Appalti

Illeciti professionali, esclusione possibile anche per le risoluzioni contrattuali contestate di fronte al giudice

di Roberto Mangani

Nell'assetto normativo delineato dalla versione originaria del D.lgs. 50/2016 relativo alla causa di esclusione dei gravi illeciti professionali non sussisteva alcun obbligo per i concorrenti di dichiarare, ai fini della configurazione di detta causa, l'esistenza di una risoluzione contrattuale per la quale fosse ancora pendente il relativo giudizio.
In questa ipotesi non poteva neanche considerarsi ricorrere la causa di esclusione relativa all'aver reso dichiarazioni non veritiere, poiché i concorrenti avrebbero in realtà omesso una dichiarazione (ammesso che vi fosse un obbligo in tal senso) e non prodotto una dichiarazione non veritiera.

Si è espresso in questo senso il Consiglio di Stato, Sez. III, 25 settembre 2019, n. 6433, le cui conclusioni vanno tuttavia sottoposte ad un'attenta analisi in relazione alle innovazioni introdotte rispetto al quadro normativo vigente al momento in cui si è verificata la fattispecie sui cui il giudice ammnistrativo è stato chiamato a pronunciarsi.

Il fatto
Un ente appaltante aveva indetto una gara telematica a procedura aperta per l'affidamento dei servizi integrati per la gestione di apparecchiature elettromedicali.
Un partecipante alla gara aveva proposto ricorso davanti al giudice ammnistrativo contestando l'ammissione di un altro concorrente che, secondo il ricorrente, aveva omesso di dichiarare alcune risoluzioni di precedenti contratti, per le quali peraltro erano ancora pendenti i relativi contenziosi.

Il Tar Puglia, investito del ricorso, respingeva la censura mossa dal ricorrente. A sostegno della sua decisione il giudice ammnistrativo rilevava che le risoluzioni contrattuali erano ancora sub iudice, ed erano quindi prive del carattere della definitività. Inoltre, affinché la risoluzione potesse assumere rilevo ai fini dell'esclusione del concorrente era necessario che la stessa fosse annotata sul Casellario informatico dell'Anac, poiché solo a seguito di tale annotazione vi poteva essere un'incidenza sull'affidabilità professionale del concorrente.
Non sussistevano quindi i presupposti per configurare un obbligo del concorrente di dichiarare le risoluzioni contrattuali. A fronte della mancanza di tale obbligo non poteva neanche configurarsi la causa di esclusione rappresentata dall'aver reso una dichiarazione non veritiera, che evidentemente riguardava una diversa fattispecie.
Contro la decisione del Tar Puglia l'originario ricorrente proponeva appello al Consiglio di Stato, che si è espresso con la sentenza in commento.

La decorrenza del termine per il ricorso
Prima di entrare nel merito il Consiglio di Stato ha affrontato un'importante questione preliminare relativa alla tempestività del ricorso originario.
Il concorrente della cui legittima ammissione si discuteva aveva infatti contestato tale tempestività, ritenendo che il termine dell'impugnazione decorresse dalla data della seduta di gara cui aveva partecipato il ricorrente, che attraverso la sua presenza avrebbe fatto acquisire al concorrente la piena conoscenza del provvedimento di ammissione e dei correlati atti di gara.
Il Consiglio di Stato ha invece respinto tale prospettazione. Ha infatti affermato che la mera presenza di un rappresentante del concorrente alla seduta di gara in cui sono deliberate le ammissioni e le esclusioni non è di per sé sufficiente a far decorrere il termine decadenziale per l'impugnazione, dovendosi fare esclusivo riferimento alla data di pubblicazione dei relativi provvedimenti sul profilo del committente.

I gravi illeciti professionali e gli obblighi dichiarativi
Il nucleo centrale della pronuncia riguarda la delimitazione dell'obbligo dichiarativo dei concorrenti attinente ai gravi illeciti professionali.
Come evidenziato in apertura la fattispecie su cui il Consiglio di Stato si è espresso faceva riferimento al quadro normativo delineato dall'articolo 80, comma 5, lettera c) del D.lgs. 50, nella sua versione originaria. Questa prevedeva che il grave illecito professionale poteva essere rappresentato, tra l'altro, dalla sussistenza di una risoluzione anticipata di un contratto non contestata in giudizio o confermata all'esito di un giudizio, causata da significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto.
Il giudice ammnistrativo ricorda che anche in tale quadro normativo vi era una tesi, fatta propria anche da un significativo orientamento giurisprudenziale, secondo cui il concorrente avrebbe dovuto dichiarare, a pena di esclusione, tutte le risoluzioni contrattuali eventualmente intervenute nei suoi confronti, anche se contestate in giudizio o non ancora confermate all'esito di un giudizio.

Tuttavia il Consiglio di Stato ha ritenuto di aderire alla tesi opposta, secondo cui in pendenza di un giudizio sull'intervenuta risoluzione non sussiste alcun obbligo dichiarativo in capo al concorrente né può essere imputata allo stesso una dichiarazione non veritiera.
Nel caso di specie non era quindi configurabile alcuna causa di esclusione nei confronti del concorrente, che aveva peraltro utilizzato i modelli dichiarativi messi a disposizione dall'ente appaltante, che facevano riferimento a risoluzioni contrattuali non contestate in giudizio ovvero confermate all'esito di un giudizio.

Inoltre le risoluzioni intervenute non figuravano nel Casellario informatico dell'Anac. E si deve quindi tenere conto dell'indicazione contenuta nelle Linee guida Anac n. 6 – nella loro versione originaria – secondo cui le dichiarazioni dei concorrenti dovevano riguardare le notizie inserite nel Casellario informatico astrattamente idonee a porre in dubbio l'integrità o l'affidabilità delle imprese.

La conclusione è quindi nel senso della piena legittimità dell'ammissione del concorrente, non sussistendo i presupposti per l'operatività della causa di esclusione costituita dai gravi illeciti professionali.

L'attuale quadro normativo
Il quadro normativo rispetto al quale è intervenuta la pronuncia del Consiglio di Stato ha subito alcune modifiche che impongono di verificare se le conclusioni cui è giunto il giudice amministrativo mantengano una loro valenza.
L'attuale formulazione dell'articolo 80, comma 5 del D.lgs. 50 ha separato la causa di esclusione costituita dal grave illecito professionale da quella della risoluzione contrattuale. In sostanza l'intervenuta risoluzione contrattuale per inadempimento dovuta a significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contatto di appalto (lettera c – ter) ha assunto un valore autonomo, essendo distinta dall'illecito professionale (lettera c) e non costituendo quindi più un'esemplificazione di quest'ultimo, come nel precedente assetto normativo.

Ciò detto la lettura testuale della norma sembra portare alla conclusione che la risoluzione contrattuale per inadempimento possa costituire causa di esclusione anche se contestata in giudizio, essendo venuta meno la specificazione contenuta nella precedente disposizione (risoluzioni contrattuali non contestate in giudizio ovvero confermate all'esito di un giudizio). Coerentemente anche l'onere dichiarativo dei concorrenti dovrebbe ricomprendere le risoluzioni in sé considerate, anche in pendenza del relativo giudizio.
Resta il dubbio sul fatto che un provvedimento sanzionatorio così invasivo come l'esclusione dalla gara possa intervenire anche sulla base di una risoluzione che in realtà è stata contestata dal concorrente. Quest'ultimo verrebbe infatti penalizzato in relazione a una risoluzione che potrebbe anche essere priva di fondamento e rispetto alla quale il concorrente resta privo di ogni tutela in relazione alla sua partecipazione alle gare, non essendo sufficiente neanche la contestazione in giudizio della stessa.

I caratteri del consorzio stabile
La pronuncia del Consiglio di Stato contiene interessanti affermazioni anche in relazione alla natura e alle modalità di funzionamento dei consorzi stabili.
Il primo carattere che viene evidenziato è che il consorzio stabile è dotato di un'autonoma struttura di impresa distinta da quella delle consorziate, che gli consente di eseguire anche in proprio – e cioè senza l'ausilio delle consorziate - le prestazioni oggetto del contratto di appalto, che vengono imputate al consorzio in quanto tale. In sostanza il consorzio può operare secondo una duplice modalità, o con la propria autonoma struttura ovvero avvalendosi delle imprese consorziate.

In presenza dell'autonoma struttura imprenditoriale e degli altri caratteri propri del consorzio stabile – essere formato da almeno tre soggetti che abbiano deliberato di operare in modo congiunto per almeno cinque anni – e in particolare della capacità di eseguire in proprio le prestazioni non rileva la circostanza che il consorzio non sia espressamente qualificato come stabile. Né rileva, ai fini di mettere in dubbio la sussistenza e la natura del consorzio stabile, la circostanza che gli amministratori del consorzio siano contemporaneamente soci o amministratori delle imprese consorziate.
Quanto ai caratteri dell'autonoma struttura non può assumere rilevo per smentirne la sussistenza il fatto che essa sia snella, anche considerando che esso può contemporaneamente servirsi della capacità esecutiva delle imprese consorziate. Sotto quest'ultimo profilo il consorzio stabile può servirsi della struttura delle imprese consorziate per configurare un nuovo assetto produttivo, purchè esso ne mantenga la responsabilità ultima.

Quanto infine al profilo della qualificazione, il consorzio stabile ha una propria autonoma qualificazione, con la conseguenza che è irrilevante che una o più delle consorziate non sia autonomamente in possesso dei relativi requisiti. Per la qualificazione del consorzio stabile opera peraltro il così detto criterio del cumulo alla rinfusa, in base al quale esso può cumulare i requisiti posseduti in proprio e quelli posseduti dalle imprese consorziate, rendendo quindi più agevole la sua partecipazione alle gare, in piena coerenza con la ratio dell'istituto.

La sentenza del Consiglio di Stato

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