Appalti

Cmc, dopo la richiesta di concordato si scalda il fronte dei bond

di Carlo Festa e Laura Galvagni

Una marginalità bassa, una leva elevata, una forte esposizione all’estero in termini di fatturato (oltre il 70% e spesso in paesi ad alto rischio) e troppi ritardi negli incassi (tutti legati a commesse italiane). È questo il mix micidiale che ha imposto a Cmc di avviare la procedura presso il Tribunale di Ravenna per chiedere il concordato con riserva.

Gli advisor, tra cui Mediobanca e lo studio Trombone, sono al lavoro per definire in tempi rapidi o un accordo di ristrutturazione del debito o un progetto di concordato. Per farlo dovranno mettere nero su bianco l’intera esposizione della società che, stando ai dati più recenti, vale 900 milioni di euro solo con riferimento ai debiti finanziari. Di questi circa 300 milioni fanno riferimento a indebitamento bancario, mentre 575 milioni sono relativi a due bond in circolazione, uno da 250 milioni con scadenza 2022 e l’altro da 325 milioni con scadenza 2023.

Il primo quota 7 mentre il secondo 6,7 sul nominale. Un crollo iniziato qualche settimana fa, quando il mercato ha iniziato a intuire che Cmc rischiava di fare la stessa fine di Astaldi. E il primo dubbio ha riguardato naturalmente la capacità o meno dell’azienda di rispettare le scadenze in fatto di pagamento delle cedole.

In particolare, il bond da 325 milioni aveva una prima scadenza il 15 novembre scorso, slittata al 15 dicembre per il periodo di garanzia: quindi con una cedola cedola non pagata (per 10 milioni). Quell’impegno risale a una data precedente la richiesta di concordato, il che lo fa rientrare nel debito pregresso e in quanto tale dovrà essere con ogni probabilità trattato nella proposta concordataria.

La scelta del concordato, secondo Cmc «visto l’attuale frangente di tensione finanziaria», rappresenta la strada più efficace «per porre in sicurezza il patrimonio della società e tutelare, in tal modo, tutti i portatori di interessi».

Proprio gli obbligazionisti si stanno organizzando in queste ore in comitati. Decine di istituzionali e asset manager, possessori dei bond Cmc, hanno incaricato un advisor finanziario britannico di seguire la situazione e di raccogliere più consenso possibile. Secondo indiscrezioni, sul dossier sarebbe attiva la società di Londra PJT Partners.

Oggi i bond Cmc sono infatti molto parcellizzati: in mano a decine di istituzionali e asset manager, in gran parte italiani. Una parte, anche se più piccola, è stata acquistata dal retail.

L’obiettivo è arrivare all’assemblea dove verrà presentato il piano concordatario: proposta che sarà dunque all’attenzione dei creditori per l’approvazione. Due le ipotesi per i bondholder: un write off dell’importo dei bond oppure un cambiamento delle condizioni. Una conversione in «equity» appare invece una strada difficile, in quanto Cmc è una cooperativa.

Nel caso gli obbligazionisti riuscissero a unire le forze, votando in modo compatto, potrebbero avere maggiore voce in capitolo nell’assise dei creditori.

C’è intanto da segnalare un certo attivismo di fondi «distressed» sul dossier: attirati dalle quotazioni ormai ai minimi termini del prezzo dei bond, alcuni hedge fund starebbero infatti prendendo posizione su Cmc puntando su un esito positivo della ristrutturazione dell’azienda.

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