Appalti

Cooperative edili, la crisi ha decimato i costruttori: resiste solo Cmb Carpi

di Laura Galvagni

Nel 2011 erano sei, sei colossi del mondo delle coop che stazionavano stabilmente nella classifica dei più grandi costruttori del paese: CCC, CMC Ravenna, CMB di Carpi, Unieco, Coopsette e CESI. Oggi se ne conta appena una: CMB. Alcune, un paio addirittura, all’epoca sfioravano i vertici, erano CCC e CMC Ravenna. Le altre erano qualche posizione indietro ma comunque a buon titolo tra i big del comparto. Otto anni fa, tutte assieme, avevano un giro d’affari di 5 miliardi di euro. Da allora solo una sembra essere riuscita a superare indenne la tempesta che ha colpito il segmento delle grandi opere, almeno per ora. CCC, CMC, CESI, Unieco e Coopsette hanno dovuto invece reinventarsi oppure affrontare le procedure concorsuali.
L’esito è che ad oggi se si guarda il ranking dei primi 50 costruttori d’Italia quelle che hanno la forma di cooperativa si contano sulle dita di una mano. Eppure il comparto ha sempre rappresentato uno dei pilastri chiave del mondo cooperativo. Che in questo caso, però, non ha saputo fare da scudo all’onda che ha investito le costruzioni e che ha fatto vittime illustri anche nel mondo delle spa, non ultima Astaldi per la quale advisor e Tribunale di Roma sono al lavoro per definire il salvataggio in continuità aziendale.

Sul sito di Legacoop si parla ancora di un comparto che conta 400 realtà, tra cui 4 consorzi per oltre 4 miliardi di fatturato. Non è stato possibile avere commenti in proposito ma i numeri relativi alle società che un tempo simboleggiavano la forza del mondo cooperativo nel mattone sembrano tratteggiare un quadro diverso. Cooperativa Edilstrade Imolese (CESI) è fallita ed aveva ricavi per 340 milioni di euro, Coopsette il cui ultimo bilancio disponibile risale addirittura al 2013 è finita in procedura concorsuale dopo avere visto praticamente dimezzarsi in due anni il giro d’affari passato da 503 milioni a 238 milioni con un margine operativo lordo all’epoca negativo per quasi 20 milioni. Stessa fine per un’altra azienda rilevante del mondo Coop, ossia Unieco.
Quest’ultima era davvero un simbolo tanto che stando ai bilanci disponibili nel 2011 generava un fatturato di 1,4 miliardi di euro. Gli ultimi conti certificati risalgono al 2015 quando i ricavi erano scesi a 811 milioni e il margine operativo lordo ad appena 29,9 milioni contro i 113 milioni di quattro anni prima. Anche per Unieco si sono aperte le porte del Tribunale e la coop è finita in liquidazione. Ultima a dover ricorre al giudice è stata CMC Ravenna che nel 2011 era l’ottavo gruppo nazionale e più recentemente aveva scalato ulteriormente la classifica grazie al consolidamento di alcuni operatori a monte e allo sviluppo delle commesse. Una crescita, però, che di recente si è dovuta scontrare con un’improvvisa crisi di liquidità, complice il «mancato incasso di ingenti crediti».
Questo ha creato una situazione di disequilibrio finanziario a cui hanno contribuito anche una marginalità bassa, una leva elevata, una forte esposizione all’estero in termini di fatturato (oltre il 70% e spesso in paesi ad alto rischio) e troppi ritardi negli incassi (tutti legati a commesse italiane). Un mix micidiale che ha imposto a CMC di avviare la procedura presso il Tribunale di Ravenna. Per farlo ha messo nero su bianco l’intera esposizione che, stando ai dati più recenti, vale complessivamente 2,017 miliardi di cui circa 900 milioni di euro di debiti finanziari.

La vecchia CCC, invece, quella che nel 2011 era il terzo gruppo nazionale forte di 1,6 miliardi di ricavi di fatto non esiste più. O meglio ne è nata una nuova realtà, Integra, a cui il Consorzio cooperative costruzioni ha affittato il proprio ramo d’azienda mantenendo in portafoglio solo alcune commesse. Tra le quali Brebemi, che negli anni scorsi ha generato anche il pericolo di crossdefault. L’ostacolo è stato aggirato ma come si legge nell’ultimo bilancio della cooperativa i rischi sull’evoluzione futura della gestione restano elevati: per la difficoltà di recupero di alcune posizioni creditorie, per i problemi nella cessione di alcuni beni aziendali, per l’incertezza legata alla possibilità di dilazionare alcuni pagamenti e per alcune cause passive in corso.

Resta CMB Carpi che lo scorso ottobre ha perfezionato il progetto di fusione per incorporazione di CMB Holding spa ma che nel 2017 ha comunque mostrato qualche segno di debolezza: il fatturato si è attestato a 480 milioni, in discesa sul 2016 del 7%, il mol è calato del 35,8% a 23,1 milioni, mentre l’utile addirittura del 77% a 2,8 milioni.

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