Appalti

Grandi imprese/1. La crisi di Caracas costringe Salini Impregilo a 290 milioni di svalutazioni

di Simone Filippetti

Il baratro del Venezuela, il paese sudamericano travolto da una crisi economica senza precedenti, costa quasi 300 milioni di svalutazioni al colosso italiano delle costruzioni. Corre invece l'America: il fatturato a stelle e strisce si impenna del 16%. Gioie e dolori di essere un gruppo globale (uno dei pochi peraltro in Italia). Tanto globale che Pietro Salini abbraccia il dollaro: i bilanci futuri del gruppo saranno redatti anche in valuta americana (come succede per le società che hanno doppia quotazione, vedi Luxottica o Ferrari). Una conseguenza abbastanza naturale della nuova geografia della società romana: oggi il 72% del giro d'affari (6,5 miliardi l'anno scorso) è generato fuori dall'area Euro. Ha poco senso stilare un bilancio in una valuta che è di fatto minoritaria. E che al momento di riportare i numeri dentro la moneta legale (Salini Impregilo è una società di diritto italiano), crea pure effetti distorsivi negativi. Il bilancio 2017 della multinazionale di Pietro Salini finisce in rosso per 107 milioni,quando nel 2016 sfoggiava profitti per 60 milioni. Colpa, si diceva, del Venezuela.

Mai, però, l'ultima riga di un bilancio è stata così poco veritiera quanto quella del 2017 di Salini Impregilo. Perché in realtà l'anno appena chiuso è stato di crescita e traguardi: giro d'affari in crescita di quasi il 6%, nuove commesse per quasi 7 miliardi, marginalità al 10%, e un'azienda sempre più internazionale. Stati Uniti e Golfo Persico (nel dettaglio Arabia Saudita, Oman ed Emirati) sono le aree del Mondo che hanno rimpolpato il portafoglio ordini (ossia lavori in corso e futuri) alla considerevole cifra di 34 miliardi, di cui 27 di costruzioni e 7 di concessioni. Non ci fosse stata la tegola del Venezuela, Salini avrebbe brindato a un utile netto di 117 milioni, raddoppiato dall'anno prima. I debiti consolidati sono saliti: da 350 a 646 milioni, ma non sono un problema: primo perché sono meno di una volta il Mol (552 milioni), e dunque la leva è inesistente; secondo perché lo scorso autunno il debito è stato riscadenziato a dei tassi molto vantaggiosi (addirittura Salini paga oggi meno interessi di un paese sovrano come gli Stati Uniti).

Ci sarà tempo per recuperare nel 2018, dove Salini Impregilo si attende di toccare i 7 miliardi di giro d'affari e una redditività netta superiore al 5% e debiti in calo: quest'anno andranno in asta opere ciclopiche: la più grossa e appetibile è il super-treno veloce del Texas, il «Frecciarossa americano» tra Houston e San Antonio, una mega-commessa da 15 miliardi di dollari (che ovviamente non andrà tutta a un solo costruttore). C'è poi l'Argentina che ha bisogno di costruire tante infrastrutture (dighe, che sono il core business della vecchia Salini, e strade). E infine il Giappone che ospiterà le Olimpiadi tra due anni.Nonostante il risultato netto finito in rosso, l'azienda non metterà a dieta il mercato. Le perdite (nel bilancio civilistico) saranno coperte attingendo alle riserve. Rimarrà spazio per pagare 0,053 euro per azione di dividendo, lo stesso dell'anno scorso per un totale di 26 milioni.

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