Appalti

Concorsi, non basta un «refuso» sui codici delle buste per invocare la violazione dell'anonimato

di Pietro Verna


In tema di tutela della regola dell'anonimato nelle gare ad evidenza pubblica, bisogna distinguere tra le violazioni imputabili ai concorrenti e quelle imputabili all'amministrazione procedente: nel primo caso bisogna provare l'intenzionalità dei segni di riconoscimento, nel secondo caso è la violazione in sé dell'anonimato a rendere illegittima la procedura di gara, senza che sia necessario ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli (Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 17 luglio 2018, n. 4331).

Con l'enunciazione di questo principio, il massimo organo di giustizia amministrativo ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento (sentenza 19 gennaio 2018, n.13) aveva respinto il ricorso proposto contro l'esito del concorso di progettazione per la realizzazione del nuovo ospedale di Fiemme e Fassa a Cavalese, indetto dalla Provincia autonoma di Trento. Concorso che, a dire della società ricorrente seconda classificata, sarebbe stato espletato in violazione dei principi di imparzialità, non discriminazione e trasparenza nel procedimento di scelta del concorrente (articolo 4 Codice dei contratti pubblici), poiché durante l'abbinamento dei progetti ai nominativi dei concorrenti era emerso che sul plico contenente la busta del progetto della società aggiudicataria era riportato un codice alfa numerico (10CLO6) diverso, per una sola cifra (0), da quello apposto su tale busta (10CL6 ), e che, nonostante ciò, il presidente della commissione di gara avesse proseguito da solo le operazioni di abbinamento ritenendo detta irregolarità un lapsus calami.

La vicenda processuale
Il giudice di prime cure aveva respinto il ricorso stabilendo che l'anteposizione al quinto carattere del codice alfanumerico di una cifra (0) non poteva costituire un segno di riconoscimento, in quanto tale codice era stato liberamente scelto dal concorrente in conformità alla lex specialis (“i concorrenti dovranno consegnare un plico – riportante il codice alfanumerico necessario per garantire l'anonimato [in ] formato Arial […] di cinque numeri/lettere così composto in ordine: 2 cifre, 2 lettere, 1 cifra”). Motivo per il quale veniva meno il sospetto che la società aggiudicataria avesse intenzionalmente apposto un segno di identificazione (la cifra 0) per aggirare l'anonimato «essendo a ciò sufficiente la semplice comunicazione [ai commissari di gara] del codice scelto». Decisione che i magistrati di Palazzo Spada hanno condiviso alla luce dell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale gli elementi da cui evincere la violazione della regola dell'anonimato consistono «nell'univoca idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione e dall'inequivoca intenzione del concorrente di farsi riconoscere» ( Consiglio di Stato, Sezione IV, 12 novembre 2015, n. 5137; Tar Marche, Sezione I, 31 luglio 2017, n. 628). Così come hanno condiviso l'altro capo della pronuncia del Tribunale ammnistrativo tridentino ossia la legittimità della decisione del presidente della commissione di gara di procedere da solo all'abbinamento degli elaborati progettuali alle buste contenenti l'identità dei concorrenti, ritenendo tale operazione «mera attività materiale […] successiva all'esaurimento dell'attività di valutazione» (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione III, 3 marzo 2011, n. 1368).

Orientamento dell'Adunanza Plenaria
La pronuncia in narrativa è in linea con l'orientamento dell' Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 26 novembre 2013, n.26, applicabile anche alle gare ad evidenza pubblica), secondo cui: (i) ciò che rileva ai fini dell'eventuale annullamento della procedura di gara per violazione della regola dell'anonimato «non è tanto l'identificabilità dell'autore dell'elaborato attraverso un segno a lui personalmente riferibile, quanto piuttosto l'astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione»; (ii) la suddetta violazione ricorre quando la particolarità riscontrata assume un carattere oggettivamente e incontestabilmente anomalo, a prescindere dal fatto che la commissione o i singoli componenti siano stati in grado o meno di risalire effettivamente all'autore; (iii) è da escludersi un automatismo tra l'astratta possibilità di riconoscimento e la violazione della regola dell'anonimato, in quanto deve emergere in modo palese l'intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il proprio elaborato, «giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un membro della commissione riconosca [l'elaborato dalla] particolare modalità di stesura» ( in senso conforme, da ultimo, Consiglio di Stato: Sezione V, 31 gennaio 2018, n. 652; Sezione IV, 12 novembre 2015, n. 5137/2015).

La sentenza del Consiglio di Stato

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