Appalti

Lo Sblocca-cantieri schiude le porte del Ppp agli investitori istituzionali, ma ancora non basta

di Mauro Salerno

Investimenti, potenziali, per centinaia di milioni che rimangono fuori dalle porte dei cantieri per colpa di una normativa che ostacola l'intervento degli investitori istituzionali nelle infrastrutture. A volerlo riassumere sbrigativamente è questo il succo di un report messo a punto da Arpinge, società di investimento in infrastrutture nata nel 2014 per iniziativa di tre casse di previdenza legate alle professioni tecniche (Inarcassa, Cassa Geometri e Eppi, la cassa dei periti industriali). Il dossier, che mette in luce il gap tutto italiano in questo campo, porta alla richiesta di un'ulteriore modifica alle norme di settore, dopo la correzione apportata dal decreto Sblocca-cantieri che per la prima volta apre un varco più ampio all'intervento degli investitori istituzionali nel finanziamento delle infrastrutture con capitale privato (Ppp).

Di cosa parliamo? Grazie al decreto Sblocca-cantieri, che ha introdotto il comma 17-bis all'articolo 183 del codice appalti, Cassa depositi e prestiti (in qualità di Istituto nazionale di promozione) e altri investitori istituzionali (Fondi pensione, casse di previdenza, assicurazioni, fondazioni bancarie tra gli altri) potranno presentare alle amministrazioni proposte di partenariato anche fuori programmazione. «È un passo in avanti ma ancora insufficiente a sbloccare la situazione - dice Federico Merola, amministratore delegato di Arpinge -. Togliere di mezzo i paletti che bloccano l'intervento di questi soggetti nelle infrastrutture: questo sì che sarebbe un vero sblocca-cantieri».

In base ai dati forniti dal Dipartimento per la programmazione economica di Palazzo Chigi (Dipe), delle 39 operazioni di Ppp che hanno raggiunto il closing finanziario nel 2018, ben 21 hanno visto la partecipazione di investitori istituzionali (in particolare compagnie assicurative e fondi pensione). Situazione che si è verificata in otto diversi Paesi (dal Regno Unito alla Turchia, passando ovviamente per Francia e Germania) ma non in Italia.
Eppure, a sentire Merola, non è che mancherebbe l'interesse. «In Italia il risparmio istituzionale (fondi pensione, casse previdenza ecc.) ha raggiunto la quota di circa mille miliardi di euro ed è sempre più interessato agli investimenti in infrastrutture. Ma il coinvolgimento di questi soggetti si realizza solo a determinate condizioni di contenimento dei rischi».

E qui si arriva alle norme. La prima richiesta, piuttosto ambiziosa, sarebbe quella di separare il destino delle norme sulle concessioni da quello delle norme sugli appalti, «così come accade nelle direttive europee», dice Merola. Il secondo è quello di svincolare gli investitori interessati a proporre operazioni di Ppp dall'obbligo di presentarsi in associazione di impresa con i costruttori. E senza essere obbligati a costituire una società di progetto con le imprese, in caso di aggiudicazione. «Possiamo e vogliamo assumerci ampiamente il rischio di costruzione, ma non il rischio impresa (fallimento, comportamenti, performance). Anche perché si tratta di fornitori, dunque di controparti che invece in questo modo assumono un forte potere contrattuale a fronte di un impegno economico garantito da altri».

Nel report di Arpinge si sottolinea come il punto di partenza è un cambio di impostazione netto rispetto al modo di considerare le opere (soprattutto di taglia medio piccola come ospedali, scuole, parcheggi, progetti di riconversione urbana) che entrerebbero nel mirino di questo tipo di investitori. Soggetti "istituzionali" interessati a mettere in bilancio operazioni capaci di garantire ritorni stabili nel tempo e dunque sottratte alla volatilità tipica dei mercati finanziari. «Noi consideriamo le opere come uno strumento per fornire un servizio remunerato», dice Merola. Un'idea molto lontana da quanto accade nel mondo dei lavori pubblici dove si tende a massimizzare il rendimento del cantiere. «Non è un caso - viene sottolineato - come questo tipo di imposizioni siano presenti solo in Italia ». «In nessun altro Paese europeo - continua Merola - c'è l'obbligo per questi soggetti di costituire un'Ati o una società di progetto con un costruttore». Al contrario viene sempre garantita la possibilità di sostituire l'impresa eventualmente entrata in crisi. Mentre la garanzia che l'opera venga realizzata da un soggetto qualificato viene assolta attraverso la stipula di un contratto con un'impresa in possesso dei requisiti.

Intervenire su questi aspetti, è la conclusione, consentirebbe di aprire la strada agli investimenti dei soggetti che gestiscono forme di risparmio privato nelle realizzazione di nuove infrastrutture (progetti «greenfield» come si usa dire nel gergo anglosassone del mondo immobiliare).

Altre iniziative potrebbero riguardare anche il cosiddetto «brownfield», ovvero l'intervento in progetti già realizzati, attraverso l'acquisizione di concessioni in corso (per esempio parcheggi) o altri modelli di riqualificazione.

Anche per far decollare questo tipo di iniziative servirebbe però un intervento normativo. In questo caso a entrare nel mirino è l'articolo 177 del codice appalti: norma nata con l'obiettivo di alzare la quota di lavori da affidare in gara da parte delle concessionarie autostradali, ma che alla fine ha finito semplicemente per estendere il vincolo a servizi e forniture. «Questo significa - conclude Merola - rendere impossibile anche il subentro in concessioni in essere, perché l'investitore sarebbe poi costretto a scegliere il nuovo gestore o i fornitori con gare pubbliche. Ma non esiste nessun investitore istituzionale disposto a rischiare il risparmio privato gestito in operazioni altamente esposte al rischio di inefficienza legate per esempio al pericolo di ricorsi, ritardi, fallimenti».

A dire il vero sia l'Anac, nelle proprie linee guida (n.11), che il Consiglio di Stato (nel parere alle stesse linee guida) hanno assunto posizioni che libererebbero i soggetti privati da questi obblighi. L'interpretazione però non basta a fugare i dubbi di chi doivrebbe impegnare milioni di euro in questo tipo di operazioni. Di qui la richiesta di un nuovo intervento normativo utile a sgombrare il campo dagli equivoci, magari (se arriva in tempo) anche attraverso il nuovo regolamento attuativo unico messo in campo dallo stesso decreto Sblocca-cantieri.

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