Appalti

Speciale Sblocca-cantieri/2. Regolamento , appalto integrato, subappalto: le «incertezze» del decreto

di Alessandro Zuccaro (*)

Il decreto Sblocca-cantieri prevede numerose modifiche al codice dei contratti pubblici e introduce una nutrita serie di disposizioni parallele che, in via sperimentale, disciplineranno il settore fino al termine del 2020. Le finalità sono chiarite sin dal primo comma: «Rilanciare gli investimenti pubblici e facilitare l'apertura dei cantieri».
A dispetto dei propositi, però, la sensazione è che il testo non sia sorretto da una visione organica e metta insieme una serie di disposizioni che tradiscono una certa incoerenza di fondo e che in taluni casi, riguardanti alcuni degli istituti ritenuti più significativi dal Governo stesso, o risultano tra di esse difficilmente coordinabili se non addirittura inconciliabili o comunque non fanno chiarezza rispetto a profili particolarmente dibattuti oggetto di contestazione nell'ambito delle procedure di infrazioni avviate dalla Commissione Europea .
In definitiva, pertanto, i profili di incertezza non si riducono ma per certi versi aumentano mettendo a repentaglio gli intenti acceleratori e di ripresa perseguiti.
Il presente contributo intende mettere in evidenza le incertezze e le incongruenze che emergono da una prima disamina del testo e che contraddistinguono sia alcune scelte di fondo, come quella di introdurre un regime provvisorio per il 2019 e il 2020 o quella di recuperare la via del regolamento attuativo in luogo delle dibattutissime linee guida Anac, sia alcune soluzioni specifiche varate rispetto a istituti, come l'appalto integrato, il subappalto e i motivi di esclusione che, almeno stando agli annunci, dovrebbero costituire il fulcro della riforma.

Il regime sperimentale e le asimmetrie (o dimenticanze) del monitoraggio
Una prima incongruenza, forse la più veniale, è senza dubbio di metodo e riguarda il regime sperimentale e provvisorio delle disposizioni introdotte mediante i commi 1-19 del decreto.
Il co. 1 prevede che fino al 31 dicembre 2020 non trovi applicazione né l'art. 37, co. 4 del Codice che impone ai comuni non capoluogo di provincia di avvalersi degli strumenti di aggregazione e delle centrali di committenza ivi previsti, né il successivo art. 77, co. 3, che prescrive l'obbligo di avvalersi esclusivamente dei commissari iscritti all'Albo istituito presso l'Anac; né l'art. 59, co. 1 che sancisce il divieto di procedere all'affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione di lavori pubblici («appalto integrato»).
I successivi commi introducono una serie di disposizioni parallele al Codice che senza entrare a farne parte trovano applicazione soltanto per il 2019 e il 2020, ossia nel periodo corrispondente alla sospensione prevista per gli istituti appena considerati ovvero fino alla data di entrata in vigore del nuovo regolamento attuativo.
In definitiva pertanto, alcune disposizioni del codice dei contratti pubblici vengono congelate, mentre ne vengono introdotte altre che non entrano a far parte del codice e che varranno soltanto per il 2019 e il 2020.
Nell'uno come nell'altro caso si tratta di un regime provvisorio: il primo gruppo di norme viene sottoposto a un regime di sospensione; il secondo, invece, immediatamente valido ed efficace nasce per così dire con una data di scadenza già nota.
In questo scenario, il co 2. dell'art. 1 del Decreto attribuisce al Governo il compito di presentare una relazione alle Camere entro il 30 novembre 2020 «al fine di consentire al Parlamento di valutare l'opportunità del mantenimento o meno della sospensione stessa».
Formulata in questi termini, e collocata al comma 2, subito dopo la sospensione di cui al comma 1 e prima delle disposizioni provvisorie introdotte dal comma 3 in poi, la norma sembra limitare il monitoraggio e la relazione del Governo al solo primo gruppo di norme, l'unico da considerarsi sospeso. Sarebbe stato più coerente e opportuno includere nel monitoraggio anche il secondo gruppo di norme che incide, anch'esso in modo provvisorio, su istituti centrali nel panorama della disciplina vigente.
L'incongruenza è evidente e con un po' di buon senso potrà essere superata dal Governo estendendo la propria attività di analisi anche al secondo gruppo di norme.
L'accorgimento, peraltro, appare doveroso, giacché, come esposto nel prosieguo, vi sono norme appartenenti al primo gruppo che contrastano con quelle incluse nel secondo, rendendo di fatti impraticabile la sospensione prevista per il divieto di appalto integrato di cui all'art. 59, co. 1 del Codice.

Il ritorno al regolamento attuativo: sopravvivenza delle Linee guida?
Una seconda incongruenza di fondo riguarda il ritorno a un regolamento (apparentemente unico) attuativo del Codice, che comprenda e superi le misure attuative (linee guida e decreti ministeriali) già adottate dalla sua entrata in vigore ad oggi.
Sommando tra di esse le numerose disposizioni che intervengono sul punto emerge che il regolamento attuativo non andrà a sostituire tutte le linee guida e i decreti attuativi del Codice.
Le modifiche apportate, ad esempio, non incidono sull'art. 83, co. 13 del Codice stesso e non intaccano pertanto l'efficacia delle linee guida ivi previste in tema di grave illecito professionale (le linee guida n. 6) che continueranno a costituire il punto di riferimento in materia. Lo stesso discorso vale per l'art. 181 del Codice e per le linee guida (n. 9) sui sistemi di monitoraggio da applicare in caso di partenariati pubblico-privati. Anche questa disposizione, infatti, non è intaccata dalle modifiche previste dal Decreto e anche in tal caso le linee guida Anac continueranno a esercitare la propria funzione di riferimento.
Il regolamento andrà a sostituire "soltanto" le linee guida e i decreti attuativi vigenti rispetto ai temi specificamente riassunti nel nuovo co. 27-octies dell'art. 216 del Codice e cioè in materia di
a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento;
b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto;
c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali;
d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie;
e) direzione dei lavori e dell'esecuzione;
f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali;
g) collaudo e verifica di conformità;
h) affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici;
i) lavori riguardanti i beni culturali".
Lo stesso co. 27-octies prevede poi che nelle more dell'entrata in vigore del regolamento, le linee guida e i decreti attuativi riguardanti le tematiche appena elencate restino in vigore «in quanto compatibili [..] e non oggetto delle [..] procedure di infrazione» avviate dalla Commissione Europea. Inoltre, durante il medesimo periodo di transizione, il Ministero delle infrastrutture e l'Anac conserveranno l'onere di modificare i provvedimenti attuativi di propria competenza «ai soli fini dell'archiviazione delle citate procedure di infrazione».
La disposizione transitoria è stata introdotta in sede di conversione con il chiaro intento di porre rimedio ai limiti della soluzione precedentemente prevista nel testo adottato dal Governo. Inizialmente, infatti, il decreto stabiliva che le linee guida e i decreti ministeriali attuativi destinati a esser sostituiti dal regolamento attuativo sarebbero rimasti in vigore o efficaci «fino alla data di entrata in vigore del regolamento».
L'Anac, tuttavia, aveva segnalato il rischio che la norma così formulata finisse per cristallizzare i contenuti delle linee guida in essere senza consentirle di apportare le modifiche necessarie a garantire il necessario coordinamento rispetto alle modifiche apportate al quadro normativo di rango primario .
Ciononostante, la formulazione prevista in sede di conversione non risolve il problema. Il co. 27-octies, infatti, autorizza sì l'Anac e il Ministero delle infrastrutture a modificare i provvedimenti di loro competenza destinati a esser sostituiti dal regolamento, ma «ai soli fini dell'archiviazione delle citate procedure di infrazione».
Permane il rischio, dunque, che parte delle linee guida e dei decreti ministeriali attuativi restino di fatto inapplicabili nelle more dell'adozione del regolamento.
In aggiunta, in netta contrapposizione con l'idea di superare il regime delle linee guida, il decreto stesso demanda all'Anac il compito di adottarne di nuove in materia fin ora sottratte alla propria competenza. L'art. 2, co. 6 del decreto, infatti, nel modificare la disciplina prevista dall'art. 110 del Codice in tema di crisi di impresa, demanda all'Anac il compito di definire i "requisiti aggiuntivi" che l'impresa in concordato deve possedere per partecipare a gare d'appalto, ovviando all'obbligo di avvalimento altrimenti previsto .
La competenza, peraltro, oltre a contrastare con i propositi di semplificazioni perseguiti, non appare neppure coerente con il ruolo dell'Anac stessa, incidendo su una materia che afferisce più specificamente alla disciplina delle procedure concorsuali, di competenza del giudice delegato.

Nel lungo periodo, poi, il grado di complessità e i margini di incertezza non sembrano destinati a diminuire. Anche quando sarà pienamente in vigore, infatti, il regime previsto dal Decreto non porterà a una semplificazione, bensì a un ulteriore stratificazione della disciplina attuativa. Il regolamento, infatti, non costituirà l'unico provvedimento attuativo, ma si affiancherà alle linee guida e ai decreti previgenti non intaccati dalla riforma, nonché alle ulteriori linee guida che lo stesso decreto demanda all'Anac.

Il divieto di appalto integrato e una sospensione rimasta in sospeso
A destare perplessità è anche l'architettura sostanziale proposta a soluzioni specifiche. È il caso, già segnalato dai primi commenti, della sospensione del divieto di appalto integrato che, nei termini in cui è formulata, appare francamente inattuabile e destinata, ed è un paradosso, a rimaner essa sì sospesa e inattuata fino a un intervento chiarificatore del Legislatore.
Le ragioni, però, vanno ben al di là dell'infelice formulazione letterale delle norme e tradiscono ancora una volta l'assenza di una visione organica capace di mettere a sistema e coordinare adeguatamente le modifiche introdotte.
Il regime previsto, infatti, sospende soltanto il quarto periodo del co. 1 dell'art. 59 del codice, ossia la disposizione che sancisce il divieto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione dei lavori, ma non si premura di coordinare tale sospensione con il terzo periodo del medesimo co. 1 e con il successivo co. 1 bis dello stesso art. 59.
Tali previsioni, non colpite dalla sospensione, sanciscono che gli appalti di lavori siano affidati ponendo a base di gara il progetto esecutivo e che tale regola possa esser derogata nei soli casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo delle opere sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori.
Da una parte, quindi, viene sospeso il divieto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione dei lavori, lasciando presagire la possibilità di ricorrere allo strumento dell'appalto integrato, dall'altro, però, restano pienamente efficaci le norme che sanciscono l'obbligo di porre a base di gara un progetto esecutivo e che pertanto precludono la possibilità stessa di ricorrere a una forma integrata di appalto.
Fin qui quanto già rilevato dai primi commenti. Il tutto, però, è reso ancor più contraddittorio dal mancato coordinamento tra la pretesa sospensione del divieto di appalto integrato e quanto previsto dall'art. 1, co. 6 del Decreto stesso.
Tale disposizione, nel testo varato dal Parlamento, prevede che, durante lo stesso periodo di sospensione del divieto di appalto integrato, sia possibile affidare ed eseguire i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla base di un progetto definitivo, ma solo se i lavori non comportino il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti. Almeno per gli affidamenti che non comportino questo tipo di lavori, pertanto, le soluzioni a disposizione sembrano chiare: le stazioni appaltanti potranno porre a base di gara il solo progetto definitivo e o procedere con appalto integrato, rimettendo al privato la progettazione esecutiva o prescindere totalmente da quest'ultimo livello di progettazione.
Al contempo, però, la stessa norma esclude espressamente che sia possibile limitarsi al progetto definitivo per gli interventi di manutenzione straordinaria che prevedano il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti. Per questo tipo di lavori, pertanto, proprio nel periodo in cui dovrebbe esser sospeso il divieto di ricorrere all'appalto integrato, sarà o almeno dovrebbe esser necessario ottemperare a un'indicazione di segno opposto. Detto altrimenti, sarà necessario porre a base di gara un progetto esecutivo. Ma se una necessità simile è valida per i lavori di ristrutturazione straordinaria che prevedano il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali di opere o di impianti a maggior ragione dovrà, o quanto meno dovrebbe, ritenersi valida anche per i lavori di realizzazione di nuove opere che, per definizione, implicano l'esecuzione di opere e impianti strutturali. Tirando le fila, quindi, non vi sono molti margini per ritenere effettiva la sospensione del divieto di ricorrere all'appalto integrato che, per quanto si è detto appare un'opzione allo stato non percorribile.

I limiti storici del subappalto. Parola alla Corte?
Nello scenario fino ora considerato un cenno a parte va alle modifiche introdotte in tema di subappalto. Le modifiche, disciplinate dall'art. 1, co. 18 del Decreto, rientrano nel set di norme che senza entrar a far parte del codice e senza abrogare le disposizioni diverse ivi contenute prevedono un regime provvisorio per così dire parallelo valido fino al 31 dicembre 2020. Almeno in astratto, peraltro, si tratta di disposizioni che, come si è detto, non ricadono tra quelle che il Governo dovrà monitorare ai fini della relazione da presentare alle Camere entro la fine del novembre 2020.
Nello specifico, le misure provvisorie previste innalzano, sino al 31 dicembre 2020, la quota subappaltabile di lavori, servizi e forniture fino al 40% dell'importo complessivo del contratto e congelano, per il medesimo periodo di tempo, sia l'obbligo di indicazione della terna di cui al co. 6 dell'art. 105 e del terzo periodo del co. 2 dell'art. 174, sia le verifiche in sede di gara sulla sussistenza in capo al subappaltatore dei motivi di esclusione di cui all'art. 80.
Ai fini dell'ammissione in gara e della successiva aggiudicazione, pertanto, non sarà più necessario, almeno fino alla fine del 2020, indicare i nominativi dei subappaltatori né procedere alle summenzionate verifiche che avranno luogo esclusivamente in fase di esecuzione.
La modifica, seppur provvisoria, sarà salutata con favore dagli operatori di settore.
Tuttavia, l'aver eliminato l'onere di indicazione della terna, mantenendo al contempo il limite della quota subappaltabile, innalzato al 40%, non risolve e anzi per certi versi incrementa i profili di incertezza già emersi nell'ambito della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea.

In questi termini infatti la norma prevede un limite percentuale astratto oltre il quale il ricorso al subappalto sarebbe precluso, finendo così per contrastare con il noto orientamento della Corte di giustizia, richiamato dalla Commissione nella nota di apertura della procedura infrazione inviata all'Italia il 14 gennaio 2019, a mente del quale «una clausola [..] che impone per l'appunto limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell'appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe [..] risulta incompatibile» con il quadro normativo di rango europeo. Vero è che la pronuncia si basa sulla precedente Direttiva 2004/18/CE, ma vero è pure che le disposizioni ivi contemplate non divergono da quelle attuali.

In sostanza, l'unica via per minimizzare il rischio di contestazioni in sede europea sarebbe stata probabilmente quella di sganciare il limite al subappalto dalla previsione di una quota percentuale astratta per circostanziarlo, invece, sulla base della natura tecnica delle prestazioni ritenute essenziali, gravando il privato dell'onere di indicare gli eventuali subappaltatori e quindi di dimostrare le loro capacità tecnico professionale e, prima ancora, l'assenza di motivi di esclusione ex art. 80 del Codice.

Si tratta, tuttavia, di un argomento da sempre dibattuto che investe una soluzione per così dire storica del nostro ordinamento e che, nonostante il precedente giurisprudenziale richiamato dalla Commissione, non ha ancora trovato compiuta definizione neppure a livello europeo. Sicché, appare fisiologico, e per certi versi maggiormente opportuno, che nel dialogo tra i diversi ordinamenti, la questione venga risolta dalla stessa Corte di Giustizia a meno di una improbabile liberalizzazione in via normativa dell'istituto in questione.
(*) Pedersoli Studio Legale

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