Progettazione

Equo compenso più vicino, Poletti: spazio per lavorare su standard di riferimento

di Giorgio Costa

Da una parte gli studi di settore che "migliorano" la vita ad autonomi e professionisti, dall'altra lo split payment e la stretta sulle compensazioni. E sullo sfondo pare fare qualche passo in avanti, almeno a livello dialettico, la normativa sull'equo compenso nel complesso della più generale riforma prevista dal cosiddetto Jobs act per gli autonomi che stabilisce, tra l'altro, agevolazioni fiscali per trasferte e aggiornamenti e rafforza le garanzie per le partite Iva in fatto di maternità e malattie. Sono settimane intense per il mondo del lavoro autonomo e delle professioni che vede sommarsi una serie di interventi normativi attesi da tempo che da una parte soddisfano ma dall'altra preoccupano o creano attesa. Come accade, ad esempio, in fatto di equo compenso.

E proprio ieri dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti - intervenuto alla presentazione del Terzo rapporto annuale sulle professioni non ordinistiche dell'Osservatorio nazionale sulle professioni della Cna - ha detto che «c'è spazio per lavorare sul tema dell'equo compenso» per le prestazioni professionali ordinistiche o meno, argomento che «va giustamente affrontato in quanto è legittimo che ci sia qualche "standard" cui riferirsi per definire il livello che tutti quanti definiamo equo compenso». Le professioni plaudono alla tesi del ministro Poletti. Secondo il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri Arnaldo Zambrano, che aveva incontrato nei giorni scorsi il titolare del dicastero di via Veneto insieme alla presidente del Comitato unitario delle professioni Marina Calderone, «l'equo compenso non risolverà i nostri problemi» tuttavia «stabilirebbe un principio. E se si va solo alla ricerca del prezzo più basso, senza considerare la qualità del servizio del professionista siamo tutti più deboli».

Intanto, proprio in occasione del rapporto presentato da Cna, emerge come la crisi economica abbia favorito favorito l'escalation dei cosiddetti professionisti "associativi", vale a dire dei lavoratori autonomi non iscritti a Ordini e Collegi: fra il 2009 e il 2016, infatti, sono cresciuti di 80.428 unità (+32,9%) e, nel complesso (dati 2015), ammontano a 325.172 gli iscritti alla Gestione separata dell'Inps, con un reddito globale generato vicino ai 5,5 miliardi. Il tutto nel contesto del fatto che l'Italia continua a primeggiare nell'occupazione indipendente con 4,72 milioni di lavoratori tra i 15 e i 64anni, davanti a Regno Unito (4,29 milioni) e Germania (3,82 milioni), mentre per peso dell'occupazione indipendente sull'occupazione totale il nostro Paese è secondo (con il 21,1%) dietro alla Grecia (29,2%) e davanti alla Polonia (17,6%).Professioni e lavoratori autonomi intanto fanno i conti con i nuovi studi di settore, gli "indici sintetici di affidabilità" (Isa)che significa l'abbandono di strumenti di tipo presuntivo a favore dell'incremento della compliance, cioè la collaborazione tra fisco e contribuente basata sulla semplificazione degli adempimenti e sulla valorizzazione del dialogo.

Per chi rispetta tali indici scattano forme premiali dirette a: semplificare taluni adempimenti; escludere alcuni tipi di accertamento;  ridurre i termini di accertamento; esonerare dal visto di conformità relativamente all'Iva per la compensazione di crediti e i rimborsi non superiori a 50mila euro annui. Tutto questo al fine di promuovere l'adempimento spontaneo degli obblighi tributari e il rafforzamento della collaborazione tra Fisco e contribuenti.Un tema che, invece, crea non poche polemiche è l'estensione dello split payment al mondo delle professioni a partire dal 1° luglio. I professionisti, quindi, oltre a non incassare più l'Iva sulle fatture da loro emesse, continueranno anche a subire la ritenuta d'acconto. Inoltre, estendendo l'ambito di applicazione dello split payment, aumenteranno le imprese che, fornendo beni e servizi alla Pubblica amministrazione (in senso ampio), oltre a soffrire i cronici ritardi di pagamento, si troverebbero costantemente a credito Iva, subendo maggiori costi amministrativi legati agli adempimenti e alle eventuali garanzie richieste in sede di presentazione delle istanze di rimborso. Imprese che poi sarebbero penalizzate da una consistente riduzione del proprio cash flow, con indispensabile ricorso a costose forme di finanziamento. Note positive, invece, dalla possibilità di deduzione integrale (con tetto a 10mila euro) delle spese sostenute dai lavoratori autonomi per partecipazione a corsi formativi.

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