Progettazione

Prevenzione incendi: dal 20 ottobre basta con i «progetti fantasiosi» per 42 attività produttive

di Mariagrazia Barletta

(Nell'immagine Fabio Dattilo)
Dal 20 ottobre, per effetto del Dm 12 aprile 2019, il Codice di prevenzione incendi (Dm 3 agosto 2015) da facoltativo diventa cogente per 42 delle 80 attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi. Significa che sarà obbligatorio osservarlo per gran parte delle cosiddette attività «soggette e non normate», ossia inserite nell'elenco delle attività soggette a controllo da parte dei Vigili del Fuoco (l'elenco è allegato al Dpr 151 del 2011) e prive di regola tecnica verticale. Si tratta di un importante cambiamento che riguarda prevalentemente fabbriche, officine, depositi, impianti di diverso tipo, attività per le quali attualmente valgono i cosiddetti «criteri tecnici di prevenzione incendi».

L'effetto di tale obbligo - sottolinea l'ingegnere Fabio Dattilo, capo del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco - è l'eliminazione non del cosiddetto «doppio binario», ma di «più binari», ossia di «mille pensieri» legati alle "disuniformità" di applicazione dei criteri di prevenzione incendi. Applicazione che attualmente - per le attività soggette e non normate - varia «non solo da una provincia ad un'altra, ma anche nell'ambito della stessa provincia, da un funzionario all'altro», afferma Dattilo.

L'espressione "doppio binario" - va precisato - fa riferimento alla possibilità, legata al carattere finora interamente facoltativo del Codice, che il professionista ha di scegliere tra due "strade" alternative, che consistono o nell'applicazione di norme tradizionali e criteri pre-Codice o nell'adesione ai metodi previsti dal Dm 3 agosto 2015. Dattilo - a capo dei Vigili del Fuoco dal 1° dicembre 2018 - anticipa, inoltre, quali saranno i contenuti del piano di adeguamento in fasi per le scuole, previsto dalla recente legge 81 del 2019. Condivide, inoltre, i ragionamenti alla base dello studio di una linea guida sulla gestione della folla, derivanti dai drammatici fatti di piazza San Carlo a Torino del 3 giugno 2017. In dirittura di arrivo anche la revisione della Regola tecnica orizzontale (Rto) del Codice, contenente le misure comuni a tutte le attività rientranti nel campo di applicazione del Dm 3 agosto 2015.

Ingegnere, a quasi quattro anni dall'entrata in vigore del decreto 3 agosto 2015, qual è il bilancio in merito all'efficacia e all'utilizzo di queste norme?
Una piccola premessa storica. Il Codice nasce perché in Europa ci chiedono di levare un po' di "burocrazia", e quindi di introdurre una reale semplificazione. La semplificazione si declina in due modi: una semplificazione che vuol dire meno carte e più sostanza, quindi vuol dire lavorare sui procedimenti amministrativi affinché questi siano più veloci, più snelli.

È quello che ha fatto il Dpr 151 del 2011
Esatto. Quando ero a capo della Prevenzione (della direzione centrale per la Prevenzione e la sicurezza tecnica, nda) ho riscritto le normative, ereditando, su spinta anche del ministero della Semplificazione, ciò che serviva all'introduzione della Scia nei procedimenti dei Vigili del Fuoco. Ed è nato il Dpr 151. È evidente però che accanto a un processo che deriva da una semplificazione normativa vera e propria, burocratica, bisogna far crescere una semplificazione regolatoria, perché le regole tecniche dei Vigili del Fuoco, dove ci sono, sono datate anche 1934, per passare al 1951, per passare alle regole più recenti, ma tante sono vecchie: ad esempio quelle per le autorimesse sono del 1986, ma sono una riscrittura di quelle del 1934. Le regole delle scuole sono del '92 e così via. Oggi c'è un gap tra lo sviluppo tecnologico e quelle norme. E allora ci mettemmo a tavolino per capire come semplificare le regole tecniche, quindi una semplificazione regolatoria, e venne fuori il decreto del 3 agosto 2015, che ha avuto anche da noi un processo di metabolizzazione non ancora concluso, perché è un cambio di passo.

Vale a dire?
Cioè, se coloro che vanno a fare i controlli sono abituati ad avere una regoletta semplice, da ragioniere la chiamo io, e quindi a non essere costretti a capire la ratio delle norme, è evidente che il controllo avverrà da ragioniere. Chi invece fa l'ingegnere tende a capire la ratio di una norma prescrittiva e a cogliere il fine della norma, anche attraverso percorsi che possono essere diversi. Cosa che peraltro noi abbiamo già introdotto con l'istituto della deroga, che è rimasto sempre in piedi. Aggiungo che nei cahiers de doléance delle categorie produttive, la prima questione è la "disuniformità" dell'indirizzo di prevenzione incendi tra le varie città. Questo vale soprattutto per quelle attività che le regole di prevenzione incendi non ce le hanno, come le attività artigianali, le attività industriali, le falegnamerie e così via, che sono il tessuto connettivo principale di una struttura che produce.

Con quale risultato?
Che l'applicazione dei cosiddetti sistemi esperti, ovvero dei criteri di prevenzione incendi, da personaggio a personaggio che controlla, può modificare il risultato finale. E questo vale non solo da una provincia ad un'altra, ma anche nell'ambito della stessa provincia, da un funzionario all'altro. Per cui lo stesso progetto magari in Veneto viene approvato e in Piemonte no. Lo stesso identico progetto ha dieci prescrizioni in Lombardia e nessuna in Calabria. Questo ci ha spinto a scrivere un Codice. Forse la parola Codice è troppo ambiziosa, ma è un testo piuttosto unico che riesce a far giocare l'amministrazione dello Stato con le carte scoperte, nel senso che queste sono le regole, tu le rispetti, utilizzi la Scia, e domani apri l'attività.

Quindi queste differenze territoriali, e non solo, si appianeranno con l'obbligatorietà del Codice?
Adesso cos'è successo: da questo mese di ottobre (dal 20 ottobre 2019, nda) il decreto del 3 agosto 2015, dopo la fase di "rodaggio", diventa obbligatorio per le attività «soggette non normate» e l'ambizione futura è di renderlo obbligatorio mandando in pensione via via le regole tecniche, cosiddette verticali, più vecchie. Per cui, ad esempio, sarebbe mia intenzione - poi ovviamente abbiamo un Comitato centrale tecnico scientifico - mandare in pensione presto le norme sulle autorimesse.

Quindi per le autorimesse la norma prestazionale soppianterà quella prescrittiva?
Non è prestazionale, è figlia del Codice. Anche qui, sfatiamo: il Codice prevede anche soluzioni prestazionali, ma la gran parte del Codice, con le soluzioni tecniche cosiddette conformi, è un "prescrittivo evoluto". Un prescrittivo con delle soluzioni a ventaglio. La parte prestazionale è solo l'ultimo annesso al Codice: quello "M" dei "Metodi". Detto ciò, abbiamo eliminato più binari, perché ora non c'è un "doppio binario": da una parte c'è il Codice, dall'altra, come le ho detto, per le attività non normate ci sono mille pensieri. Adesso c'è lo stesso Codice in tutta Italia. Vi è però un gap: bisogna averlo studiato.

A questo proposito c'è un sondaggio appena condotto dal Cni che ha messo in evidenza un dato: in circa quattro anni avrebbe utilizzato il Codice il 22,9% degli ingegneri professionisti antincendio
Questo è lusinghiero in uno Stato in cui se non rendi obbligatorie le cose... Il tema vero è un altro: se le prescrizioni di sicurezza danno valore alla sicurezza allora abbiamo investito bene i nostri soldi. Con il Codice questo sillogismo c'è perché il Codice parte dalla valutazione dei rischi e quindi ho un metro per misurare se li ho abbattuti. La norma iper-prescrittiva, modello vecchio, e le convinzioni di ciascuno di noi, invece, non danno la possibilità di misurare il valore aggiunto, quindi significa che se a parità di investimento ottengo un delta maggiore di sicurezza, ho fatto bingo: ho centrato l'obiettivo.

E questo il Codice in che misura riesce a farlo?
Io l'ho sperimentato in tanti casi. Per le scuole, ad esempio, si risparmierebbe rispetto alle norme prescrittive vecchie.

Nelle nuove costruzioni o nell'adeguamento dell'esistente?
Non c'è differenza. Noi l'abbiamo utilizzato (il riferimento è sempre al Codice, nda) in provincia di Treviso, abbiamo fatto dei conti sul vecchio e sul nuovo e abbiamo visto, intersecando, che con gli stessi soldi si mettono a posto tre scuole anziché due. Questo è un grande vantaggio. Non dico che c'è un risparmio, ma arrivo prima a mettere in ordine le scuole a parità di sicurezza, perché non c'è uno sconto sulla sicurezza, ma c'è un modo di vedere la sicurezza secondo le regole internazionali più recenti, perché il Codice questo vuole rappresentare. Quello che le dico è il segnale politico: ora che il Codice diventa obbligatorio, per quelle attività (quelle per cui scatta l'obbligo di utilizzo del Codice, nda) non si può più presentare un progetto, come dire, "fantasioso", ma va fatto attraverso l'utilizzo del Codice.

Tornando a quel dato del 22,9%, relativamente all'uso del Codice tra gli ingegneri, si può pensare che tale percentuale possa essere notevolmente più bassa nelle altre categorie professionali
No, è uguale, perché la rete delle professioni ha lavorato molto bene: ingegneri, geometri, periti e architetti hanno fatto un gruppo di lavoro e dato vita a un osservatorio continuo su questo andamento, perché è evidente che la preoccupazione poteva essere diversa, poi le resistenze possono essere diverse. Ci sono anche le resistenze interne, ma le resistenze interne le stiamo vincendo attraverso corsi che l'Isa (l'Istituto superiore antincendi, nda) sta erogando ai nostri funzionari.

Forse per i professionisti è mancato un adeguato piano di formazione.
Questo non dipende da noi, nelle regioni in cui questo è stato fatto, segnatamente in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, questo dato è molto diverso, perché si è investito molto nella formazione. È evidente che se io applico il Codice per la prima volta e non l'ho studiato, non ho frequentato un corso, non ho capito la ratio, diventa difficile. Quello che sento dire da molti professionisti, è che dopo aver avuto un'opportunità in cui l'hanno utilizzato, non tornano più indietro perché ne trovano vantaggio. Le dico di più: insegno all'Università di Padova, a Ingegneria della Sicurezza, e per mia scelta non ho voluto insegnare le vecchie regole, ma il Codice, e per i laureati è così naturale applicarlo dopo l'Università.

Tornando alla transizione a cui ha accennato, che dovrebbe portare ad estendere ancora l'obbligatorietà del Codice, che tempi potrebbe avere?
Io ho detto che partirei dalle autorimesse perché abbiamo un dato incontrovertibile: dal 1986 le deroghe sulle autorimesse sono una delle materie preferite dai Comitati tecnici regionali. E allora la prima riflessione è: la regola tecnica del 1986, che è figlia di una del 1981, figlia di una del 1934, contiene delle misure che sono di architettura tecnica piuttosto che di prevenzione incendi: le dimensioni, l'altezza, i raggi di curvatura, sono prerogative che sono tipiche di un manuale di architettura tecnica. Invece, della parte antincendio - ventilazione, resistenza al fuoco, compartimentazione e vie d'esodo - se ne parla molto meno. Nel 1981 i raggi di curvatura erano i raggi di curvatura per una Cinquecento, una Seicento, oggi quei raggi di curvatura non servono più. Quindi il progettista deve distinguere una progettazione funzionale all'oggetto che ci deve mettere dentro da una progettazione invece meramente antincendio dove le strategie, che sono elencate nel Codice, vengono fuori. Aggiungo che a quel tempo le macchine erano a benzina, poi sono venuti i diesel, poi sono venute le macchine ibride, poi c'è il Gpl, poi c'è la macchina a metano, poi ci saranno quelle a idrogeno, noi dobbiamo correre dietro ai rischi oggettivi e non massimizzare: i rischi per le auto a Gpl sono diversi da quelli legati alle auto a batteria. Il Codice consente a noi di poter valutare il rischio e alle misure di essere conseguenti.

Quando potrebbe diventare obbligatoria la norma sulle autorimesse contenuta nel Codice?
Il mio sogno è di poter mandare in pensione le vecchie regole tecniche sulle autorimesse entro un anno. Ovviamente dobbiamo confrontarci con il Comitato centrale tecnico scientifico.

Sempre in riferimento al Codice, la revisione della Rto è in "sosta" in Commissione europea fino all'11 ottobre. In quanto tempo potrà diventare operativa?
Noi abbiamo l'ambizione di far nascere insieme l'obbligatorietà ed il nuovo Codice così come è stato corretto, ma non ci sono delle grandi correzioni. L'osservatorio continuo della rete delle professioni ci ha fatto pervenire qualche migliaio di osservazioni che sono state tutte processate da un gruppo di lavoro, sono state discusse in più riunioni del Comitato centrale tecnico scientifico con grande fatica, ma la cifra impegnativa che noi ci siamo assunti è proprio quella di revisionare il Codice, che non può essere la bibbia né i sacri testi, quindi deve essere revisionato rispetto all'evoluzione tecnologica, al manifestarsi delle problematiche, e anche al manifestarsi di qualche "baco" che sempre queste normative possono portare.

La revisione della Rto introduce concetti nuovi, come quello di crowd management (gestione della folla): è vero che è in fase di preparazione un provvedimento che affronterà questa tematica?
Dopo gli episodi di piazza San Carlo a Torino, ci si è accorti che le regole classiche sulla valutazione delle folle sono probabilmente superate. Ci siamo affacciati a quello che accade a livello internazionale. Abbiamo cominciato ad affrontare questo problema non come se fosse un incendio, perché il rischio non è l'incendio, se le folle sono all'aperto non possiamo calcolare le vie d'esodo come se ci fosse il fumo che in maniera incombente porta a morire, viceversa, in questo caso, quello che conta è l'onda di pressione rispetto all'affollamento che si genera. Non esistono norme cogenti in alcuna parte del mondo in questo momento, esistono studi. Esistono dei programmi di calcolo che aiutano a valutare l'atteggiamento delle persone e piano piano stiamo cercando di dipanare questa matassa, che non è una matassa semplice. Anche perché i comportamenti, a parità di densità di affollamento, non sono sempre gli stessi, ma emerge che dipendono anche dalla tipologia "sociale" della massa che frequenta un avvenimento. Abbiamo costituito un gruppo di lavoro per valutare la sicurezza nell'ambito di queste manifestazioni, stiamo ricavando informazioni anche dalle esperienze che ci sono state in Italia, come il Jova party e altre simili. Via via recepiamo dati ma una sintesi non l'abbiamo ancora. Credo però che entro la metà dell'anno venturo possa uscire una linea guida da sottoporre a discussione.

Parliamo della revisione del decreto 10 marzo 1998, che nel novembre scorso è stato licenziato dal Comitato centrale tecnico scientifico. A che punto è?
Lei sa bene che il Dm 10 marzo non è una norma solo antincendio, per cui le competenze sono congiunte con quelle del ministero del Lavoro. Credo che il testo sia stato inviato loro e che ancora non sia ritornato con delle osservazioni. Alla luce tuttavia del fatto che il Codice diventa obbligatorio per le «attività soggette non normate», credo che l'ulteriore sforzo da fare da parte nostra - di cui i miei collaboratori hanno già parlato con il ministero del Lavoro - sia una forte sempificazione: arrivare a livelli di soluzione più semplici per le attività più semplici. Proprio perché un cardine del Codice, come il Dpr 151, è la proporzionalità dell'azione tecnica rispetto ai rischi. Mi spiego: il parrucchiere non deve applicare il Codice, ma deve avere tre misure prescrittive semplici, mentre un'attività, come una grande trattoria, che sfugge alla prevenzione incendi, nel senso che non c'è nell'elenco delle attività soggette al Dpr 151, dovrebbe avere delle norme che assomiglino di più al Codice. Dunque, deve esserci una proporzionalità rispetto ai rischi che si presentano. E questo discorso credo stia andando avanti. Utilizzare il Codice per intero, per attività piccole, diventa pesante. Quindi bisogna sparare alla mosca con la fionda non con il cannone: bisognerà costruire delle soluzioni più semplici, ma con il metodo del Codice dedicato alle attività più piccole.

Quindi per la revisione del Dm 10 marzo 1998 sarà accolta la richiesta, avanzata dalle professioni tecniche, di avere metodi più moderni e aderenti al Codice?
Sì, glielo confermo.

Per chiudere, la legge 81 del 2019, nel prevedere la proroga per l'adeguamento delle scuole, ha demandato al ministero dell'Interno, sentito il Miur, la definizione di un piano di adeguamento in fasi. A che punto è e cosa prevedrà?
Beh, un po' quello che avevamo fatto per gli ospedali: certo con due fasi sole perché un ospedale è molto più complesso. Una prima fase in cui come filosofia noi vorremmo che fosse rispettato tutto ciò che di antincendio c'è in alcune regole che sono già obbligatorie per i conduttori di queste attività, ovvero il decreto 81 (il DLgs 81 del 2008, nda) e le norme sugli impianti. È evidente che un sistema di gestione della sicurezza leggermente maggiore può temporaneamente surrogare alle carenze strutturali, anche se non del tutto. Anche le persone che frequentano la scuola debbono conoscere come si utilizzano gli strumenti antincendi e deve esserci un piano preordinato, che già c'è nella normativa del '92 delle scuole, ma che è fortemente disatteso perché tutte le esercitazioni in Italia, non si sa perché, vengono prese come un giorno di vacanza.

Che tempi si prevedono per l'emanazione (visto che la legge non dà scadenze)?
L'ingegnere Cavriani (dirigente generale della Direzione centrale per la Prevenzione e la sicurezza tecnica, nda) mi ha assicurato che è pronto: aspetterà una settimana per ricevere qualche osservazione, poi ne parlerà a me, in modo da portarlo al Comitato centrale tecnico scientifico entro l'anno.

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