Appalti

L'interdittiva antimafia del prefetto giustifica la revoca della Scia

di Massimo Frontera

Un'impresa calabrese si è vista revocare la segnalazione certificata di inizio di attività a causa di interdittiva antimafia che la prefettura ha comunicato all'ente locale, in risposta alla richiesta di comunicazione antimafia liberatoria richiesta di quest'ultimo. La segnalazione di inizio attività si riferiva all'attività economica alberghiera, da svolgere in cinque diverse strutture. Strutture che, per effetto della revoca disposta dal comune dopo l'interdittiva antimafia comunicata dal Prefetto, sono state chiuse. Da qui il contenzioso, avviato dall'operatore economico, con ricorso al Tar Calabria e successivamente con ricorso in appello.

Il principale argomento difensivo opposto dall'impresa - e cioè il fatto che le attività soggette a Scia fossero di tipo «squisitamente privatistico» e, dunque, fuori dall'applicazione delle norme antimafia - è stato respinto sia dal Tar Calabria ( sentenza n.1544/2018 ) sia dal Consiglio di Stato. Quest'ultimo, in particolare, con la sentenza pubblicata il 2 settembre scorso ( n.6057/2019, Terza sezione ), ha argomentato l'illegittimità dei motivi addotti dall'operatore economico, con una articolata argomentazione. Aggiungendo inoltre che il comune non solo la possibilità ma anche il dovere di verificare la veridicità di quanto autocertificato dall'operatore economico, anche attraverso la richiesta alla Prefettura.

Documentazione antimafia anche sulle autorizzazioni
Il punto centrale della tesi dei giudici poggia sulla interpretazione della legge antimafia, e più particolare sull'ambito applicativo affidato al legislatore delegato dalla legge 13 agosto 2010 , n.136 (piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia). Si cita in particolare l'articolo 2 che, tra le altre cose, delega il governo a istituire la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all'accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell'attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa». Il fondamento dell'argomentazione dei giudici sta proprio in quel «tutti», riferito ai rapporti dell'operatore economico con la Pa. «È evidente - si legge nella pronuncia di Palazzo Spada - che l'art. 2, comma 1, lett. c) si riferisca a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti, come fanno invece, ed espressamente, le lett. a) e b) e, dunque, la lettera c) si riferisce anche a quei rapporti che, per quanto oggetto di mera autorizzazione, hanno un impatto fortissimo e potenzialmente devastante su beni e interessi pubblici, come nei casi di scarico di sostanze inquinanti o l'esercizio di attività pericolose per la salute e per l'ambiente». Quanto poi alla sottoposizione delle attività economiche oggetto di Scia alla normativa antimafia, i giudici ricordano che è espressamente previsto proprio dal Dlgs attuativo della legge citata delega. Più in particolare si ricorda che, l'articolo 89, comma 2, del Dlgs. n.159/2011 «prevede espressamente, alla lett. a), che l'autocertificazione, da parte dell'interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all'art. 67, riguarda anche "attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione"».

Il comune deve verificare quanto autocertificato dall'impresa
Se poi, a seguito di richiesta di comunicazione antimafia, la prefettura riscontra indizi di tentativi di infiltrazione mafiosa si ricade nel caso previsto dall'articolo 89-bis del Dlgs, con l'interdittiva antimafia che tiene luogo della comunicazione richiesta. «È chiaro quindi - concludono i giudici - per lo stesso tenore letterale del dettato normativo e per espressa volontà del legislatore antimafia, che le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia, diversamente da quanto assume l'appellante, e che il Comune ben possa e anzi debba verificare che l'autocertificazione dell'interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o, come nel caso di specie, revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto». «Nulla infatti impedisce al Prefetto e, anzi, l'art. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 – che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale: sent. n. 4 del 2018 della Corte costituzionale – espressamente gli impone di emettere una informazione antimafia, in luogo della comunicazione antimafia liberatoria richiesta dal Comune, laddove accerti la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa, anche quando tale richiesta sia effettuata in ipotesi di s.c.i.a. e/o durante i controlli che concernono le attività ad esse soggette, potendo le verifiche di cui all'art. 88, comma 2, essere attivate anche nel caso di autocertificazione, previsto dall'art. 89, comma 2, lett. a), anche per la s.c.i.a.».

La pronuncia del Consiglio di Stato

La pronuncia del Tar Calabria

La pronuncia della Corte Costituzionale n.4/2018

La pronuncia del Consiglio di Stato

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