Appalti

Gare, non c'è obbligo di dichiarare i processi in corso: il Tar boccia la sanzione dell'Anac

di Roberto Mangani

La disciplina sulle cause di esclusione dalle gare non prevede alcun obbligo in capo ai concorrenti di dichiarare la sussistenza di carichi pendenti nei confronti dei propri rappresentanti. Deve quindi ritenersi illegittima la Delibera dell'Anac che, sulla base della ritenuta violazione di questo presunto obbligo, abbia irrogato una sanzione pecuniaria a carico dell'impresa con contestuale annotazione sul casellario informatico.

Si è espresso in questi termini il Tar Lazio, Sez. I, 11 settembre 2019, n. 10837, con una pronuncia che offre un'interessante indicazione in merito alla corretta delimitazione degli obblighi dichiarativi in sede di gara, strettamente correlati alla definizione delle cause di esclusione, con specifico riferimento alla materia dei reati penali.

Il fatto
Invitalia aveva indetto una procedura di gara per l'affidamento di un appalto di lavori per la realizzazione di un istituto scolastico. In sede di svolgimento della procedura l'ente appaltante comunicava all'Anac una ritenuta omissione dichiarativa da parte di un subappaltatore di un concorrente.

In particolare il subappaltatore in questione aveva dichiarato in sede di gara - in coerenza con una specifica clausola contenuta nel bando – di accettare che la stazione appaltante potesse avvalersi di una clausola risolutiva espressa qualora nei confronti dell'imprenditore – o delle persone fisiche che lo rappresentavano – fosse stata disposta una misura cautelare o fosse intervenuto un rinvio a giudizio per uno dei reati specificamente indicati.
Nonostante questa dichiarazione il subappaltatore non aveva tuttavia dichiarato la sussistenza di carichi pendenti nei confronti di propri rappresentanti, ancorché vi fossero procedimenti penali in corso a loro carico.

A fronte di questo presunto inadempimento l'Anac irrogava nei confronti dell'impresa una sanzione pecuniaria con contestuale annotazione nel casellario informatico. Il provvedimento veniva giustificato sul presupposto che il comportamento dell'impresa configurasse un'ipotesi di colpa grave che dava luogo a un grave illecito professionale, di per sé idoneo a pregiudicare il rapporto di fiducia tra concorrente e stazione appaltante.

Contro la delibera dell'Autorità il concorrente proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo, chiedendone l'annullamento. A fondamento del ricorso il concorrente rilevava che nessuna delle norme che disciplinano le cause di esclusione dalle gare prevede l'obbligo per i concorrenti di dichiarare alla stazione appaltante l'esistenza di carichi pendenti in capo ai propri rappresentanti, posto che la causa di esclusione riferita ai possibili reati presuppone che sia intervenuta una sentenza definitiva o un decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o una sentenza di applicazione della pena su richiesta.

Né può ritenersi – come sostenuto dall'Autorità – che la mancata dichiarazione dei carichi pendenti configurasse un grave illecito professionale. Ciò infatti presupporrebbe che vi sia stata effettivamente un'omissione dichiarativa, laddove invece la stessa non è configurabile a fronte della mancanza di un corrispondente obbligo nella normativa di riferimento.
A ciò va aggiunto che non può neanche farsi riferimento a quanto previsto dal comma 12 dell'articolo 80 del Dlgs. 50/2016, secondo cui in caso di false dichiarazioni l'Anac, se ritiene che le stesse siano stare rese con dolo o colpa grave, può procedere all'iscrizione dell'impresa nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara. La norma, prevedendo un potere sanzionatorio, è di stretta interpretazione e quindi non può che riguardare esclusivamente l'ipotesi in essa contemplata - cioè le false dichiarazioni – e non la diversa fattispecie della (ritenuta) omessa dichiarazione.

La posizione del Tar
Il Tar ha accolto il ricorso del concorrente colpito dal provvedimento dell'Autorità. Quest'ultimo si fondava essenzialmente sulla configurazione a carico dell'impresa di un grave illecito professionale che sarebbe conseguente a un'omissione dichiarativa, configurabile in termini di falsa dichiarazione.

Secondo il giudice amministrativo questa prospettazione è errata. In primo luogo viene infatti evidenziato come, per stessa ammissione dell'ente appaltante, non via sia stata nel caso di specie una falsa dichiarazione quanto piuttosto, anche a volere accedere alla tesi più restrittiva, una mera carenza informativa.

Lo stesso ente appaltante, proprio sulla base di questa considerazione, non ha emanato alcun provvedimento volto a censurare il comportamento del concorrente né tanto meno ha proceduto all'esclusione dalla gara del raggruppamento che aveva dichiarato di avvalersi del subappaltatore che aveva omesso l'informazione.

In questa logica il Tar ricorda come l'articolo 80, comma 5 , lettera c) del D.lgs. 50, nel definire la causa di esclusione consistente nell'aver commesso gravi illeciti professionali, prevede che la dimostrazione degli stessi deve essere operata dalla stazione appaltante con mezzi adeguati. Nel caso di specie questa dimostrazione non è avvenuta, e anzi la stessa stazione appaltante ha qualificato la mancanza del subappaltatore di cui il concorrente intendeva avvalersi come una mera carenza informativa, di per sè non idonea a determinare l'esclusione dalla gara. Peraltro è solo la stazione appaltante che può dimostrare la sussistenza del grave illecito professionale, non potendo dispiegare alcun effetto le valutazioni effettuate dall'Autorità.

D'altro canto lo stesso Tar ha ritenuto che l'ente appaltante abbia operato correttamente nel non procedere all'esclusione del concorrente, considerato che il comma 1 dell'articolo 80 fa riferimento all'intervenuta sentenza di condanna definitiva – o provvedimento equivalente - e non certo alla mera pendenza di un procedimento penale.

Resta la circostanza che – come ricordato in apertura – in sede di gara il concorrente (e il suo subappaltatore) aveva esplicitamente accettato che la stazione appaltante potesse avvalersi della clausola risolutiva espressa qualora nei confronti dei rappresentanti dell'impresa fosse stata disposta una misura cautelare ovvero – circostanza rilevante nella fattispecie – fosse intervenuto un provvedimento di rinvio a giudizio per determinati reati.

Tuttavia secondo i giudici amministrativi l'attivazione di questa clausola poteva eventualmente intervenire nella fase esecutiva del contratto, e non certo nella fase di svolgimento della procedura di gara. Fase che rimane del tutto indifferente alla eventuale sussistenza di carichi pendenti, al punto che il giudice ammnistrativo non esita ad affermare che un'eventuale provvedimento di esclusione dalla gara adottato per questa ragione sarebbe da considerare illegittimo in quanto evidentemente contra legem, posto che la previsione normativa ricollega l'esclusione esclusivamente a una condanna divenuta definitiva.

Infine, a sostegno della legittimità del provvedimento assunto dall'Autorità non poteva essere invocata la previsione dell'articolo 80, comma 12. Infatti, come correttamente rilevato dal ricorrente, l'eventuale iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle gare può essere disposta solo in relazione a false dichiarazioni da parte del concorrente, mentre nel caso di specie si trattava tuttalpiù di una carenza informativa. E ciò, si ribadisce, in mancanza di qualunque norma che imponga al concorrente di dichiarare in sede di gara la sussistenza di carichi pendenti.

Commissione di reati e procedimenti penali in corso
La decisione, che appare condivisibile, si incentra sulla netta distinzione tra commissione dei reati accertata a seguito di sentenza o altro provvedimento avente i caratteri della definitività e pendenza di un procedimento penale diretto ad operare tale accertamento.

Come rilevato l'articolo 80 del D.lgs. 50 al comma 1 stabilisce espressamente che solo l'intervenuta sentenza di condanna definitiva per determinati reati costituisce causa di esclusione dalla gara. Questa previsione si pone in perfetta coerenza con la corrispondente disposizione comunitaria, anch'essa indirizzata a esigere che vi sia un provvedimento definitivo ad accertare la colpevolezza del concorrente.

È quindi evidente che il legislatore, nel definire la disciplina della responsabilità penale collegata all'esclusione dalla gara, ha inteso sancire che tale responsabilità deve essere accertata con sentenza passata in giudicato, mentre la semplice pendenza del procedimento penale non è di per sè elemento sufficiente per decretare l'esclusione del concorrente. Ed è in questa logica che non può trovare spazio un autonomo obbligo di dichiarare la sussistenza di carichi pendenti, proprio perché tale obbligo dichiarativo non trova corrispondenza in alcuna previsione di carattere sostanziale da cui far conseguire determinati effetti alla pendenza del procedimento penale.

A fronte di questa chiara impostazione costituisce altresì una forzatura ritenere che la mancata dichiarazione dei carichi pendenti costituisca un'ipotesi di grave illecito professionale, anche perché si finirebbe per far rientrare sotto altra forma una causa di esclusione che invece il legislatore ha espressamente evitato di considerare.

In questo senso si deve ritenere che il grave illecito professionale - nozione peraltro fluida – debba necessariamente muoversi in ambiti che non sono oggetto di specifica disciplina, proprio per non creare una pericolosa contraddizione all'interno del sistema normativo che disciplina le cause di esclusione dalle gare.

La sentenza del Tar

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