Appalti

Massimo ribasso al posto dell'offerta più vantaggiosa? Non passa l'obbligo di impugnare subito il bando

di Mauro Salerno

Niente nuove tagliole sui ricorsi negli appalti. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha detto no alla richiesta di obbligare le imprese a contestare immediatamente il criterio di aggiudicazione individuato dal bando di gara, così come tutte le altre clausole "procedurali" ritenute illegittime dai concorrenti. Piuttosto che ridurre i casi di contenzioso - ha sottolineato l'organo di Palazzo Spada deputato a definire le controversie più delicate enunciando principi che di cui i giudici devono poi tenere conto nelle cause successive- una soluzione simile finirebbe per alimentare la vocazione al ricorso, frammentando ancora di più le procedure di definizione delle controversie negli appalti che già oggi si dividono tra un rito superaccelerato (obbligo di contestare immediatamente i provvedimenti di ammissione/esclusione) e ordinario. Dunque tutto rimane come è ora. Con la possibilità di obiettare in giudizio la scelta dei criterio di aggiudicazione al momento della definizione della graduatoria.

Al centro della questione, definita dall'Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2018, pubblicata il 26 aprile, c'era il ricorso di un'impresa che contestava alla stazione appaltante di aver scelto il criterio di aggiudicazione al massimo ribasso in una gara che prevedeva, a suo modo di vedere, un servizio di natura complessa e dunque da aggiudicare con l'offerta più vantaggiosa. La questione è finita davanti all'Adunanza Plenaria. Prima di decidere nel merito i giudici hanno chiesto di verificare una serie di questioni anche alla luce del nuovo codice appalti (Dlgs 50/2016).

In dettaglio i quesiti più importanti riguardavano:

1) la possibilità di stabilire una nuova tagliola per i ricorsi introducendo l'obbligo di contestare subito i criteri di aggiudicazione e le altre clausole del bando, di tipo procedurale, senza cioè riflessi sull'ammissione alla gara dell'impresa, che invece già oggi impone la contestazione immediata.

2) l'idea di allargare anche alle imprese che non hanno partecipato alla gara la possibilità di proporre ricorso in questi casi.

L'Adunanza Plenaria ha detto no a tutte e due le domande, con un'articolatissima sentenza che passa in rassegna vecchio e nuovo quadro normativo per motivare la propria scelta.

Dunque il quadro non cambia. Per contestate i criteri di aggiudicazione, «così come le altre clausole del bando che non rivestono certa portata escludente» dei potenziali concorrenti bisogna aspettare «l'atto conclusivo della procedura di gara». Perché, a parte ai probabili effetti di ulteriore inflazione del contenzioso, per il massimo giudice amministrativo l'interesse dell'impresa a gareggiare sotto la tutela di un bando perfettamente a norma di legge deve essere considerato recessivo rispetto all'interesse di questi ad ottenere l'aggiudicazione, e che ove eventualmente resosi aggiudicatario, l'operatore non avrebbe alcun interesse a contestare una lex specialis che comunque gli ha attribuito il bene della vita cui aspirava».

Insomma, la possibilità di aggiudicarsi il contratto per chi partecipa a un appalto è di sicuro più importante della legittimità formale del bando. Imporre di contestare subito le clausole ritenute illegittime, nell'incertezza di risultare poi anche aggiuticatario della commessa, rischierebbe da una parte di avere impatti negativi sulla partecipazione alla gara e dall'altra di aumentare il contenzioso. Di qui, in estrema sintesi, la decisione dell'Adunenza Plenaria.

La sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

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