Appalti

Venezia pronta all’emergenza ma per il Mose serve ancora un anno

Ieri test positivo alla bocca di porto di San Niccolò: le dighe hanno funzionato. De Micheli: dall’estate potrà essere usato per difendere la città

di Jacopo Giliberto

Non c’è niente come verificare di persona. Ieri mattina ho visto che il Mose funziona. A Venezia alla bocca di porto di San Niccolò le 20 paratoie - cassoni colossali di acciaio verniciato di giallo acido - si sono alzate dal fondo della bocca di porto e hanno sigillato del tutto il flusso di marea. Poi poco dopo le paratoie sono state rimesse nei loro alloggiamenti sul fondo sott’acqua.

È stata approvata in via definitiva la mozione parlamentare che impegna il governo a ultimare il Mose entro il 2021 e la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha anticipato con entusiasmo che l’esito della prova consente di dire che dall’estate il Mose potrà essere usato per difendere Venezia dalle acque disastrose come quella di due mesi fa.

Forse quello di De Micheli è un eccesso di entusiasmo. In realtà il Mose non funziona ancora se non a titolo di prova parziale. Al funzionamento completo delle paratoie mobili per la difesa di Venezia servono ancora tempo e soldi, cioè serve ancora circa un anno di lavori e servono ancora diverse centinaia di milioni di spesa.

Ma i 17 anni di lavori e i 5 milioni spesi finora non sono bastati? No, purtroppo. Se la parte infrastrutturale pesante, calcestruzzo e acciaio, è finita e funzionante, alla riuscita vera del Mose per dividere il mare dalla laguna quando la marea sarà troppo alta mancano alcune parti poco visibili ma non meno importanti. Mancano la sala comando e controllo, il software di gestione, la sensoristica, i cablaggi di fibra ma soprattutto mancano le norme e le regole per decidere chi, come e quando può far lavorare questa colossale macchina operatrice costata finora 5 miliardi sui 5,5 di costo finale.

La prova di ieri

Ieri mattina una squadra di una quarantina di tecnici del Consorzio Venezia Nuova, guidati dal coordinatore Davide Sernaglia, un bilaureato in fisica e in ingegneria, ha compresso aria nei cassoni d’acciaio che dormivano sul fondo della bocca di porto di San Niccolò, e li ha affiancati affinché formassero una barriera impermeabile all'onda di marea. Le condizioni di mare erano quelle ideali per una sperimentazione: assenza di vento, onda placida, marea di pochi decimetri. È uno dei quattro segmenti in cui è divisa l’opera colossale per dividere il mare Adriatico dalla laguna. Si temeva che le paratoie aperte aspirassero sabbia negli alloggiamenti fino a impedirne il ritorno nella posizione di riposo sul fondo, come accaduto in altri casi, e invece l’operazione cominciata alle 8,45 si è conclusa con poca sabbia e tantissimi dati di funzionamento.

Che cosa manca

Dopo l’alta marea che due mesi fa aveva devastato Venezia i veneziani (e i contribuenti italiani) si erano chiesti: ma questo famoso Mose dov’è? C’è. E dorme in fondo alle bocche di porto di Chioggia, Malamocco, San Niccolò e Treporti che mettono in collegamento la laguna con il mare aperto. Oggi può essere sollevato a chiudere fuori dalla laguna la furia del mare solamente una sezione per volta perché la parte più pesante è stata finita l’anno scorso ma adesso si sta realizzando la parte più virtuale dell'intelligenza che serve a far lavorare questa macchina colossale.

Entro febbraio saranno completati gli allacciamenti con l’alimentazione elettrica. Entro marzo saranno istallati i compressori per far lavorare le paratoie, che saranno 4 (più due d’emergenza) per ogni bocca di porto (oggi ce n'è solamente uno di servizio provvisorio per ogni bocca di porto). Entro giugno sarà completata l'impiantistica di climatizzazione e deumidificazione. Entro settembre il software gestionale. Entro ottobre saranno pronti i gruppi elettrogeni e i gruppi di continuità per far funzionare le dighe anche in caso di crisi energetica. Tra un anno saranno allestiti i sistemi di comunicazione, compresi quelli d’emergenza per un funzionamento manuale.

I soldi spesi

Sono stati spesi finora 4,27 miliardi, pari al 93% del costo finale di 4,57 miliardi. Questo è il valore del Mose propriamente detto, cioè le dighe mobili contro l’acqua alta di Venezia. Se si aggiungono altri interventi correlati e meno «infrastrutturali» la spesa finora è stata 5,03 miliardi, pari al 92% di 5,49 miliardi. In questo costo non sono ancora leggibili nel dettaglio i soldi spesi male e le tangenti di cui parlano le inchieste avviate nel 2013 e i processi in corso.

Un aumento di costi si potrà avere qualora nei prossimi mesi il Governo insisterà nell’anticipare il funzionamento del Mose in emergenza prima che sia completamente allestito. Dice la ministra De Micheli: «Il Mose non è bloccato, ha rallentato tantissimo la fine dei lavori dopo le vicende giudiziarie accadute nel 2014 e che ha visto coinvolte le persone che avevano responsabilità. Non sono qui a promettere di fare prima, facciamo di tutto per fare prima».

Lo Stato per anni ha smesso di finanziare le altre opere di salvaguardia della laguna, meno visibili e meno appaganti per il consenso politico. Ma ieri la ministra De Micheli ha specificato che «per proteggere Venezia il Mose è fondamentale ma non è l’unico strumento. Ci sono interventi di protezione della laguna mirati per i quali, già prima dell’emergenza, abbiamo avviato l’utilizzo di risorse stanziate da governi precedenti per 65 milioni di euro. C’è un sistema complessivo di protezione che dobbiamo rifinanziare, e abbiamo già cominciato: quei soldi permettono di fare interventi idraulici diffusi».

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