Appalti

Edilizia privata, concorrenza serrata tra le imprese per un business da 100 miliardi

di Aldo Norsa

Il 27 novembre - in concomitanza con un incontro-dibattito di commento tra i maggiori operatori del settore che si svolgerà a Milano presso Intesa Sanpaolo in piazza Belgiojoso 1 - sarà presentata (e pubblicata su Edilizia e Territorio) la classifica delle prime 50 imprese attive nel mercato dell'edilizia privata. Il nuovo rapporto - a stampa e on line, redatto dall'autore per conto della società di ricerca Guamari con la collaborazione del dottor Stefano Vecchiarino - fa rivivere una tradizione di fascicoli di classifiche delle maggiori imprese di costruzioni italiane, pubblicata da Edilizia e Territorio/Il Sole 24 Ore dal 2002 al 2016.

Il Rapporto Classifiche "Le prime 50 imprese di costruzioni dell'edilizia privata" contiene informazioni aggiornate dedotte da questionari inviati dalle imprese che hanno accettato di partecipare all'indagine. L'iniziativa è stata lanciata in un incontro/brainstorming il 18 giugno 2019 a Milano presso Ance Lombardia (seguito da una riunione operativa il 6 novembre con uno studio legale incaricato di definire clausole contrattuali tipo di interesse sia dei committenti che degli esecutori di edilizia privata) e propone un'aggiornata analisi del comparto. Il rapporto colma una lacuna di lunga data: la mancanza di un'analisi mirata dell'offerta di edilizia privata.

Complice anche l'attenzione spasmodica, da parte delle rappresentanze imprenditoriali e sindacali, al mercato delle opere pubbliche (amplificata da una polarizzazione del dibattito sul nuovo codice dei contratti che dura – incredibilmente – dal 2006) la frustrazione nei rapporti con la politica comporta una disattenzione verso un mercato in realtà più importante, anche se estremamente frammentato e di difficile lettura, come quello dell'edilizia privata. Dal punto di vista dell'industria delle costruzioni questo mercato, con gli oltre 100 miliardi all'anno di investimenti stimati, tra nuovo e recupero (senza contare i consumi), rappresenta tre quarti del mercato totale delle costruzioni secondo l'Ance), di cui ovviamente la quota di interventi abbastanza significativi da interessare le imprese più grandi e strutturate è difficilmente quantificabile, ma sicuramente non supera il 5 per cento. Con una forte prevalenza, come è ovvio, nelle maggiori aree urbane e, come è prevedibile, nelle zone più ricche e industrializzate del Paese che purtroppo escludono ampiamente il Meridione.

Dopo il calo del 2018, Scenari Immobiliari stima un incremento di oltre 30% nel 2019: 10,5 miliardi di investimenti istituzionali e esteri che diventeranno 12 nel 2020, di cui 50,5% in Lombardia. I soli investimenti esteri sono stimati in 7,3 miliardi, di cui 42,5% nel direzionale e 23,8% nel commerciale. Nel 2019 il fatturato immobiliare totale (transazioni incluse) è stimato in 129,4 miliardi (più 3,8%) in crescita del 2,2% nel 2020. Dall'esame dei dati di bilancio e delle informazioni aggiuntive fornite nei questionari emerge un quadro di imprese sempre più in affanno non tanto per carenza di domanda (seppur spesso polarizzata lontano da dove molte imprese hanno tradizionalmente sede) quanto per una "guerra dei prezzi" che si accentua quanto più si restringe il mercato dei lavori pubblici e aumenta il numero di imprese che si rivolgono in alternativa al privato. A consuntivo, i risultati di bilancio nel loro insieme sono migliori quando si confronta la classifica di Guamari delle maggiori imprese del privato con quella delle maggiori in senso lato (inclusiva di contraenti generali e imprese specialistiche), sebbene colpisca la molto minor propensione all'esportazione di lavori per committenti privati. L'esiguo apporto dei mercati esteri rischia di rappresentare un handicap serio nell'attuale scenario globalizzato, ma risulta facilmente comprensibile se si considerano i rischi di avventurarsi in Paesi dove le regole e i comportamenti non sono codificati (come nel mercato pubblico) e dove spesso per operare sono necessarie o sedi locali o partnership con operatori del luogo (relazioni non sempre facili da costruire e da mantenere).

Il quadro della concorrenza
Le imprese che lavorano nel privato si distinguono innanzitutto tra quelle che lo fanno in esclusiva, evitando le gare per opere pubbliche, e quelle che operano in entrambi i mercati. Il secondo caso è ovviamente quello dei maggiori contraenti generali (per loro natura "onnivori"), ma lo è anche di molte imprese medie, con un raggio d'azione più locale, che combinano lavori pubblici e privati per presidiare il territorio.
Un altro elemento di distinzione, specialmente tra le imprese di medie dimensioni, è relativo alle società che trovano sinergie tra la promozione immobiliare e i lavori in conto terzi. Una scelta che può pagare, in un contesto in cui il real estate è un business sempre più complesso, a condizione che l'impresa riesca a delimitare chiaramente l'attività finanziaria da quella industriale (sempre più divaricate sia come centri di costo che di ricavi). Inoltre, su un piano qualitativo, e strategico, si distinguono anche le imprese che cercano un vantaggio concorrenziale in progetti sfidanti non solo affrontando soluzioni tecnologiche innovative (eventualmente proprietarie) sia di prodotto che di processo, ma anche perseguendo sinergie con i progettisti (architetti e designer, ingegneri, …).

Quello che invece ancora non si nota, in un mercato che non premia né le economie di scala né quelle di processo, sono operazioni di "crescita esterna" anche perché le aziende sono spesso caratterizzate dal controllo familiare e non c'è interesse ad aprirsi a capitali terzi. Né i numerosi abbandoni del campo da parte di imprese fallite o comunque in procedure concorsuali hanno attirato l'interesse di società in buona salute se non eventualmente per il subentro in qualche specifica commessa (essendo molto meno pericoloso acquisire rami d'azienda che intere società).

Infine una particolare "nicchia" di mercato, in cui possono sfidarsi solo una minoranza delle 50 imprese qui esaminate, è quella degli edifici alti, che ha conosciuto un notevole rilancio nell'ultimo decennio (soprattutto a Milano). Per l'ingente importo delle singole commesse, per l'impegno organizzativo sia di progetto che di cantiere che richiedono, per la solidità finanziaria che presuppongono queste opere sono tali da permettere a quelle poche imprese che vi si cimentano con successo di costituirsi qualificazioni auspicabilmente nel prossimo futuro spendibili in un mercato internazionale in cui gli edifici alti sono merce ben più corrente che da noi.

I problemi degli operatori
Il top dell'imprenditoria soffre del fatto che la committenza privata (anche nelle sue punte più avanzate) non è educata a valutare adeguatamente le offerte in termini di "value for money", più sofisticati della nozione di "offerta economicamente più vantaggiosa" perché riguarda la triade "costi-tempi-qualità". Soffre anche quando all'impresa è chiesto di coinvolgersi in forme di ppp (public-private partnership) che non solo aumentano l'indebitamento, ma rischiano di inficiarne l'equilibrio economico a fronte di controparti pubbliche inaffidabili e rischi "ambientali" (in senso lato) imprevedibili. Altra sofferenza è nei rapporti con il mondo bancario, la cui selettività nel concedere affidamenti richiede alle imprese una sempre maggior "forza contrattuale" e una sempre maggior capacità di spiegare i propri numeri e convincere delle proprie strategie. Infine, in uno scenario nazionale di polarizzazione tra un vertice davvero finalmente internazionale come è quello del nascente "Progetto Italia" promosso da Salini Impregilo e una pletora di imprese medie, rischia di vedere nascere soggetti "pigliatutto" (memori delle antiche partecipazioni statali) che potrebbero creare problemi alle imprese sane ed escluse, anche sconfinando nel mercato privato.

Le sfide e le raccomandazioni
Salire di livello nella dimensione degli interventi è il "sogno nel cassetto" di molte imprese: la sfida degli edifici grandi e complessi ("tall buildings" e non solo) fa da spartiacque tra chi investe e si attrezza tecnologicamente e chi rimane indietro "andando sul sicuro". Ma la qualificazione non può che essere graduale, per crescita anche nelle prestazioni, rafforzata in presenza di clienti sofisticati che richiedono requisiti di partecipazione alle gare e criteri di valutazione delle offerte sempre più selettivi Dal momento che nel mondo hanno successo tanti esponenti del "made in Italy", spesso aziende che si riciclano nel contracting o nel fit-out (provenienti dall'industria degli elementi d'arredo) mentre le imprese edili sono quasi assenti ci si domanda perché vige il "bottom up" e non anche il "top down" nei rapporti di filiera? Risposta: il "made in Italy" non è altrettanto vincente nei lavori quanto lo è nelle forniture (e soprattutto nei complementi di arredo) perché quella "nicchia" ha ben altri margini (il mercato è B2C anziché B2B) e le "barriere all'accesso" sono molto inferiori rispetto alla concorrenza locale (e straniera). Quanto alle singole aziende è raccomandabile: 1) porsi come general contractor con un ufficio tecnico che riesamini il progetto e il contratto e ne contesti ogni aspetto che non soddisfi; 2) diversificare nei servizi, a cominciare dal facilities management o global service; 3) specializzarsi nelle nuove tipologie di intervento: retail, alberghiero (inclusi studentati), terziario avanzato, impiantistica sportiva.

Le imprese e la politica, piano d'azione per contare di più
In chiusura ecco un promemoria sul quale le maggiori imprese dell'edilizia privata hanno concordato di "dar battaglia". Le clausole che ricorrono con più frequenza e rendono i contratti privati squilibrati sono:

Sulle varianti e modifiche del cronoprogramma:
- la previsione che tutte le varianti rientrino nel prezzo e nei tempi contrattuali;
- oppure la previsione che qualora venga stabilito un prezzo per le varianti lo stesso sia preso dal prezziario DEI (tipografia del genio civile) con notevole ribasso;
- le clausole che prevedono che il committente possa modificare in qualunque momento il cronoprogramma senza riconoscere all'appaltatore gli eventuali oneri derivanti.

Sul progetto:
- le clausole che prevedono che tutti gli errori progettuali ricadano sull'appaltatore e non sul progettista.
- l'obbligo di una polizza assicurativa a copertura dei rischi derivanti da errori od omissioni progettuali con massimali elevati (che non si capisce perché debba essere a carico dell'appaltatore)
- gli oneri della sicurezza non computati nel PSC (piano sicurezza e coordinamento) a carico esclusivo dell'appaltatore.

Sui prezzi:
- le clausole che prevedono la deroga all'art. 1660 codice civile ossia variazioni del prezzo in caso di variazioni progettuali;
- le clausole che prevedono la deroga all'art. 1664 codice civile (revisione prezzi) ossia la revisione del prezzo in caso di variazione superiore al decimo dei prezzi dei materiali e della mano d'opera, nonché prevedono un equo compenso in caso di cause imprevedibili geologiche, idriche e simili.

Sulle sospensioni:
- le clausole che prevedono nessun compenso o indennizzo danni per l'appaltatore in caso di sospensioni dei lavori.

Sulle riserve:
- le clausole che prevedono termini stretti (tipo 5 giorni) per denunciare i danni (estendere almeno a 15 giorni).

Sulle penali:
- le clausole che prevedono penali giornaliere elevate;
- le clausole che non consentono di avere riaccreditato l'importo della penale intermedia in caso di rispetto del termine contrattuale finale;
- le clausole che prevedono penali che superino il valore del 10% del contratto.

Sulle garanzie:
- la ridondanza di garanzie (definitiva, perfomance, ritenute, ecc.);
- performance bond superiori al 10% dell'importo dei lavori e spesso solo bancario e senza possibilità di riduzione all'avanzamento dei lavori: ciò tiene bloccato il castelletto bancario per molto tempo;
- la consegna del performance bond alla data di stipula del contratto: impossibile perché le banche per emetterlo chiedono il contratto firmato dopodiché impiegano almeno 20 giorni per emetterlo;
- una durata eccessiva del performance bond (a volte superiore a un anno dalla fine lavori); tenendo conto che al termine dei lavori viene comunque attivata la decennale postuma e quindi il performance bond dovrebbe scadere alla data di sottoscrizione del verbale di accettazione impianti;
- un periodo di garanzia per vizi fino a due anni;
- coperture assicurative per i subappaltatori pari a quelle dell'appaltatore principale.

Sullo svincolo ritenute e fidejussioni:
- le clausole che prevedono lo svincolo a sei mesi o più, da ridurre con svincoli brevi (60 giorni al massimo) eventualmente dietro presentazione di fidejussioni;

Sulla cessione dei crediti:
- le clausole che vietano la cessione.

Sulle somme trattenute dal committente:
- le clausole generiche che prevedono tout court il diritto del committente a compensare qualsiasi somma indicata nei SAL (stati avanzamento lavori) con qualunque importo dovuto dall'appaltatore al committente nonché di trattenere eventuali somme nella misura necessaria a tutelare i diritti del committente nel caso di inadempienza dell'appaltatore alle obbligazioni derivanti dal contratto e suoi allegati.

Sulle clausole di manleva:
- le clausole che prevedono in modo ampio e generalizzato forme di scarico di responsabilità del committente per qualunque evento legato all'appalto.

Sul recesso:
- le clausole che derogano all'articolo 1671 del Codice Civile e che quindi negano il riconoscimento del mancato guadagno per l'appaltatore in caso di recesso del committente.

Sulla legge n.231/2001:
- le clausole che escludono gli operatori che abbiamo procedimenti penali ex legge 231/2001 pendenti e che quindi derogano ai princìpi costituzionali (articolo 27 comma 2 della Costituzione) che prevedono presunzione di innocenza fino a procedimento definito e che derogano all'articolo 80 del codice dei contratti pubblici che prevede l'esclusione solo in caso di condanna e non di pendenza di procedimenti.

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