Appalti

Grandi imprese, «a rischio 25mila posti». I sindacati: «Fondo di garanzia statale»

di Alessandro Arona

La crisi delle cinque grandi imprese di costruzione in concordato preventivo o amministrazione controllata (Astaldi, Condotte, Cmc, Grandi Lavori Fincosit, Tecnis) mette a rischio circa 25mila posti di lavoro, tra diretti (2.260) e nelle società attive sui cantieri (22.970).

Il numero complessivo è stato elaborato dai sindacati dell’edilizia (Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil), e corrisponde alla somma dei dipendenti di Ilva e Alitalia messi insieme. «Eppure - denunciano i sindacati - le crisi vengono affrontate dal governo una per una, senza coordinamento e senza una politica industriale per il rilancio di un settore che in dieci anni ha fatto perdere all’Italia il 4% del Pil, 600mila occupati e 120mila imprese».

I tre sindacati dell’edilizia hanno lanciato ieri una mobilitazione sui cantieri che durerà i prossimi due mesi, per sfociare il 15 marzo in una manifestazione nazionale a Roma. La crisi dell’edilizia - sostengono - non accenna a ridursi e anzi è stata alimentata nel corso del 2018 dalla crisi delle grandi imprese e dall'incertezza portata dal governo Conte in tema di grandi opere; e ora la legge di Bilancio 2019 «punta su meri interventi assistenzialistici e non al rilancio, pure annunciato nei mesi scorsi, di investimenti pubblici e occupazione».

I sindacati chiedono una Cabina di regia unica del governo e un Fondo di garanzia per salvare le grandi imprese. «Serve un tavolo unico - spiega Franco Turri, segretario generale Filca Cisl - con la partecipazione di Mef, Mise, Mit, imprese, sindacati e banche». «Dobbiamo trovare le risorse finanziarie per non far fallire le grandi imprese di costruzione. La crisi non è di commesse, è di liquidità», dice Vito Panzanella, segretario generale Feneal-Uil. Il Fondo - spiegano - «dovrà essere alimentato da Cassa Depositi e prestiti e da fondi di previdenza complementare, se serve anche il Prevedi dell’edilizia, per mettere in condizione le imprese di portare a termine i cantieri aperti». «Dobbiamo preservare il patrimonio industriale e di commesse - sostiene Alessandro Genovesi, segretario generale Fillea-Cgil - di alcune grandi imprese, a partire da Astaldi, Condotte, Cmc. Ci sono grandi imprese tedesche, cinesi, americane, che non vedono l'ora di prendersele per pochi euro».

«Serve una cabina di regia - aggiunge Genovesi - coordinata da Palazzo Chigi e con la partecipazione di imprese, sindacati, banche, che ponga al centro, con forza, il tema del rilancio delle imprese e del settore delle costruzioni. Il Fondo servirebbe a garantire i crediti e far ripartire i cantieri dei grandi gruppi, poi a scadenza si dovrà secondo noi prevedere la possibilità che tali crediti si trasformino in capitale se non maturano soluzioni nazionali per il futuro dei gruppi. Salini Impregilo? Non credo sia interessata a fare da paracadute a tutte le grandi imprese in crisi. È interessata a proseguire i cantieri che ha in corso con Condotte e Astaldi, questo sì, come il Terzo Valico o la M4 a Milano, ma la scelta industriale di fondo che ha fatto guarda soprattutto all'estero e agli Stati Uniti».

Oltre all'istituzione del Fondo nazionale di garanzia creditizia, tra le altre proposte dei sindacati ci sono un nuovo piano di investimenti, il completamento di tutte le opere avviate e l'avvio di quelle per le quali ci sono risorse, interventi mirati sul sistema bancario nazionale, investimenti sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, una revisione mirata del Codice Appalti che non metta in discussione trasparenza e legalità negli affidamenti, la messa in campo di nuove misure per le politiche abitative, il potenziamento del sistema degli incentivi, la promozione della qualificazione delle imprese, il rafforzamento del meccanismo del Durc e misure per contrastare il dumping contrattuale, che riduce diritti e tutele, in particolare su salute, sicurezza, formazione.

«Noi dobbiamo affrontare i tre nodi di fondo - spiega a «Edilizia e Territorio» Alessandro Genovesi - che stanno dietro la crisi dei grandi gruppi. Il primo è una crisi da incertezze: bisogna avere idee chiare e conferma dei programmi di investimento sulle opere principali, grandi opere, manutenzioni straordinarie, ospedali, dissesto idrogeologico, perché serve certezza industriale. Poi va aggredito il nodo finanziario: molte di queste crisi sono dovute ad assenza di liquidità, dovute ad errori finanziari passati, stretta bancaria, ritardi nei pagamenti della Pa, contenziosi in corso d'opera. Noi proponiamo un Fondo di garanzia, alimentato dalle banche, da Cassa depositi e prestiti e se serve anche dalla previdenza complementare dei lavoratori, per prestiti garantiti a medio termine in modo tale da non fermare i cantieri e dare la liquidità necessaria ad arrivare allo stato d'avanzamento lavori successivo, e quindi un circuito virtuoso tra liquidità messa adesso e pagamento dell'opera realizzata. E il terzo ovviamente una regia più complessiva di politica industriale: non si possono affrontare le crisi di Astaldi, di Condotte, di Glf, di Cmc, una per una. Singolarmente, come se fossero sganciate da una politica industriale complessiva del paese e del settore nello specifico.

Sul tema è tornato ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, a Firenze: «Se vogliamo un’Italia più forte e competitiva dobbiamo investire in infrastrutture. E dobbiamo farlo anche perché siamo ancora in emergenza occupazionale: secondo uno studio dell’Ance se aprissimo i 400 cantieri fermi per 27 miliardi di euro si creerebbero 400mila posti di lavoro».

I posti di lavoro a rischio nelle grandi imprese: la mappa

La piattaforma e le proposte dei sindacati

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