Appalti

Subappalto, nuova tegola della Corte Ue: il limite del 20% non è in linea con l'Europa

di Roberto Mangani

La norma nazionale in tema di subappalto che fissa al 20% il limite massimo di ribasso dei prezzi di aggiudicazione che l'appaltatore può praticare nei confronti dei propri subappaltatori non è conforme al diritto comunitario. Si è espressa in questo senso la Corte di giustizia UE con la sentenza del 27 novembre 2019, causa C – 402/18 , che viene così a colpire un'altra importante disposizione della disciplina nazionale sul subappalto, dopo che con una pronuncia dello scorso 26 settembre sempre il giudice comunitario aveva dichiarato contraria alle norme UE la previsione del limite quantitativo del 30% quale quota massima delle prestazioni subappaltabili. Peraltro la sentenza del 27 novembre si esprime anche in relazione al profilo da ultimo indicato, ribadendo - con argomentazioni anche più articolate - le conclusioni della precedente pronuncia.

Il fatto
L'Università La Sapienza di Roma aveva indetto una procedura di gara aperta per l'affidamento di un appalto di servizi di pulizia. A fronte dell'intervenuta aggiudicazione il secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice ammnistrativo, sostenendo che l'offerta presentata dall'aggiudicatario era da ritenersi contraria al diritto nazionale sotto un duplice profilo. In primo luogo essa prevedeva che la quota parte delle prestazioni oggetto di subappalto fosse superiore al 30% dell'importo totale del contratto, in violazione della norma che considera la suddetta percentuale del 30% come limite massimo delle prestazioni subappaltabili. In secondo luogo l'offerta non era stata oggetto di una adeguata disamina in quanto la stazione appaltante aveva accettato che la stessa presupponesse un ribasso dei prezzi da praticare nei confronti dei subappaltatori superiore al 20% rispetto ai prezzi di aggiudicazione, anche in questo caso in evidente contrasto con la corrispondente norma nazionale. Il giudice ammnistrativo di primo grado ha accolto il ricorso, condividendo entrambe le censure sollevate.

L'originario aggiudicatario ha tuttavia proposto appello davanti al Consiglio di Stato, che ha operato alcune considerazioni in merito alla coerenza delle due previsioni nazionali con la normativa comunitaria. In particolare, per quanto attiene al limite quantitativo del 30% il Consiglio di stato ha espresso il dubbio secondo cui detto limite potrebbe rendere più difficile l'accesso al mercato, specie per le imprese di piccole e medie dimensioni, ostacolando il pieno dispiegarsi dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Inoltre tale limite potrebbe anche precludere agli enti appaltanti la possibilità di ricevere offerte più numerose e convenienti. Quanto alla determinazione di un limite massimo di ribasso dei prezzi praticabili dall'appaltatore nei confronti dei subappaltatori, la posizione del Consiglio di Stato è apparsa più aperta a valutare le ragioni che potrebbero far propendere per una compatibilità della norma nazionale con il diritto comunitario. Il giudice ammnistrativo ha infatti evidenziato che la norma è finalizzata ad evitare fenomeni di dumping salariale, idonei a produrre effetti anticoncorrenziali, e come tale potrebbe giustificare una limitata restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Le due questioni sono quindi state sottoposte al giudizio della Corte di Giustizia.

La percentuale massima di ribasso dei prezzi da praticare nei confronti dei subappaltatori
La norma nazionale che viene in considerazione è quella contenuta all'articolo 118, comma 4 del D.lgs. 163/2006, secondo cui l'affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi risultanti dall'aggiudicazione, con un ribasso non superiore al 20%. La disposizione si trova riprodotta esattamente negli stessi termini all'articolo 105, comma 14 del d.lgs. 50/2016. Il giudice comunitario premette che il limite del 20% è stabilito in termini generali e astratti, indipendentemente dalla concreta verifica in merito alla sua effettiva necessità in relazione all'esigenza di assicurare ai lavoratori dei subappaltatori una tutela salariale. Proprio questo carattere di generalità e astrattezza appare tale da rendere meno attraente per l'appaltatore la possibilità di ricorrere al subappalto, posto che vi è una limitazione in termini assoluti dei risparmi che possono essere effettuati nei relativi subaffidamenti. Questo effetto dissuasivo contrasta con l'obiettivo comunitario di favorire l'apertura alla concorrenza degli appalti pubblici, specie con riferimento alle piccole e medie imprese. Né la limitazione introdotta può essere giustificata con le esigenze di carattere sociale di tutela dei lavoratori dei subappaltatori.

È infatti indubbio che tale limitazione comporta una restrizione dei principi comunitari, che per essere accettabile deve a sua volta rispettare il principio di proporzionalità. Tuttavia ciò non avviene nel caso di specie, proprio perché il legislatore nazionale ha introdotto un limite fisso e inderogabile – il 20% di ribasso sui prezzi di aggiudicazione – che non lascia alcuno spazio alle valutazioni discrezionali dell'ente appaltante e che si applica indipendentemente da qualunque considerazione su eventuali diversi meccanismi di tutela sociale a favore dei lavoratori previsti da leggi, regolamenti e contratti collettivi. In questo senso si deve ritenere che la norma nazionale ecceda quanto necessario ad assicurare adeguata tutela ai lavoratori dei subappaltatori. A ciò va aggiunto che l'ordinamento nazionale già prevede che il subappaltatore sia tenuto a rispettare nei confronti dei propri dipendenti il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi, per cui anche sotto questo profilo la tutela che si vorrebbe garantire attraverso la fissazione di una percentuale massima di ribasso dei prezzi di aggiudicazione appare eccessiva e sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito.

In definitiva l'elemento portante del ragionamento sviluppato dal giudice comunitario appare incentrato sul carattere generale e astratto del limite introdotto dal nostro legislatore, che rende la norma nazionale irrimediabilmente in contrasto con i principi comunitari. Ciò in quanto le motivazioni di tutela salariale che avrebbero potuto in astratto giustificare l'introduzione di un limite al libero dispiegarsi del rapporto tra appaltatore e subappaltatore presuppongono che via sia uno spazio per valutare di volta in volta se tali motivazioni siano effettivamente presenti. Se tale spazio non sussiste, in quanto la valutazione è aprioristicamente operata dal legislatore, vengono meno le ragioni giustificatrici della possibile deroga ai principi comunitari di libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Il limite quantitativo del 30%
Anche in questo caso la norma di riferimento è contenuta nell'articolo 118 del D.lgs. 163, secondo cui i lavori della categoria prevalente non possono essere subappaltati in una misura superiore al 30%, mentre per i servizi e le forniture tale percentuale è riferita all'importo complessivo del contratto (comma 2). Il limite quantitativo è tuttavia previsto anche dal D.lgs. 50, che lo fissa nel 40% dell'importo complessivo del contratto. Come si ricordava all'inizio il giudice comunitario si era già espresso, con la pronuncia del 26 settembre scorso, nel senso della non conformità di tale limite alla disciplina UE. La sentenza in commento ribadisce tale posizione, arricchendo l'iter argomentativo di ulteriori considerazioni.

Il giudice comunitario ricorda in primo luogo che se è vero che la normativa comunitaria prevede il ricorso al subappalto come modalità ordinaria di esecuzione dei lavori, la giurisprudenza ha tuttavia specificato che tale ricorso può essere vietato in tutti i casi in cui l'ente appaltante non sia stato in grado di verificare la capacità dei subappaltatori. In questi termini è quindi legittimo ipotizzare una limitazione al subappalto. Tuttavia la norma nazionale va molto al di là di questa ipotesi, in quanto stabilisce un limite al ricorso al subappalto in termini astratti e generalizzati, e ciò a prescindere dalla verifica in merito alle capacità dei subappaltatori. Un limite di questo tipo appare incompatibile con le previsioni della normativa comunitaria.

La fissazione di una percentuale predeterminata che opera sempre e comunque, senza tenere conto delle singole fattispecie, appare contraria all'obiettivo di apertura del mercato dei contratti pubblici, specie a favore delle piccole e medie imprese. Né a giustificare una tale previsione possono essere invocate ragioni di ordine pubblico. E' infatti vero che la stessa direttiva comunitaria prevede che nessuna sua disposizione dovrebbe vietare di applicare misure ritenute necessarie alla tutela dell'ordine, della moralità e della sicurezza pubblici, a condizione che tali misure siano conformi al trattato UE. Ed anzi in questo senso la stessa Corte di giustizia Ue ha ritenuto che il contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici rappresenta un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione ai principi generali del diritto comunitario.

Tuttavia tale restrizione, come già evidenziato in relazione all'ipotesi precedente, deve essere ispirata al principio di proporzionalità, cioè non deve eccedere quanto strettamente necessario per il raggiungimento dell'obiettivo. Nel caso di specie il principio di proporzionalità non risulta rispettato. Ciò in quanto il limite che viene introdotto è, ancora una volta, generale e astratto, prescindendo dallo specifico settore di attività, dalla natura delle prestazioni e dall'identità dei subappaltatori. Anche in questo caso dunque ciò che porta il giudice comunitario a sancire la non conformità al diritto comunitario della norma nazionale è la portata generale della limitazione introdotta, che annulla ogni possibilità di valutazione delle singole ipotesi da parte delle stazioni appaltanti. L'effetto di questi interventi del giudice comunitario sulla disciplina nazionale del subappalto è molto rilevante. In base a un orientamento consolidato tale effetto si sostanzia nell'obbligo di disapplicazione immediata delle due norme indicate anche da parte degli enti appaltanti, con una conseguente profonda modifica delle condizioni di utilizzo dell'istituto.

la sentenza della Corte Ue

La sentenza della Corte Ue

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