Progettazione

Nella cintura di Parigi gli uffici Idf Habitat firmati Piuarch e Stefano Sbarbati Architecte, con Incet ingénierie

di Mariagrazia Barletta

Un monolite di cemento chiaro i cui prospetti sono modulati in funzione del contesto e dell'esposizione, che, per ottenere la massima flessibilità interna, prende in prestito soluzioni strutturali dalle costruzioni industriali. Sono i principi su cui si fonda la nuova architettura sede di Idf Habitat a Champigny-sur-Marne, uno dei 131 comuni della Métropole du Grand Paris. Il nuovo edificio, che dunque ospita uno dei più importanti attori del mondo del social housing dell'Île-de-France, è stato progettato da Piuarch e da Stefano Sbarbati Architecte, insieme allo studio Incet ingénierie di Parigi.
Lo studio milanese guidato da Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario e l'architetto torinese Stefano Sbarbati, trasferitosi a Parigi sin dagli esordi della sua carriera, hanno concepito un edificio per uffici funzionale e flessibile, che trae la sua conformazione dalla relazione con il contesto. Nata da un concorso bandito a febbraio del 2013, la nuova architettura è stata terminata a gennaio e ora unisce sotto un unico tetto i diversi servizi di Idf Habitat.

L'edificio è parte del piano attuativo «Zac de Bords de Marne» con il quale è stata avviata la trasformazione di un'area dismessa delimitata dal terrapieno su cui viaggiano i binari della ferrovia, dall'industria Air Liquide e dal fiume Marna. Riqualificare l'area, anche generando un nuovo spazio pubblico, è stato uno dei principi cardine del progetto per la sede di Idf Habitat. Al nuovo volume si associa, infatti, anche una piazza, uno spazio di aggregazione che il progetto ha voluto valorizzare, anche dando enfasi alla facciata che vi prospetta. In particolare, il ritmo delle facciate è modulato in funzione dell'esposizione e del contesto.
«Le facciate sud, est e ovest sono più chiuse, hanno una funzione di protezione dall'irraggiamento solare e dal rumore generato dalla ferrovia. La facciata nord, invece, è completamente vetrata, filtrata da una loggia affacciata sullo spazio pubblico della piazza», racconta Germán Fuenmayor, socio di Piuarch.

La differenziazione tra la facciata nord e le altre è molto accentuata. Ad sud, est e ovest, i pieni si alternano ai vuoti in modo uniforme, mentre a nord la massa in cemento si riduce ad una sequenza di pilastri che dà vita ad una loggia, dietro la quale si celano ampie vetrate. «Più che una facciata, viene creata una sorta di sezione che racconta la vita dell'edificio, sulla quale affacciano le scale, gli spazi comuni, le sale riunioni. Rappresenta un po' la vita dell'edificio che si proietta verso l'esterno», aggiunge Fuenmayor.
L'edificio è inoltre concepito come un involucro strutturale che protegge lo spazio interno e lo libera da ogni vincolo. L'obiettivo – racconta Stefano Sbarbati – era quello di «creare una specie di monolite». Così le facciate sono in calcestruzzo gettato in opera. «Il cemento è quello bianco mentre gli aggregati sono quelli standard» riferisce Sbarbati. Dopo il disarmo il cemento in facciata è stato levigato con il disco diamante, in modo da avere una superficie compatta e uniforme, sulla quale non è stata aggiunta alcuna finitura, ma solo una protezione. Le facciate sono dunque portanti e a collegarle provvede un solaio alveolare prefabbricato che copre una luce di 13 metri.

Ciò permette di non avere necessità di sostegni intermedi e genera una pianta completamente libera. La funzione portante delle facciate «ci ha spinti a risolvere in modo inconsueto i ponti termici» racconta ancora Sbarbati.
«L'edificio è isolato all'interno e l'isolante – ci spiega l'architetto torinese - gira nel pavimento galleggiante e nel controsoffitto, in modo da creare una sorta di scocca isolata ad ogni piano». Anche le soluzioni impiantistiche rispondono all'esigenza di liberare i piani da ogni vincolo. A partire dal locale tecnico sul tetto, gli impianti attraversano verticalmente i vari piani in corrispondenza dell'incrocio delle due ali che formano l'edificio, per poi immettersi nel pavimento galleggiante. In base alle esigenze future, la distribuzione degli spazi può essere variata in modo semplice, senza intervenire né sulla struttura né sugli impianti.

La sede Idf Habitat nasce da un'esperienza di concorso «esemplare», ci tiene a sottolineare Germán Fuenmayor. Come ogni concorso di progettazione francese , era organizzato in due fasi, con la selezione dei partecipanti avvenuta su curriculum. «Abbiamo consegnato il progetto a settembre del 2013, e a dicembre dello stesso anno era già stato presentato il permesso di costruire. Nel 2014 è stato poi sviluppato il progetto esecutivo. È poi iniziata la costruzione (la cerimonia di posa della prima pietra si è tenuta il 25 giugno 2015 ndr) e l'edificio a gennaio 2017 era già terminato. Un processo velocissimo e lineare» ci dice Fuenmayor, che paragona poi l'esperienza francese ad un'altra gara, vinta da Piuarch. «Nel 2007 – ci dice - abbiamo vinto il concorso per il centro congressi a Riva del Garda, siamo nel 2017 e non è stato ancora appaltato». «Purtroppo - continua - non si riesce a venirne fuori, nonostante il progetto abbia avuto il massimo consenso e ci siano le disponibilità economiche. Non ci sarebbero motivi per giustificare lo stop, eppure sono già trascorsi dieci anni».

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