Progettazione

Strutture in muratura, occhio ai «tramezzi»: per evitare crolli prima di eliminarli vanno controllati i carichi

di Paolo Rocchi*

Rileggendo gli articoli relativi ai crolli dei fabbricati verificati nel 1959 a Barletta, in via Canosa, o nel 1998 a Roma, in via di Vigna Jacobini o ancora nel 1999 a Foggia, in via Giotto, e comparandoli con quelli apparsi in questi giorni sulla carta stampata, si riesce quasi a sovrapporli, con le loro denunce, avvertimenti, consigli sul modo di operare nel caso di ristrutturazione dei fabbricati, quasi come se questi quindici anni fossero trascorsi invano.

Il grande assente, oggi come ieri, è il «fascicolo del fabbricato», una sorta di cartella clinica preventiva, in grado di avvertire proprietari, amministratori, tecnici e funzionari, dell'iter metodologico corretto da seguire, per evitare l'insorgere di dissesti e crolli.
Riconsiderare la positiva funzione del fascicolo del fabbricato e quella della sua riproposizione, è forse un tema di attualità da non sottovalutare.

Al di la delle polemiche sul fatto di cronaca e sulle supposizioni - non ancora certezze - circa le cause o le concause del crollo, il tema che torna ad affacciarsi prepotentemente, è quello della conoscenza dal quale mutuare le esortazioni «Conoscere per intervenire» ovvero «Conoscere per non intervenire», con ciò intendendo come non si abbiano mai ad eseguire lavori senza un adeguato progetto, né progetti senza la dovuta conoscenza.

Nel caso di cui parliamo, sembrerebbe dalle notizie di stampa - e il dubitativo è d'obbligo - che l'eccesso di sovraccarichi al sesto piano, unito alla demolizione di alcuni "tramezzi" al quinto piano, abbiano originato il cosiddetto coordinato/disposto che ha prodotto il crollo.
In particolare si richiama l'attenzione sul fatto per il quale: i "tramezzi" o quelli ritenuti tali, in realtà possano in taluni casi contribuire, in misura variabile, al sostegno dei solai soprastanti e che, quindi, prima di rimuoverli, occorra verificare l'esistenza o meno di questa circostanza e procedere con cautela ed avvedutezza.

Come? Ciò che si deve fare è molto semplice e ampiamente descritto nell'articolo «Edifici a rischio, si controllano così» (P. Rocchi, in Edilizia e Territorio, Sole 24 ore, 20/25 dicembre 1999), ove in particolare si fa riferimento alle «prove di carico nelle murature».

Questo può risultare un punto cardine relativo all'accadimento in ispecie, infatti, attraverso codesto semplice accertamento strumentale - consistente nell'inserire nel muro da indagare un martinetto piatto (una sorta di cric sottile) e misurare a seguito della sua azione il carico gravante sulla muratura stessa - è possibile stabilire se un "tramezzo" sia scarico e ,quindi, realmente tale - dunque sia possibile rimuoverlo - o invece risulti gravato, oltre che dal proprio peso, anche da quello del solaio/i soprastante/i e la rimozione, in questo caso, non sia possibile a meno di non porre in opera, preventivamente, elementi di sostegno alternativi.

Una sorta di uovo di Colombo, una pratica saggia ben nota agli addetti ai lavori, che il sottoscritto non si è stancato di ripetere, in ambito universitario, nei master, nei dottorati di Ricerca, nei corsi di formazione - obbligatori - per i tecnici del settore.

A margine di queste brevi considerazioni, per il caso in argomento, un nodo resta da poter sciogliere - a seguito di indagini, studi, verifiche approfondite - ovvero perché il piano sottostante a quelli crollati non abbia ceduto, nonostante il crescente trasferimento su di esso delle macerie dei piani soprastanti. Forse il percorso delle macerie si è orientato verso l'esterno? Non mera curiosità, ma ricerca di un ulteriore tassello di conoscenza da acquisire e di cui tener conto nelle considerazioni attinenti il processo di recupero statico-funzionale dei fabbricati.


* Ordinario di «Consolidamento degli edifici storici» presso la facoltà di Architettura della Sapienza di Roma

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