Appalti

«Ok Progetto Italia, ma per evitare la desertificazione serve un piano per le Pmi»

Vincenzo Onorato, presidente del Consorzio Integra: enormi difficoltà di accesso al credito, serve un piano nazionale per le imprese piccole e medie

di Mauro Salerno

Da una parte le difficoltà dei big del settore cui il Governo sta provando a dare una risposta con il Progetto Italia portato avanti da Salini Impregilo e Cassa depositi e prestiti. Dall'altra la crisi profonda di centinaia, se non migliaia di imprese che invece, rischia di «desertificare il settore» nel silenzio collettivo. L'allarme e la proposta di un piano nazionale per sostenere chi cerca disperatamente di uscire con le ossa non troppo rotte da una crisi ultradecennale arriva dal presidente di uno degli ultimi colossi delle costruzioni nostrane: Vincenzo Onorato, numero uno di Consorzio Integra, realtà che conta oltre 130 soci distribuiti su tutto il territorio nazionale, un giro d'affari di 6 miliardi di euro e circa 50.000 addetti diretti.

La richiesta di un'iniziativa straordinaria parte dall'analisi di quello che è accaduto negli ultimi anni nei cantieri italiani. Ci sono numeri più noti, come quelli che raccontano la perdita di 600mila addetti e 120mila imprese dal 2008 a oggi. E dati meno noti, ma che forse rendono ancora meglio l'idea di quanto sia vicino il rischio di deindustrializzazione di un intero settore economico, proprio mentre la politica insiste sul bisogno di rilanciare le infrastrutture e la manutenzione delle opere.

In questi anni, ricostruisce un report di Consorzio Integra, ben 24 delle prime 45 imprese di costruzione per fatturato sono finite in procedure concorsuali. Se poi si va guardare come è cambiato il tessuto delle imprese di medio-grande dimensione, dal 2011 a oggi, si scopre che le aziende da oltre cento milioni di fatturato sono scese da 41 a 19. I big da oltre 500 milioni di ricavi all'anno - che nel 2011 erano 10 - ora sono soltanto cinque.

Per salvare il vertice delle costruzioni italiane il governo è sceso in campo affiancando con Cdp il Progetto Italia lanciato da Salini Impregilo. Per tutto il resto del tessuto imprenditoriale italiano - è il ragionamento di Onorato - si è fatto poco e serve di più. «Abbiamo un mercato che per l'80% è presidiato dalle Pmi - dice Onorato -. E ora dopo dieci anni di crisi queste imprese hanno enormi difficoltà di accesso al credito. Ci confrontiamo ogni giorno con la realtà di piccole e medie imprese per le quali depositare le cauzioni soprattutto con le stazioni appaltanti più esigenti è diventata quasi una missione impossibile». Per le banche le costruzioni sono diventate «il settore da cui stare lontano». «Anche gli impegni per firma - aggiunge Onorato -, quindi le cauzioni bancarie, sono diventate difficilissime da ottenere per le imprese medie».

Alcune delle misure lanciate in questi anni per fa fronte alla crisi, come l'anticipazione del 20% dell'appalto «hanno portato un beneficio». Ma si sono aggiunte nuove difficoltà, «come quelle che scaturiscono dagli obblighi di responsabilità solidale interno alle Ati, con i relativi riflessi sui vincoli legati alle garanzie in questo periodo di crisi». «Un settore che ha questi numeri e queste difficoltà - argomenta Onorato - non può continuare a reggere in queste condizioni penalizzanti di accesso al credito. Come si può pensare che chi ha retto fino a oggi possa continuare a sopravvivere?».

Per questo Onorato invoca un intervento straordinario per le Pmi. «Le valutazioni che hanno suggerito a Cdp di intervenire in Progetto Italia per favorire il salvataggio di grandi imprese - dice - dovrebbero essere adottate anche nei confronti delle piccole e medie aziende».

L'idea sarebbe quella di introdurre formule per agevolare l'accesso al credito delle imprese di taglia medio-piccola a fronte della presentazione di un piano industriale concreto e fattibile. Obiezione? Facile intervenire su pochi big, ma come si fa a escogitare un piano valido per migliaia di Pmi? Qualcuno potrebbe pensare a soggetti aggregatori intermedi, come per esempio le associazioni di categoria.

«Mi rendo che è difficile creare un link di questo tipo, ma non sta a noi dire quali devono essere i criteri e le regole di ingaggio - dice Onorato - . Ci deve essere un minimo di progettualità, investendo sulle imprese che meritano di avere un futuro, consentendo loro di avere accesso a forme di credito e anche di finanziamento equity più favorevoli rispetto a quelle impossibili offerte dal mercato attuale».

Anche perché le grandi infrastrutture sono fondamentali, ma non bastano. «Il Paese ha bisogno anche di interventi di manutenzione, di protezione rispetto alla vulnerabilità sismica e idrogeologica, di riqualificazione e monitoraggio delle opere esistenti». Si tratta di interventi che di norma non vedono scendere in campo i big del settore. «Allora, come si fa a dare una risposta a queste esigenze, se non mettiamo le Pmi in condizione di sopravvivere?».

«Chi ha resistito fino a ora garantendo occupazione in questo disastro industriale una possibilità di intercettare la ripresa in arrivo deve averla». Altrimenti, conclude Onorato « il rischio è di far saltare le imprese più organizzate per lasciare il posto a soggetti improvvisati. Ma la lotta alle infiltrazioni mafiose e alla corruzione si fa innanzitutto evitando di deindustrializzare un settore. Se invece si lasciano praterie libere da occupare bisogna cominciare a preoccuparsi davvero: altro che vincoli al subappalto».

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