Appalti

Fondo investimenti ancora bloccato dopo la Consulta, nodo chiave per il governo

di Alessandro Arona

È ancora sostanzialmente bloccato, dopo la sentenza della Corte Costitituzionale dell'aprile scorso, il fondo unico statale per gli investimenti, istituito dal comma 140 della legge di Bilancio 2017 per dare certezza programmatoria pluriennale, e flessibilità gestionale, agli investimenti pubblici. La Consulta (su ricorso della Regione Veneto) imponeva in sostanza l'intesa di Regioni o enti locali (a seconda dei casi) sui Dpcm di assegnazione delle risorse, intesa che non fu fatta sul Dpcm 2017.
Le riunioni di fine aprile tra i vertici dei ministeri dell'Economia, delle Infrastrutture e degli altri dicasteri di spesa avevano partorito una possibile strada, comunque non semplice, per risolvere il problema, ma la formazione del nuovo governo giallo-verde ha impedito di arrivare alla sua attuazione.
Si tratta con evidenza di una sfida importante per il governo Conte sulla via del rilancio degli investimenti pubblici, perchè il Fondo investimenti ha messo in campo 82 miliardi di euro di risorse per infrastrutture (circa 33 miliardi su 82 nei decreti Gentiloni), ricerca, ambiente, scuole, difesa, da assegnare in due anni (46 miliardi nel 2017 e 36 nel 2018) e da spendere in 17 anni, circa 5 miliardi all'anno, con possibilità di anticipare la spesa tramite finanziamenti Bei o di Cassa Depositi.
Risorse che però, date per assegnate nel 2017 e in via di assegnazione quelle 2018, sono tornate improvisamente incerte dopo la sentenza della Corte Costituzionale.

IL DECRETO 2017 E I DM ATTUATIVI
Secondo gli approfondimenti giuridici post sentenza fatti dai capi di gabinetto dell'esecutivo Gentiloni, su 46 miliardi assegnati con il Dpcm Gentiloni del settembre scorso sarebbero "al riparo" dagli effetti della Corte solo i decreti attuativi sui quali è stata chiesta e ottenuta un'intesa in Conferenza Stato-Regioni o Unificata. A conti fatti una piccolissima minoranza dei 46 miliardi (ad esempio il fondo navi del Mit, o quello sulle barriere architettoniche). L'intesa è stata chiesta lo scorso anno solo dove si trattava di una vera e propria ripartizione di risorse alle Regioni, con loro autonomia nel gestirli. Tutti gli altri decreti sarebbero a rischio ricorso, se qualcuno deciderà di contestarli. Ma più in generale stanno producendo un effetto blocco in tutti gli enti, dai Ministeri agli enti beneficiari, che nell'attesa di chiarimenti si fermano.
Per quanto riguarda le Infrastrutture sono ancora fermi i decreti Delrio sui fondi per la progettazione, firmati a marzo ma che per l'incertezza non vanno in Gazzetta per non far scattare i termini procedurali, e congelata è anche la ripartizione di 1,4 miliardi del gennaio scorso.
Non sarebbero al riparo neppure le risorse assegnate ai contratti di programma Anas (6,2 miliardi per alimentare il nuovo CdP 2016-2020, approvato a fine dicembre) e Rfi (8,9 miliardi per finanziare il nuovo Contratto Rfi 2017-21, in approvazione definitiva), che invece a una prima analisi sembravano protette dalle procedure di legge ad hoc.

Ricordiamo che il Fondo Investimenti è lo strumento oggi unico a disposizione dello Stato per finanziare investimenti, statali o di soggetti finanziati dallo Stato. Dopo i 46 miliardi in 16 anni (fino al 2032) stanziati nella legge di Bilancio 2017, il governo Gentiloni ha messo nel Bilancio 2018 altri 36 miliardi in 16 anni. Ad oggi dunque sono stanziati e da spendere 82 miliardi di euro nel 2017-2033, così articolati: 1,166 miliardi nel 2017, 3,562 nel 2018, 4,775 nel 2019, 5,180 nel 2020, e così via con circa 5,1 miliardi all'anno fino al 2033.

La soluzione possibile, risolutiva e radicale, che sembra emersa tra i giuristi dei vari ministeri, è quella di riportare il Dpcm Gentiloni 2017 alla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Città per sottoporlo a una sorte di "ratifica", o meglio a un'intesa successiva che lo metta al riparo da ogni contestazione, e di conseguenza ridia validità a valle a tutti i decreti attuativi.
Questa è una scelta che dovrà compiere il governo, ma soprattutto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti.
Il nuovo esecutivo è naturalmente legittimato a revocare, dopo la sentenza della Consulta, il Dpcm 2017 da 46 miliardi, ma ovviamente questo comporterebbe un effetto blocco per molti mesi prima di arrivare a una nuova ripartizione "madre" e ai decreti attuativi, la maggior parte già emanati dai vari ministeri coinvolti, con risorse in moti casi già accreditate ai soggetti beneficiari.

I FONDI 2018 E LA BOZZA DI DPCM
I fondi 2018, altri 36 miliardi in 16 anni che la legge di Bilancio 2018 imponeva di assegnare con Dpcm entro febbraio, si sono evidentemente fermati "all'origine" dopo la sentenza della Consulta. Lo schema di decreto è stato firmato da Gentiloni a febbraio, con circa 10 miliardi su 36 alle infrastrutture e 10 miliardi alla difesa e sicurezza (armi, navi militari, tecnologia, casreme, auto della polizia). Il resto a istruzione, ricerca, rischio idrogeologico, cultura, sostegno all'export.
Il Dpcm è stato tenuto fermo per settimane dopo la sentenza della Corte. Per legittimare pienamente l'iter potrebbe essere chiesta l'intesa in Unificata sul "Dpcm madre", articolando la ripartizione con qualche livello di dettaglio in più rispetto al Dpcm 2017.
Il testo Gentiloni è ora al parere del Consiglio di Stato, dal quale si aspetta qualche suggerimento chiaro sulla procedura giusta per seguire le indicazioni della Consulta e al tempo stesso non bloccare la macchina degli investimenti in fase di avvio.

Certo è difficile immaginare che il nuovo esecutivo Conte non metta mano alla bozza Gentiloni 2018, visto che il Fondo comma 140 è l'unico strumento oggi a disposizione dello Stato per finanziare investimenti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©