Appalti

Intervento. Imprese in crisi: occhio ai salvataggi con il binomio newco-bad company a danno delle Pmi

di Edoardo Bianchi (*)

Di recente sempre più frequentemente si registrano crisi di imprese operanti nel settore delle infrastrutture che interrompono cantieri in corso di esecuzione.
Negli ultimi tempi le crisi non hanno risparmiato nessuno senza distinzione di dimensioni o settore di intervento, coinvolgendo anche grandi gruppi imprenditoriali.
Molteplici sono le cause, diverse vengono da molto lontano, di questa crisi che possiamo definire sistemica senza ombra di smentita. Le riflessioni che seguono non chiamano in causa solo il Codice degli appalti perché, sebbene lo stesso abbia fornito un eccezionale contributo, lo stato di caos attuale ha diverse cause.

Nessuno è esente da responsabilità ed ognuno deve provare a fornire il proprio contributo per uscire da questa situazione fallimentare. Sicuramente vi è una normativa ridondante, contraddittoria, poco chiara, incompleta che vuole disciplinare, senza riuscirci, tutto nei minimi particolari. Ma vi è di più.

Sicuramente vi è una paralisi della macchina amministrativa dove è di fatto più comodo non firmare che firmare.

Il lungo periodo di blocco del turn over nella pubblica amministrazione ha acuito questa tendenza impedendo l'immissione di forze nuove che potessero consentire alla macchina pubblica di stare al passo con i mutati tempi.

Prima di ogni altra cosa, è necessario rideterminare il perimetro del reato di abuso di ufficio e della configurazione del danno erariale. Autorevoli giuristi hanno evidenziato da tempo l'assoluta residualità, rispetto alle fattispecie contestate, delle condanne al termine del primo grado di giudizio del reato di abuso di ufficio; per non parlare poi al termine dell'intero iter processuale.

Come Ance abbiamo evidenziato la necessità di riconfigurare il perimetro del reato di abuso d'ufficio, a partire dalla figura dell'omissione di atti d'ufficio, affinché non diventi più conveniente il “non fare” piuttosto che” il fare”. Abbiamo chiesto anche di escludere le possibilità di richieste di risarcimento per danno erariale da parte della Corte dei Conti, di escluderla in ogni caso, in presenza di sentenze riformate tra vari gradi di giudizio, e comunque ogni volta che il pubblico funzionario dia specificamente conto nella sua delibera di aver agito in adempimento di circolari, linee guida, bandi tipo (Mit/Anac) o sentenze, salvo che la Corte dei Conti non dimostri la mala fede o il dolo.

Nessun dipendente pubblico fornirà una risposta che presuppone l'assunzione di una minima responsabilità attendendo che siano altri (perché no anche la magistratura), a prendere la relativa decisione.
D’altra parte è stato mai qualcuno chiamato a rispondere per danni rispetto ad una non decisione o ad una decisione assunta al di fuori di ogni obiettività se non quella di togliersi dai piedi la scabrosità di una vera scelta rimandando il tutto a determinazioni future di terzi?

Durante il corso della esecuzione di un contratto tutto questo è inaccettabile perché determinerà maggiori tempi di esecuzione con inevitabili maggiori oneri per tutti.
Quale decisone serena, intesa come imparziale ed obiettiva, potrà essere assunta ? Si preferisce non decidere o decidere iper realisticamente contro la impresa.
È civile un sistema dove in caso di contenzioso servono oltre 10 anni per decidere chi ha ragione? Trascorsi oltre 10 anni dall'evento ha senso parlare di giustizia ?
È necessario attivare sin da subito le varie opzioni che la normativa prevede al riguardo (Ctc, arbitrato presso Anac, componimenti bonari, Tribunali per le imprese), tutte sin ora disattese.

Sicuramente questa crisi è anche imputabile ad un sistema dove la centralità non è più individuata nella esecuzione dell’opera. Piuttosto, da parte del legislatore, è stata attribuita rilevanza al fatto che le imprese riescano ad acquisire lavori indipendentemente dal ribasso offerto (ma è possibile ?) pur di firmare contratti da portare in banca ed implementare dati quantitativi che nulla dicono della bontà e professionalità dell’impresa.

Da tempo chiediamo di essere valutati come imprese anche su valori qualitativi e reputazionali che forniscano contezza della reale forza ed idoneità della impresa ad essere abilitata a contrarre con la pubblica amministrazione.

Non è (solo) rilevante quanti contratti ho assunto ma quanti contratti ho portato a termine positivamente, a prescindere da responsabilità esterne alla impresa, ottemperando correttamente e tempestivamente alle obbligazioni contrattuali (pagando ogni maestranza e fornitura presente in cantiere). Sicuramente vi sono cattivi comportamenti delle stazioni appaltanti in singoli casi specifici.

In questo senso è inaccettabile che attualmente vi siano due procedure di infrazione contro lo Stato italiano per i termini di pagamento che le stazioni appaltanti utilizzano per saldare alle imprese i lavori eseguiti. Di recente il comportamento di due tra le principali stazioni appaltanti italiane è stato stigmatizzato dall' Europa sempre sul medesimo tema.
Il corretto pagamento dei lavori contabilizzati nonché la tempestiva risoluzione di eventuali controversie scongiurerebbero la situazione di crisi in cui potrebbe venire a trovarsi una azienda con tutte le ripercussioni del caso.

Vi è però un tema aggiuntivo che merita una attenzione particolare: le imprese in crisi in senso stretto. In questi ultimi mesi vi è stata grande attenzione, in pratica quasi ogni giorno sui principali organi di informazione ci sono articoli al riguardo, su come è possibile salvare le risorse umane, tecniche, professionali e patrimoniali di alcuni grandi gruppi in crisi.
Ben venga, tutto il possibile deve essere fatto!

Le varie ipotesi rappresentate prevedono la creazione di una o più newco dove fare confluire gli asset positivi. Ogni newco prevede però una bad company, dove far confluire le partite non appetibili, quindi in primis i debiti (intesi in senso lato). Cosa vi è nei debiti ? Principalmente tutti quei chirografari (imprese, fornitori, subappaltatori, professionisti …) che hanno consentito il progredire dei lavori.

Costoro verranno solo parzialmente soddisfatti e comunque in maniera residuale.
I casi portati all'attenzione delle cronache sul Quadrilatero (Marche) o sulla Agrigento/Palermo, sulla Palermo/Catania, sulla Sassari/Olbia, sulla SS 195 ne sono la riprova. Opportunamente sindacati ed Ance hanno chiesto al Mise l'attivazione di un tavolo di crisi che affronti questa problematica che nei prossimi mesi potrebbe riguardare molti luoghi di produzione, con perdite enormi in termini di occupazione.

Dobbiamo, però, pretendere la medesima attenzione a salvaguardare anche i legittimi interessi e diritti di tutti coloro che pur non raggiungendo singolarmente una massa critica di interesse nazionale sono comunque portatori di eguali valori.
Dietro ogni newco si annidano lacrime e sangue: non si possono liquidare con un termine (chi sa mai perché straniero) criptico ai più, i sacrifici e le professionalità di centinaia di imprese e migliaia di lavoratori.

Il futuro del settore non può prescindere da queste micro/piccole/medie imprese che hanno effettivamente portato avanti i lavori.
Il futuro del settore dopo aver perso mediamente 60.000 lavoratori in ognuno degli ultimi 10 anni merita per lo meno la stessa attenzione riservata ai 100 lavoratori della Pernigotti.

(*) Vicepresidente Ance con delega ai Lavori pubblici

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