Appalti

Appalti/2. Cantone: sì al “daspo” per le imprese, all’agente sotto copertura e alla confisca dei beni senza condanna

di Massimo Frontera

Forse il nome di “spazza-corrotti” dato al ddl Bonafede potrebbe creare aspettative eccessive circa le «proprietà “taumaturgiche”» attribuite al provvedimento (peraltro appena all’inizio del suo iter parlamentare); ma a parte questo, il disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede incassa il sostanziale apprezzamento da parte del presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone. Il presidente dell’Anac ha scelto di commentare alcune misure contenute nel testo in un articolo dal titolo “ Ddl Bonafede: rischi e opportunità per la lotta alla corruzione ”, pubblicato su Giustizia Penale web e poi sul sito dell’Anac.
Il testo proposto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è approdato alla camera il 24 settembre scorso ed è stato assegnato il 26 settembre alle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia in sede referente . La discussione non è ancora iniziata.

L’interdizione dell’impresa dalle gare è un giusto deterrente
Sulla norma più famosa del ddl, chiamata impropriamente “daspo” - cioè l’interdizione dalle gare pubbliche per le imprese condannate per corruzione - il presidente dell’Anac ritiene che nel complesso, «non possono che giudicarsi con favore la decisione di abbassare da 3 a 2 anni la condanna minima necessaria per far scattare l'interdizione perpetua (ampliando così il catalogo dei reati) e l'inasprimento della pena accessoria per le condanne inferiori a tale termine (in aumento da 5 a 7 anni)». «È fondamentale che chi trucca una gara d'appalto perda per un lungo periodo il diritto a contrattare con la pubblica amministrazione e in questo senso un aggravamento della sospensione può rafforzare la funzione di deterrenza insito nella sanzione». Cantone inoltre non riscontra profili di incostituzionalità, da alcune parti sollevati: «al contrario, poiché la ratio della novella risiede nella sostanziale inadeguatezza rispetto al dettato costituzionale di adempiere le funzioni pubbliche “con dignità e onore”, un allargamento del catalogo ad altri delitti (fra i vari, corruzione per l'esercizio della funzione, induzione indebita, istigazione, traffico di influenze illecite) ed una rimodulazione della pena che giustifica la misura accessoria appare certamente giustificata». «Il profilo maggiormente critico - osserva Cantone - va semmai ravvisato nelle ricadute che la nuova configurazione giuridica dell'interdizione potrebbe avere sui cd. “pentiti della corruzione”», cioè la circostanza attenuante introdotta dalla legge n.69/2015 per chi collabora nei processi sui delitti contro la Pa, ottenendo in cambio una riduzione di pena tra un terzo e due terzi. «Sanzioni assai afflittive come il cd. Daspo e l'interdizione, così come riformulata, potrebbero tuttavia incidere negativamente, scoraggiando la collaborazione in sede dibattimentale. Sarebbe dunque opportuno prevedere espressamente l'esclusione di tali pene accessorie nei casi in cui ad un imputato venga riconosciuta la suddetta attenuante». «Condivisibile - aggiunge - è l'inasprimento delle sanzioni interdittive nei confronti dell'impresa, con l'innalzamento dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione - qualora vengano commessi delitti di concussione, induzione indebita, corruzione, istigazione. L'attuale durata, ovvero almeno un anno, è oggettivamente inadeguata rispetto alla gravità dei fatti; la previsione del ddl di un periodo compreso fra 5 e 10 anni è, però, forse eccessiva, quantomeno nella parte in cui prevede un minimo così alto».

Agente sottocopertura, essenziale per scardinare il pactum sceleris
Cantone apprezza anche la novità dell’agente sotto copertura per contrastare la corruzione e in generale i delitti contro la Pa. «Tale tecnica investigativa, prevista dalla Convenzione Onu di Merida del 2003 contro la corruzione ma mai applicata in Italia, finora era limitata a un assai ristretto catalogo di fattispecie: terrorismo, droga, criminalità organizzata, sequestro di persona con finalità estorsive, pedofilia. Prevedere un simile ampliamento, dunque, denota in primo luogo la consapevolezza della pericolosità sociale della corruzione e dei delitti annessi. Quanto al caso di specie, la possibilità di ricorrere ad agenti infiltrati per acquisire elementi di prova può risultare essenziale per scardinare la summenzionata, costitutiva segretezza del pactum sceleris, soprattutto in quei casi in cui la corruzione abbia carattere sistematico o sia posta in essere da vere e proprie organizzazioni criminali».
Tuttavia Cantone rileva un rischio legato alla «introduzione dell'art. 323-ter c.p., che statuisce una causa di non punibilità in caso di autodenuncia e collaborazione alle indagini entro sei mesi dalla commissione del fatto, una proposta già formulata ai tempi di Tangentopoli con l'intento di incentivare le denunce ma che non trovò mai traduzione pratica sul piano legislativo». «Una siffatta previsione di impunità - spiega Cantone - potrebbe prestarsi a utilizzi indebiti, tramite un pentimento precostituito che in realtà cela una intenzionale attività, fin dal primo momento, di provocazione. Semplificando: si offre una tangente per “incastrare” qualcuno e poi si confessa la condotta delittuosa prima che scadano i termini per usufruire della non punibilità. Di tale criticità pare essere pienamente consapevole il proponente del ddl medesimo, che ha previsto l'inapplicabilità della non punibilità “quando vi è prova che la denuncia è premeditata rispetto alla commissione del reato denunciato”».

Sì alla confisca dei beni, prima della condanna definitiva
«Rilevante è anche la previsione di mantenere l'efficacia della confisca disposta all'esito del giudizio penale di primo grado nei casi in cui in Appello o in Cassazione non sia possibile arrivare a sentenza definitiva per intervenuta prescrizione del reato o amnistia. Si tratta di un tema ampiamente affrontato dalla giurisprudenza, ovvero la cd. “confisca senza condanna”». Nell’esprimere la sua valutazione positiva alla misura contenuta nel Ddl, Cantone ricorda che «nei mesi scorsi, anche la Grande camera della Corte europea dei diritti dell'uomo si è espressa sul tema, riconoscendo la sostanziale legittimità di una simile misura in base dell'accertamento del reato svolto dal giudice dell'impugnazione sulla sentenza di condanna di primo grado. È perciò meritoria la decisione di estendere tale principio, introdotto nella legislazione col d.lgs. 21/2018, anche ai principali delitti contro la Pubblica amministrazione, rafforzando in tal modo lo strumento dell'ablazione, che colpendo la disponibilità economica degli associati ha dimostrato negli anni di essere la vera chiave di volta per un contrasto fattivo al crimine organizzato».

L’articolo di Raffaele Cantone su “Ddl Bonafede: rischi e opportunità per la lotta alla corruzione”

Il disegno di legge Bonafede “spazza-corrotti” in discussione alla Camera

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