeguati. Serve, ancora prima, l'accettazione di un salto culturale che ci porti tutti quanti, dritti dritti, nel mondo di Uber e di Google Transit. Serve accettare quella modernità e serve farlo restando sempre con i piedi per terra. Perché per vincere, oltre i numeroni e i piani industriali scritti sulla carta, bisogna da una parte farsi alleato chi il treno lo prende ogni giorno con risposte immediate (cioè 12 mesi e non dieci anni) alla richiesta di qualità e puntualità (investimenti mirati, tecnologie e treni nuovi) e dall'altra ricordare come l'utile alle Fs sia arrivato e continuerà ad arrivare dalla solidità dei fatturati in pochi servizi strategici, come l'Alta velocità Milano-Roma.

Tutto il resto targato Fs, per ora, fa molta fatica ad arrivare al pareggio o è troppo piccolo per essere davvero significativo. La virtù di forte concentrazione e compattezza delle vecchie Ferrovie - tenere insieme il gruppo, la ferrovia e il Paese grazie agli utili e alla credibilità dell'Alta velocità - è alla prova, da domani, in un disegno che invece allarga e speriamo non disperda energie, scegliendo come banchi di prova decisivi l'Anas (Eurostat permettendo) e l'Atac di Roma (Raggi permettendo).