Appalti

Astaldi: il colosso giapponese IHI, l'indiana Reliance e un fondo Usa interessate al riassetto del gruppo

di Carlo Festa e Simone Filippetti

Grandi conglomerate estere e fondi americani aprono il dossier di Astaldi. Il riassetto del gruppo romano potrebbe passare da un’alleanza azionaria, con la famiglia pronta a sottoscrivere l’aumento di capitale e un alleato pronto ad affiancarla. Astaldi ha in corso un piano di «salvataggio» imperniato attorno a una ricapitalizzazione da 300 milioni di euro.

Secondo indiscrezioni, sotto i riflettori ci sarebbero le manifestazion d’interesse di due grandi conglomerate che hanno già rapporti consolidati con Astaldi: da una parte la conglomerata giapponese IHI, che proprio con il gruppo romano ha costruito il il terzo ponte sul Bosforo, a Istanbul. Dall’altra parte c’è la conglomerata indiana Reliance Infrastructure Limited, che con Astaldi ha ottenuto importanti commesse negli Stati Uniti. Ci sarebbe anche una terza strada, più finanziaria, con l’ingresso in campo di un private equity americano.

Comunque le discussioni sono embrionali e al momento è difficile prevedere se sfocieranno o meno in qualcosa di concreto. La strada più concreta,a logica, potrebbe essere quella della giapponese IHI, colosso delle costruzioni e del settore marittimo.  IHI potrebbe sottoscrivere una parte, anche importante, dell’aumento di capitale. Il nome di IHI non è uno sconosciuto in casa Astaldi: i due gruppi in consorzio hanno appunto costruito il terzo ponte sul Bosforo, a Istanbul, una delle grandi opere più importanti d’Europa negli ultimi anni. Ma non è tutto: sempre l’accoppiata Astaldi-IHI si è di recente aggiudicata l’appalto di un altra grande opera pubblica: un ponte sul Danubio in Romania.

Quindi le due aziende si conoscono da tempo e hanno lavorato assieme. Una base promettente per ipotizzare un qualche tipo di accordo. Se poi si guarda all’India, proprio Reliance ha di recente stretto con Astaldi un accordo per la costruzione di alcuni lotti della metropolitana di Mumbai. Ma i due gruppi hanno anche attività comuni negli Stati Uniti.

L’ultima parola, però, spetta a Paolo Astaldi che dovrà mediare tra le esigenze della famiglia, intenzionata a mantenere una presa salda sulla propria azienda, e le banche (con Unicredit e Intesa Sanpaolo in prima fila), che spingono affinché si risolva l’empasse.

Sul dossier Astaldi, a cui sta lavorando Lazard, nulla è stato ancora deciso, ma l’orizzonte appare decisamente più roseo rispetto a inizio anno: nel quartier generale del gruppo, riferiscono alcune fonti, si respira un clima ottimista e si guarda con molta fiducia alla scadenza di fine mese; data a cui l’azienda aveva riaggiornato lo stato dell’arte sul piano di messa in sicurezza. Si susseguono gli incontri con le banche creditrici, in primis UniCredit e Intesa Sanpaolo. Inizialmente, la super iniezione di liquidità in Astaldi avrebbe dovuto essere divisa in modo paritetico tra un aumento di capitale da 200 milioni e un bond di importo identico. Poi il debito è stato depennato, mentre è stata aumentata la ricapitalizzazione, che ricade sul mercato e sulla famiglia.

Di fatto buona parte della liquidità servirà per coprire la svalutazione del Venezuela. Nel paese sudamericano, travolto da una crisi economica senza precedenti, Astaldi era esposto per circa 430 milioni tra crediti e lavori in corso, di cui si pensa di poter recuperare solo 200 milioni circa. La svalutazione ha sostanzialmente sterilizzato il rischio Venezuela ma che ora va ovviamente colmata.

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