Progettazione

Architettura, top ten da esportazione: Barozzi, Boeri, Piano e Cucinella nella classifica dei migliori progetti del 2015

di Luigi Prestinenza Puglisi

Come è andato il 2015? Provate a chiederlo a un giovane progettista e vi dirà che è stato un anno pessimo. Fa fatica a trovare lavori che non siano sporadiche pratiche al comune o al catasto. I concorsi di progettazione non si fanno e i pochi banditi sono generalmente sospetti e inaffidabili. Ha provato a trovare occupazione nel pubblico, scuole medie comprese, ma non assumono da anni. Negli studi professionali si lavora a partita IVA per 500 euro. Ha dovuto fare le valigie e trovare occupazione in un paese straniero, diventando l'ennesimo emigrante. Per fortuna che ancora li vogliono gli italiani brava gente perché sono versatili, hanno buon gusto e li si paga a meno.

E poi ci sono programmi, almeno per i più giovani, come Torno subito per lavorare qualche mese fuori e qualche altro in Italia e per un po' si può fare finta che le cose non vadano così male. Un'emigrazione forzata che fa pensare al passato. Con la differenza che adesso esportiamo intelligenze costate, per formarle, centinaia di migliaia di euro. Il fenomeno, paradossalmente, ha un aspetto positivo. Sta stimolando un numero crescente di studi di progettazione italiani ad attrezzarsi per lavorare all'estero. È di poche settimane fa la notizia che Antonio Citterio Patricia Viel and partners ha aperto una sede a New York e sono sempre di più gli studi, penso per esempio a Exclusiva Design, che si stanno specializzando nel lavorare in Russia, in Cina, negli Emirati Arabi e presto anche in Africa, uno spazio immenso e ricco di opportunità. Ecco perché in questa mia classifica dell'architettura del 2015 do il primo posto agli architetti italiani che vanno all'estero, con la valigia di Ikea o di Prada, non importa. In particolare, segnalo il gruppo Barozzi Veiga: uno dei due partner è un italiano che la scelta l'ha fatta da tempo e con il socio spagnolo quest'anno ha vinto l'importante premio Mies van der Rohe con la Sala Filarmonica di Szczecin in Polonia.

Secondo in classifica Stefano Boeri con il Bosco verticale. Conosco bene le critiche mossegli: un'operazione non originale di green washing. Ma l'idea è vincente nelle città cinesi e dell'estremo oriente dove occorre contemperare densità da formicaio con un minimo di rispetto dell'ambiente; dove ogni casa è dotata di macchine per purificare l'aria e si evita di uscire senza mascherine. E difatti recentemente gli sono stati commissionati 100 Boschi verticali.
Terzi in classifica sono i fratelli Alessandro e Leonardo Matassoni per una villa costruita in provincia di Arezzo: un'opera di valore spaziale e di sicura perizia artigianale. Testimonia come l'Italia sia ancora un Paese dai mille campanili nella cui provincia si nascondono sorprendenti energie creative.
Il quarto posto è di Renzo Piano. Vorrei darglielo per il suo progetto per le periferie, portato avanti attraverso l'esperienza del G124, il gruppo di lavoro con sede presso il Senato della Repubblica. Quest'anno è stato il turno dell'area del Giambellino a Milano. Ma glielo diamo per il Valletta City Gate a Malta che ci racconta di un progettista che cerca la poesia dello spazio architettonico.

L'High Tech italiano è, infatti, poetico più che tecnologico. E Mario Cucinella, un altro importante protagonista dell'architettura italiana di questi anni, lo racconta con un'opera di piccole dimensioni ma a mio giudizio felice: l'asilo nido di Guastalla. A lui il quinto posto.
Il sesto va al campus di Forlì di Lamberto Rossi e Associati: guardatelo, fa piacere studiare in una struttura così, che ti fa illudere di stare in Europa.
Il settimo va al gruppo 5+1aa. Sono incerto se darglielo per la nuova sede BNL-BNP Paribas di Roma o per il progetto dell'intera città di Ain El Sokhna, che verrà realizzata sul Mar Rosso in Egitto.

L'ottavo posto va all'Expo e al progetto del gruppo Nemesi. Si può dire quello che si vuole sull'aspetto di questo edificio ma in Italia pochi sono gli architetti che riescono a cimentarsi con tecnologie innovative e, soprattutto, che riescano a realizzare opere così complesse in un contesto –diciamo: ambientale- così proibitivo.
Il nono posto va al ministro Franceschini che è riuscito a far assegnare per tempo l'incarico di curatore del prossimo padiglione italiano alla biennale di Venezia a Simone Sfriso, uno degli architetti di punta di Tamassociati. Glielo diamo pensando al progetto da loro realizzato per Emergency in Kurdistan proprio quest'anno.
Il decimo lo vorrei dare al restauro di una Torre medioevale del Borgo a Villa D'Adda di Gianluca Gelmini. Un intervento moderno serio e calibrato: testimonia che in Italia la teoria del dov'era e com'era ancora non ha prevalso. E in un clima non certo euforico come quello attuale, è un'eccellente notizia.

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