Appalti

Cantone: stop deroghe, sulla riforma del codice appalti giusto riaprire la delega del 2015

di Giorgio Santilli

Presidente Cantone, lei è stato critico su molti aspetti del decreto Genova. Che considerazioni fa sul provvedimento avviato ormai alla conversione parlamentare?

Anzitutto una considerazione generale: è la certezza di norme e non l'assenza di norme che tranquillizza le amministrazioni e consente di realizzare le opere. Il decreto Genova deroga a tutto, un fatto senza precedenti che presenta profili critici. Anche se si azzerassero tutte le norme nazionali, si dovrà tenere conto delle direttive Ue. Inoltre, si dovrà decidere quali norme nazionali applicare e quali derogare. E, infatti, il commissario mi ha detto di voler costruire un quadro di norme che intende applicare. Ci ha anche chiesto di firmare un protocollo per la vigilanza collaborativa, come facemmo, con successo, nel caso dell'Expo. Decideremo se firmare dopo aver esaminato il quadro di norme che saranno applicate.

Teme conseguenze generali sull'ordinamento?

Si è voluto dare un segnale ideologico sul fatto che si possa derogare a tutto in materia di appalti, gestione dei rifiuti, sicurezza del lavoro. Sarà molto difficile non replicare questo meccanismo in situazioni come quella che vediamo in questi giorni, catastrofi di dimensioni colossali che mettono in ginocchio l'economia di una regione come il Veneto o quelle che vediamo in Sicilia. Come si potrà dire no? Il rischio vero è quello di tornare a una politica di deroghe continue.

C'è un'alternativa al commissario-superman di fronte a fatti così gravi?

La strada giusta è l'articolo 63 del codice appalti: stabilire una volta per tutte i criteri che si applicano alle emergenze, sia pure con gradazioni diverse a seconda degli eventi, e poi non derogare più. Il commissario diventa coordinatore di regole chiare da applicare. Se invece ogni volta creiamo un apparato speciale di norme, passiamo mesi a parlare di deroghe, come per Genova, e poi non avremo le amministrazioni capaci di applicarle.

Si dice che il Ponte si ricostruirà in un anno. Non le sembrano tempi ottimistici?

Per capire se le valutazioni siano eccessivamente ottimistiche dobbiamo capire quale quadro di regole si applicherà. Spero non si dia troppo lavoro agli avvocati. L'altra cosa che dobbiamo capire è quali tempi ci vorranno per la demolizione. L'esclusione di Aspi non sembrerebbe interessare l'attività di demolizione. Sarebbe interessante capire chi sta facendo l'eliminazione dei detriti in questo momento. Noi non ne abbiamo evidenza.

Dell'esclusione di Aspi dalla ricostruzione cosa pensa?

Il decreto originario escludeva tutti i concessionari autostradali e chi aveva rapporti con loro. Una conclusione eccessiva, che non aveva ragion d'essere, perché se si ritiene che il soggetto titolare di quella specifica concessione, cioè Aspi, abbia una responsabilità specifica, in che modo si riteneva potessero essere responsabili anche tutti gli altri? Ora l'eccesso è stato corretto. Quanto ad Aspi, se il governo ha ritenuto ci fossero elementi di responsabilità, la scelta di escludere è coerente.

Avete riproposto sabato scorso un tema più generale di concessioni. C'è qualcosa che non va nell'istituto?

È un tema rilevante del Paese. L'istituto in sé ha una sua ragion d'essere. Io starei attento a dire “ripubblicizziamo tutto” perché il passato ha dimostrato l'incapacità dello Stato di gestire opere e servizi in modo imprenditoriale. Non c'è dubbio, però, che alcune cose vanno corrette. Abbiamo avviato, molto prima di Genova, una ricognizione che evidenzia una quantità abnorme di concessioni, molte delle quali vanno avanti per inerzia.

Come si rimedia?

I concedenti devono ricordare sempre di essere i proprietari del bene. Devono ricordarlo quando firmano le convenzioni, che definiscono aspetti delicati anche per i cittadini, come le tariffe. E devono ricordarsene facendo vigilanza.

Serve una legge quadro?

Ci sono direttive Ue e anche il codice degli appalti. Non credo serva una norma generale. L'importante è che il concedente si ricordi di agire. Questo vale a livello locale, ma anche nazionale, a partire da Mise e Mit che hanno una grande quantità di concessioni.

Che pensa del ritorno delle semplificazioni, compreso un decreto fantasma approvato dal governo?

È una parola che non sopporto più perché priva di qualunque concretezza. Il problema è trovare le norme per fare le cose nei termini giusti, senza ruberie, rispettando tempi e costi. Spesso le semplificazioni comportano ulteriori interventi normativi che vanno a sovrapporsi a quelli esistenti.

Eppure nel libro che ha pubblicato in questi giorni con Enrico Carloni, “Corruzione e anticorruzione- Dieci lezioni”, propone una commissione permanente di esperti.

In quel caso l'idea è sfoltire. Eliminare norme che non servono più. Bisogna fare pulizia delle tante interferenze dei sistemi precedenti.

Ha più parlato con il presidente del Consiglio Conte della riforma del codice appalti?

Sì, mi ha confermato che si vuole intervenire sul codice coinvolgendoci. Si pensava a un intervento a 360° con una riapertura della delega del 2015, che mi trova d'accordo. E ad alcuni interventi immediati di semplificazione ma non ne ho più sentito parlare e non mi pare il codice appalti sia fra le emergenze in questo momento.

La legge di bilancio vuole rilanciare gli investimenti e crea nuovi strumenti come la centrale di progettazione e una nuova cabina di regia, InvestItalia. Le sembra si vada sulla strada giusta?

Eviterei di creare altre parole magiche come cabina di regia perché, alla prova dei fatti, incontrano grandi difficoltà a operare, soprattutto quando si tratta di raccordarsi a Regioni ed enti locali. Quanto al rilancio degli investimenti, nel 2017 c'è stata una ripresa dei bandi di gara e delle aggiudicazioni. Dovremmo concentrarci di più a capire dove si inceppa il percorso, anziché aggiungere strutture nuove.

Secondo Lei dove si inceppa?

A me sembra che si sia sottovalutato un tema di disponibilità di cassa delle amministrazioni in un Paese dove gli appalti non vengono pagati. Faccio l'esempio del consorzio Cociv sul Terzo valico. Dopo le inchieste abbiamo messo come nostro commissario l'ingegner Rettighieri che ha rimesso in moto l'opera e ora mi dice che si rallenta perché non ci sono più i soldi.

Spesso la disponibilità concreta della cassa passa per procedure complicatissime, delibere e decreti.

Procedure molto complesse che, soprattutto per gli interventi maggiori, passano per il Cipe. Lì bisogna intervenire.

Per il Terzo valico pesa anche il continuo processo di rivisitazione della programmazione che riguarda le grandi opere.

Non voglio entrare nel merito delle singole opere ma vedo che la criticità sta nella durata della pianificazione. Oggi noi stiamo parlando di mandare in cantiere opere autostradali programmate negli anni '90. Per non parlare del Mose, programmato negli anni '80. Spesso le opere si scontrano con sensibilità politiche che cambiano nel tempo. La cosa peggiore è lasciare le opere a metà. Ma c'è anche un altro problema, un difetto di coinvolgimento delle popolazioni nella decisione sulle opere.

Le norme sul débat public vorrebbero rimediare.

Il decreto è ancora in corso di approvazione e comunque mi sembra una risposta molto debole. Bisogna spiegare ai cittadini i benefici di un'opera.

Nel suo libro lei parla del modello italiano anticorruzione, dei passi avanti fatti con la legge Severino e l'istituzione dell'Anac. Perplessità, invece, sulla eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado di cui si parla in questi giorni.

È vero, sono contrario. Non c'è solo un profilo di incostituzionalità. Temo anche che l'effetto di un blocco della prescrizione possa essere, per eterogenesi dei fini, che i processi non si fanno più perché si appesantisce ulteriormente la macchina della giustizia. Mi faccia aggiungere che l'obiettivo del libro è aiutare a focalizzare una politica anticorruzione su elementi reali, lasciando aspetti distorsivi che nascono dal dibattito politico. Faccio l'esempio del whistleblowing. Mi sono sentito spesso rispondere a questa proposta non con obiezioni inerenti al suo funzionamento, ma che le delazioni anonime sono pericolose. Peccato che le delazioni anonime non c'entrino nulla

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