Appalti

Infrastrutture, priorità semplificare: ma attenti a non bloccare tutto

Tra gli esperti e i costruttori si fa largo l'idea che azzerando il codice appalti si rischia l'effetto boomerang. Meglio deroghe e commissari per poche grandi opere

di Mauro Salerno

Semplificare? Certo. Perché trovare subito la strada per trasformare gli stanziamenti in spesa effettiva in cantieri è la priorità. Bisogna però stare attenti a non cadere in estremismi che rischiano di bloccare tutto. Tradotto nel gergo delle opere pubbliche: meglio scegliere uno "stock" di infrastrutture impantanate, ma con un buon livello di definizione, da "stappare" grazie a un trampolino normativo piuttosto che azzerare il codice o estendere indiscriminatamente a piccoli e grandi lavori il modello Genova.

È questo l'orientamento che raccoglie le maggiori adesioni guardando oltre allo stretto recinto della politica, tra gli esperti che si occupano più da vicino della questione infrastrutturale. "L'azzeramento del codice appalti – ha ribadito ieri il presidente dell'Ance Gabriele Buia, in un incontro "virtuale" organizzato dall'associazione Merita cui ha partecipato anche la ministra Paola De Micheli - avrebbe l'effetto di bloccare tutto il mercato delle gare pubbliche. Come è avvenuto quando in quel famoso aprile 2016 si decise di far entrare in vigore il nuovo codice senza un periodo di transizione". Bisogna intervenire subito "con un decreto capace di far partire immediatamente i lavori" dice Buia. "Poi però bisogna studiare un meccanismo capace di far marciare le opere a regime, magari con uno strumento normativo ad hoc, di facile utilizzo, per i lavori lasciando da parte tutto il resto del mondo che attiene a servizi e forniture".

Una posizione che trova sponde anche fuori degli steccati delle imprese, nel mondo delle istituzioni che sono chiamate per statuto a occuparsi di questi temi. Azzerare tutto rischia di esporre i funzionari delle stazioni appaltanti e le imprese all'obbligo di nuotare da soli nello sterminato e pericoloso mare degli appalti pubblici senza neppure uno straccio di bussola. La conseguenza è facile da immaginare: una nuova pandemia da blocco della firma. "Scegliere un certo numero di opere da realizzare con una disciplina ad hoc" è in questo momento la formula migliore anche per Luigi Caso, consigliere della Corte dei Conti, intervenuto a un altro incontro, questa volta organizzato dall'Igi (Istituto grandi infrastrutture) sempre sul tema del rilancio degli investimenti. Sulla stessa linea anche Raffaele Greco, consigliere di Stato chiamato a anche a presiedere la commissione che ha appena completato il lavoro di stesura del nuovo regolamento appalti. A regime, invece, una delle priorità rimane il lavoro di "qualificazione delle stazioni appaltanti".

Nell'immediato trova meno consensi di quanto si potrebbe immaginare a prima vista l'idea di estendere a macchia d'olio il cosiddetto modello Genova. "Riparliamone tra tre o quattro anni – aggiunge sempre Greco – quando sarà possibile fare bene i conti di quanto ci sarà costata questa rapidità di esecuzione anche alla luce dei contenziosi". Quel modello registra da sempre la contrarietà assoluta dei costruttori. "Il tipo di commissario che si sceglie da solo anche l'esecutore dei lavori non è compatibile con la nostra mentalità – attacca Buia -. Noi siamo sempre per la competizione".

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