Appalti

Consiglio di Stato: la condanna di un «sindaco» non basta a escludere un’impresa dalla gara

di Roberto Mangani

La commissione di un reato da parte di un sindaco supplente di una società non comporta l'esclusione della stessa da una procedura di gara per l'affidamento di un appalto pubblico.
Per altro verso, affinché operi la causa di esclusione legata alla commissione di determinati reati da parte di esponenti di un'impresa è necessario che gli stessi abbiano agito nell'interesse e a vantaggio dell'impresa medesima. Sono queste le principali affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 3 dicembre 2018, n. 6866, che individua il ruolo che devono ricoprire e le funzioni che devono esercitare i rappresentanti di un'impresa affinchè i reati da essi posti in essere possano essere figurativamente attribuibili all'impresa stessa, determinandone l'esclusione dalla gara.

Il fatto
Nell'ambito di una procedura di gara indetta dalla Consip per l'affidamento di convenzioni per l'acquisto di autoveicoli e servizi connessi l'ente appaltante procedeva all'esclusione di un concorrente ai sensi dell'articolo 80, comma 1, lettera b) del D.lgs. 50/2016. Nello specifico, l'esclusione veniva disposta a causa di una condanna penale per corruzione intervenuta nei confronti di un sindaco supplente della società concorrente.
Contro il provvedimento di esclusione il concorrente proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo, che tuttavia non accoglieva le argomentazioni della ricorrente, considerando legittimo il provvedimento emanato dall'ente appaltante.
Contro la decisione di primo grado veniva quindi proposto appello davanti al Consiglio di Stato, che si è espresso con la decisione in commento.

La commissione di reato da parte del sindaco supplente
Il Consiglio di Stato ai fini della disamina della questione sottoposta alla sua attenzione ha preso le mosse dalle due norme fondamentali che vengono in rilievo. Da un lato l'articolo 80, comma 1, lettera b) che individua come causa di esclusione dalle gare l'aver commesso determinati reati (tra cui la corruzione). Dall'altro il comma 3 del medesimo articolo 80 che, nel caso in cui il concorrente sia una società, stabilisce che per avere rilievo ai fini dell'esclusione il reato deve essere commesso – oltre che dai soci nel caso di società di persone e dal direttore tecnico – dai membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza o da soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo.

Inquadrato così il tema la questione che si pone nel caso di specie è se i sindaci di una società di capitali, e in particolare i sindaci supplenti, rientrino tra i soggetti indicati al comma 3 dell'articolo 80.

La risposta fornita dal Consiglio di Stato è negativa. In linea generale il giudice amministrativo evidenzia come secondo una certa ricostruzione i poteri che devono far capo ai soggetti indicati al comma 3 presuppongono un potere di governo della società, cioè la possibilità di interferire nella gestione operativa della stessa. E tale possibilità non appartiene ai membri del collegio sindacale, che per definizione sono estranei alla gestione della società, limitandosi a svolgere un controllo contabile e di legittimità.

Di contro, si deve rilevare come l'elencazione del comma 3 si riferisce anche ai soggetti muniti di poteri di controllo, tra cui potrebbero essere ricompresi i membri del collegio sindacale.

La prima tesi privilegia un inquadramento sistematico della norma, che tende a collocare nel suo ambito solo quei soggetti dotati di un effettivo potere di ingerenza nella gestione sociale. Al contrario la seconda tesi si ancora a un dato letterale, mettendo l'accento sul fatto che tra i poteri elencati vi è quello di controllo, che è tipico del collegio sindacale.
Tuttavia il Consiglio di Stato evidenzia che, a prescindere dalla posizione che si voglia assumere tra le due tesi indicate, nel caso di specie la questione trova la sua soluzione in relazione al fatto che il reato è stato commesso da un sindaco supplente.
Infatti i sindaci supplenti non svolgono né poteri di vigilanza né poteri di controllo. Essi non hanno alcun ruolo attivo, poiché sono chiamati a subentrare ai sindaci effettivi esclusivamente nel caso di morte, rinuncia o decadenza di questi ultimi e restano in carica fino alla successiva assemblea.

È allora evidente che il sindaco supplente non agisce di norma nell'ambito del collegio sindacale, di cui entra eventualmente a far parte solo al ricorrere di una della cause indicate dal legislatore e per il tempo strettamente necessario a ricostituire la composizione dell'organo nella sua ordinarietà.

In sostanza il sindaco supplente in sé considerato, non essendo investito di alcuni dei poteri elencati al comma 3, non è tra i soggetti che può determinare l'esclusione del concorrente dalla gara. Detto altrimenti, l'eventuale commissione di un reato di per sé idoneo a provocare l'esclusione dalla gara non produce invece tale effetto se a commetterlo è un sindaco supplente.

Il reato deve essere commesso nell'interesse della società. Per certi versi ancora più rilevanti sono le affermazioni operate dal Consiglio di Stato in merito alle funzioni che nell'ambito di una società devono far capo alle persone fisiche e alle relative modalità di azione che devono sussistere affinché gli eventuali reati commessi dalle stesse siano riconducibili alla società e determinino quindi l'esclusione del concorrente dalla gara.

In primo luogo il giudice amministrativo sottolinea che al di là dell'investitura formale ciò che conta è che nei fatti le persone fisiche abbiano svolto le funzioni indicate dalla norma. È quindi necessario affinché le azioni della persona fisica siano riconducibili alla società che in concreto la prima abbia esercitato una funzione di direzione, vigilanza e controllo sulla seconda.

Solo in questa ipotesi ricorre quel “contagio” dalla persona fisica alla società che giustifica la sanzione dell'esclusione dalla gara. In sostanza, lo svolgimento in concreto delle funzioni indicate dal legislatore rappresenta il presupposto affinché la condotta criminosa della persona fisica estenda il suo effetto pregiudizievole alla società.

In mancanza di questo presupposto vi sarebbe una sorta di responsabilità oggettiva della società che andrebbe ad ampliare eccessivamente il sistema di garanzie che le cause di esclusione intendono perseguire. Infatti, se si ammettesse che la società può essere colpita anche per fatti posti in essere da una persona fisica che, non essendo correlati a una specifica funzione tra quelle indicate dal legislatore, sono del tutto estranei alla vita societaria, si arriverebbe in ultima analisi a disporre l'esclusione dalla gara senza che vi sia alcuna esigenza sostanziale dell'ente appaltante. E ciò in quanto quest'ultimo non avrebbe alcun interesse a colpire un concorrente che nella sostanza è del tutto estraneo ai fatti criminosi.
Lo svolgimento delle funzioni indicate dal legislatore da parte della persona fisica significa che le azioni della stessa devono essere compiute nell'interesse della società. La persona fisica deve cioè agire per conto della società e in questa veste porre in essere la condotta criminosa.

Questa conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza comunitaria, dove viene evidenziato che affinché un determinato comportamento possa costituire un elemento rilevante ai fini di valutare la moralità professionale di un'impresa è necessario che lo stesso sia ascrivibile a un soggetto che ha agito in nome dell'impresa medesima.

Il Consiglio di Stato trova poi conferma della validità di questa tesi in alcune previsioni dell'ordinamento nazionale. La prima è contenuta nello stesso comma 3 dell'articolo 80, laddove è stabilito che l'esclusione dalle gare non opera qualora la società abbia posto in essere misure che evidenziano la completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata. Infatti, se è consentito alla società di neutralizzare gli effetti di un comportamento posto in essere da un soggetto che comunque ha agito in suo nome, a maggior ragione lo stesso effetto di neutralizzazione deve essere garantito qualora il soggetto non abbia agito in suo nome.

La seconda previsione è quella contenuta nel D.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Nel sistema delineato da tale Decreto è previsto che la società non risponde se le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione della società abbiano agito nell'interesse proprio o di terzi. Ne consegue che la società incorrerà nelle sanzioni solo ove si dimostri che l'azione criminosa è stata posta in essere in nome e nell'interesse della società, che ne ha ricavato un vantaggio.

Si tratta di un principio cardine della normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, rispetto al quale il Consiglio di Stato ritiene naturale l'estensione alla disciplina che regola le cause di esclusione dalle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Non basta il reato, deve essere un reato «qualificato»
Le affermazioni del Consiglio di Stato delineano un quadro in base al quale la commissione di un reato da parte di una persona fisica che sia in qualche modo legata alla società non sempre produce l'esclusione di quest'ultima dalla procedura di gara. Perché ciò avvenga è necessario il ricorso di alcuni presupposti. In primo luogo la persona fisica deve rivestire nell'ambito della società un ruolo che implichi un'incidenza diretta sulla vita della società. Ciò significa che deve svolgere una delle funzioni indicate dal legislatore non in astratto ma in concreto. La condotta criminosa deve inoltre essere operata nell'esercizio concreto delle suddette funzioni, e quindi in nome e per conto della società.

Infine, i reati devono essere stati commessi nell'interesse della società, nel senso che quest'ultima ne deve aver tratto un qualche vantaggio.

I presupposti indicati vengono a restringere l'ambito di applicazione delle norme che considerano la commissione di determinati reati quale cause di esclusione dalle gare. È necessario che vi sia un nesso funzionale tra posizione ricoperta, funzione svolta e interesse sociale affinché il reato posto in essere dalla persona fisica sia riconducibile alla società e determini quindi l'esclusione della stessa dalla procedura di gara.
È in questo senso che è possibile affermare che nel regime delle esclusioni non è sufficiente che vi sia un reato, ma è necessario che tale reato sia “qualificato”, caratterizzato cioè dai presupposti sopra richiamati.

La sentenza del Consiglio di Stato

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