Appalti

Costruzioni/3. Michele Pizzarotti: «No ad alleanze fra società in crisi, noi interessati al Ponte»

di Giorgio Santilli

Interesse per la costruzione del Ponte di Genova, invito al governo a mandare avanti le grandi opere in corso. No alle aggregazioni fra imprese in crisi o a poli nazionali come quelli suggeriti dal mondo bancario per gestire le commesse di imprese vicine al fallimento. Michele Pizzarotti, vicepresidente dell'impresa di famiglia, ragiona su crisi finanziarie del settore e stallo degli investimenti pubblici.

Partiamo da Genova. Siete interessati alla costruzione del nuovo Ponte? Le piacciono le soluzioni prospettate?
Può essere uno strumento interessante di sperimentazione di partecipazione pubblico-privato, ma la scelta del partner privato dovrebbe avvenire consultando almeno cinque soggetti per creare competizione. Il dialogo competitivo con imprese che i ponti li costruiscono nel mondo è uno strumento che può certamente aiutare anche la messa a punto del progetto.

Voi siete interessati?
Noi e altre grandi imprese qualificate siamo certamente interessati a mettere a disposizione le nostre competenze.

Va bene anche l'idea di un pivot pubblico?
Sì, va bene. Non sarà facile gestire il rapporto concessorio con Autostrade ma non spetta alle imprese indicare la soluzione.

Da cosa nasce la difficoltà di questo momento per il settore?
La competizione sia nazionale che internazionale è a livelli altissimi. I cinesi stanno facendo ovunque dumping con prezzi insostenibili che alterano gli equilibri di mercato.

In ambito bancario, si ipotizza un polo nazionale delle costruzioni anche per gestire le commesse gestite dalle imprese in crisi. Che ne pensa?
L'idea di aggregare imprese in difficoltà non ha alcun senso. In Francia hanno fatto aggregazioni fra imprese sane per creare colossi in grado di competere. Non avrebbe senso neanche pensare ad aiuti pubblici per le imprese in difficoltà, oltre a quelli ordinari come la Cig. Sono anche contrario a mettere insieme imprese con bilanci sani e imprese in crisi.

Come si esce dalla crisi?
Vedo che anche il concordato preventivo non sta funzionando. Si nomina un amministratore straordinario o un amministratore coatto nel caso delle cooperative e poi si va avanti per mesi e anni come se nulla fosse. Meglio allora pensare a un quadro giuridico più chiaro che faciliti le stazioni appaltanti nella revoca del contratto quando un'impresa non è più in grado di operare e nella riassegnazione della commessa al secondo aggiudicatario. Oppure si favorisca uno spezzatino delle imprese in crisi, per ogni commessa un ramo d'azienda da mettere più facilmente sul mercato. Una soluzione più sana e percorribile perché si evita di chiedere a qualcuno di sobbarcarsi l'impresa intera.

Sulle grandi opere i segnali che arrivano dal governo non sono buoni: cancellazione di fondi al terzo valico e sospensione delle opere in corso in attesa dell'analisi costi-benefici.
La cancellazione di un finanziamento per un'opera in corso non è un bel segnale, soprattutto se può portare a rallentamenti o sospensione dei lavori. Anche di analisi costi-benefici se ne sono fatte molte. Si facciano rapidamente, almeno, con criteri che tengano conto dello sviluppo futuro dei territori. E bisogna considerare che l'esito di queste analisi può essere devastante rispetto alla programmazione delle imprese, alla negazione del diritto e al blocco delle uniche opere che danno beneficio al Pil.

Il governo ha però annunciato un piano di investimenti per manutenzione di infrastrutture e territorio.
Se ne parla da anni e spero che stavolta si faccia davvero. Il punto critico è quello delle procedure che devono essere accelerate. Penso però che più che cabine di regia accentrate e supercommissari serva una velocizzazione delle procedure ordinarie.

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