Appalti

Concessioni, autostrada Tirrenica: in arrivo sentenza della Corte Ue contro l'Italia

di Massimo Frontera

La concessione della incompiuta A12 Livorno-Civitavecchia, affidata senza gara nel 1969 alla società Autostrada Tirrenica (Sat), e successivamente prorogata, sempre senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica, si avvia verso una condanna della Corte Ue. L'esito, sfavorevole al nostro paese, appare scontato dalla conclusioni dell'avvocato generale della Corte, pubblicate ieri sul sito della Curia europea. Il documento raccomanda alla Corte Ue di considerare la proroga decisa dal governo italiano una «modifica sostanziale» alla concessione esistente e, in quanto tale, una violazione alla direttiva Ue sugli appalti pubblici.

La contestazione di Bruxelles all'Italia - le cui tappe principali sono il parere motivato del 2014 e il deferimento alla corte Ue il 17 maggio 2017 - riguarda il mancato rispetto dei principi di concorrenza fissati dalle direttive Ue, da ultimo declinato nel codice dei contratti pubblici italiano. La gestione dell'autostrada affidata a Sat (99.92% Autostrade per l'Italia) è regolata da una concessione modificata tre volte. Con l'ultima modifica - del 2009 - è stata fissata una nuova scadenza alla fine del 2046 invece del 2028, prorogando cioè di 18 anni la sua scadenza. Lo scontro con Bruxelles è appunto la proroga, che - contesta la Commissione Ue all'Italia - rappresenta una violazione ai principi di concorrenza comunitari. Fino al 2017, anno in cui l'Italia viene ufficialmente deferita alla Corte Ue, sono stati realizzati 54,6 km di tratti autostradali.

Le schermaglie, le promesse e il primo parere motivato del 2014
Alle prime richieste di chiarimento di Bruxelles - nel 2009 - l'Italia ha risposto che avrebbe accorciato la scadenza di tre anni, portandola quindi al 2043, e che avrebbe affidato tutti gli appalti di lavori con gara. «Sulla base di tale impegno, la Commissione ha deciso di non dare seguito alla denuncia n. 2009/4154». Quando poi l'Italia (nel 2009 e nel 2012) ha assegnato a due società in house due appalti da 34,7 e 117,3 milioni di euro (pari al 30% del valore complessivo dell'opera), la commissione, nel 2014, ha inviato all'Italia una lettera contestando la violazione della direttiva 2004/18 per il fatto di avere prorogato la concessione senza una gara. Dall'Italia è arrivata ancora una volta la promessa di abbreviare la durata della concessione di tre anni più la nuova promessa di affidare con gara il 70% dei lavori dell'opera. A questo punto - siamo nell'ottobre del 2014 - Bruxelles ha inviato il parere motivato all'Italia, con due contestazioni: l'affidamento in house dei due appalti (pari al 30% dell'opera) e la proroga senza gara della concessione.

Dal parere del 2014 alla conclusione dell'istruttoria
Al parere motivato del 2014 è seguito un fitto carteggio volto, nelle intenzioni dell'Italia, a convincere Bruxelles della correttezza delle decisioni. Tra le altre cose, l'Italia ha anche proposto/promesso e un maggiore sconto sulla durata della concessione. La Commissione ha però sempre respinto le proposte di compromesso avanzate dall'Italia e ha invece chiesto all'Italia di ripristinare l'iniziale scadenza del 2028. Alle ulteriori proposte/promesse avanzate dall'Italia, Bruxelles ha infine deciso, nel settembre 2017, di avviare una procedura di infrazione.

La convenzione nasce prima dell'Europa, ma la proroga no
Il braccio di ferro sulla proroga della concessione vede due interpretazioni opposte. Bruxelles, pur riconoscendo che l'inziale convenzione del 1969 fosse precedente all'attuale quadro comunitario di regole sui appalti e concorrenza, sostiene che la proroga decisa nel 2009 avrebbe dovuto rispettarlo. L'Italia invece ha sostenuto che la proroga è un atto in continuità con la concessione del 1969. «È pacifico - si legge in un punto delle osservazioni dell'avvocato Ue - che la convenzione di cui trattasi rientra nella definizione di contratto di concessione di lavori pubblici di cui all'articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2004/18. Inoltre, essa supera chiaramente il valore soglia previsto all'articolo 56 della suddetta direttiva, come modificata. Di conseguenza, la convenzione del 2009 rientra, ratione materiae nonché ratione temporis, nell'ambito di applicazione della direttiva 2004/18».

La proroga e le due interpretazioni: riduttiva ed estensiva
L'avvocato generale, nel corso della sua trattazione, smonta anche un altro argomento che l'Italia a un certo punto ha proposto nella sua interlocuzione con Bruxelles. E cioè che la proroga del 2009 potesse riferirsi non a tutta l'opera in progetto ma alla sola tratta di 36 km circa realizzata all'epoca. Questa interpretazione restrittiva viene però respinta, anche perché - come sottolinea l'avvocato generale - nel 2009 non è stata solo allungata la durata ma è anche stato modificato il "tipo" di proroga: l'iniziale scadenza di 30 anni a partire dal realizzarsi di un determinato evento è stata sostituita da una data certa. In altre parole, un periodo "mobile" è diventato un periodo di tempo definito. Ecco cosa dice il testo: «Anche si adottasse un approccio che potrebbe essere definito "notevolmente restrittivo", ai sensi del quale le pattuizioni contenute nella convenzione del 2009 relativamente alla seconda e alla terza tratta dell'autostrada sono poste a confronto soltanto con le condizioni fissate nelle convenzioni del 1969 e del 1987, resta il fatto che il termine è stato modificato da un periodo "mobile" di 30 anni ad un periodo definitivo di 37 anni. Pertanto, anche adottando siffatta interpretazione notevolmente restrittiva, la sostanza dell'affermazione della Commissione rimane immutata. Le condizioni della convenzione sono state modificate».

I «lavori complementari»
L'avvocato generale respinge a mittente un altro argomento difensivo avanzato dall'Italia, e cioè che i lavori indicati in una fase successiva potessero essere derogare alle regole su appalti e concorrenza in quanto «complementari» all'oggetto della originaria concessione. Anche in questo caso, Bruxelles non è d'accordo. «Non ritengo - scrive l'avvocato generale - che l'Italia possa invocare l'articolo 61 della direttiva 2004/18, che permette modifiche per quanto riguarda "lavori complementari". La modifica sostanziale tra il 1999 e il 2009 non ha riguardato la portata dei lavori originariamente concordati che dovevano essere effettuati dal concessionario, bensì il tempo concesso alla Sat per ricavare profitti a seguito della loro ultimazione. Siffatta modifica non rientra nell'ambito di applicazione ratione materiae dell'articolo 61. A mio avviso, la modifica della durata della concessione, introdotta dall'articolo 4.1, della convenzione del 2009, ha rappresentato una modifica sostanziale, indipendentemente dal fatto che essa sia considerata in relazione alla convenzione del 1999 (come sostiene la Commissione) o alla convenzione del 1969 (l'approccio proposto dal governo italiano). La conclusione della convenzione del 2009 senza una procedura di appalto pubblico ha costituito, pertanto, una violazione dell'obbligo della parità di trattamento di cui all'articolo 2 della direttiva 2004/18 e dell'obbligo di pubblicare un bando di gara di cui all'articolo 58 della stessa».

Conclusione: Italia ha violato la direttiva 2004/18
Infine, la conclusione: «Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo pertanto alla Corte di: 1) dichiarare che la proroga, dal 2028 al 2046, del termine della concessione di lavori pubblici per la costruzione e la gestione dell'autostrada A12, introdotta nel 2009, ha costituito una modifica di un aspetto sostanziale della convenzione del 1999 tra l'amministrazione aggiudicatrice (Anas) e la concessionaria (Sat) e che, omettendo di sottoporre tale modifica a una procedura di appalto pubblico, la Repubblica italiana ha violato i propri obblighi ai sensi degli articoli 2 e 58 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, così come modificata; 2) condannare la Repubblica italiana alle spese».

LE CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

Le conclusioni dell'avvocato generale Eleanor Sharpston

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