Appalti

Buia (Ance): «Settore in crisi sistemica, serve un rilancio vero e un tavolo di crisi stabile»

di Alessandro Arona

«La crisi del settore delle costruzioni è ormai una crisi di sistema» - dice il presidente dell'Ance Gabriele Buia in questa intervista a «Edilizia e Territorio», affiancato nel suo studio dal vice-presidente con delega ai Lavori pubblici Edoardo Bianchi. «Per noi la ripresa non è mai arrivata e dopo dieci anni di crisi le imprese non riescono più a stare sul mercato: le piccole, poi le medie e ora anche le grandi imprese».
«Per questo - prosegue Buia - abbiamo costruito per la prima volta insieme a tutte le associazioni delle imprese e dei progettisti un "Manifesto" per le elezioni politiche: chiediamo a tutte le coalizioni di prendere consapevolezza di questo problema, che significa 600mila posti di lavoro persi e al contrario la possibilità di aggiungere lo 0,5% di crescita annua di Pil se riusciamo a rilanciare il settore. Oggi stiamo morendo di burocrazia. Vogliamo impegni precisi dalle coalizioni, noi proponiamo misure rapide e forti per far ripartire i cantieri dei lavori pubblici, che nonostante le molte risorse sono ancora fermi, per semplificare la burocrazia sia nelle infrastrutture che nell'edilizia privata, per superare le incertezze del Codice appalti tornando a un unico regolamento; e poi norme urbanistiche e fiscali per far partire davvero la riqualificazione urbana; e un alleggerimento del cuneo fiscale in edilizia» (si veda il manifesto).

«Ma oltre alle misure di rilancio - spiega Buia - serve anche un tavolo di crisi da aprire subito, da parte del nuovo governo, per affrontare le difficoltà non solo delle grandi imprese, ma delle medie e delle piccole. La crisi delle imprese di costruzione non fa mai notizia, salvo che si tratti di grandi nomi come Condotte. Ma messi tutti insieme nei dieci anni di recessione sono stati bruciati 600mila posti di lavoro. Dobbiamo creare un tavolo permanente con i ministeri delle Infrastrutture, dell'Economia e dello Sviluppo, le grandi stazioni appaltanti, i Comuni, le banche, i sindacati, per affrontare questa fase di emergenza, con riflettori sempre accesi».

«L'Ad dell 'Anas Armani - sostiene Buia - non ha torto quando parla di imprese in crisi, anche se non so dove prenda quel dato dell'80% (si veda l'intervista), ma le soluzioni non sono certo quelle che propone lui, quali la libertà di qualificazione delle stazioni appaltanti e più poteri su contenziosi e rescissioni. Bisogna fare in modo semmai che le imprese escano dai blocchi di liquidità che le mettono in crisi: basta con lo split payment sull'Iva, basta con i pagamenti in ritardo da parte della Pa senza rispettare la direttiva Ue, basta con i tempi lunghi e le incertezze sui contenziosi negli appalti. E bisogna incentivare le banche a ristrutturare i debiti, piuttosto che svenderli a fondi locusta esteri. E bisogna che il governo aiuti di più le imprese che incappano in disavventure all'estero, come i casi Venezuele e Algeria. La qualificazione? Deve essere unica a livello nazionale, e bisogna dare anche più certezze rispetto a oggi, quando invece capita che nelle gare si chiedano requisiti soggettivi per partecipare, che si aggiungono alla qualificazione Soa».

Presidente, che signifca crisi di sistema?
È una crisi strutturale, ma di cui la politica non sembra essere consapevole. È l'unico settore che non si riprende, e dopo dieci di crisi le imprese, anche le grandi ormai, faticano a restare sul mercato. La causa è la lunga crisi, sì, ma anche il ritardo nei pagamenti, con 8 miliardi di euro di pagamenti arretrati (secondo le stime della stessa Ance, ndr). Ci vogliono anni e anni per trasformare i finanziamenti per le infrastrutture in cantieri: i governo Renzi e Gentiloni i soldi li hanno messi, è vero, ma se poi i cantieri non partono il giudizio resta negativo. Anche gli enti territoriali, nonostante il superamento del Patto di stabilità, non sono ancora usciti dal blocco dei lavori pubblici.

Ha ragione Armani quando parla dell'80% delle imprese in crisi di liquidità?
BUIA: Non so dove Armani prenda il dato dell'80%, comunque sì, come le dicevo le imprese faticano a stare sul mercato, ora anche le grandi. Ma le soluzioni che propone Armani aggraverebbero ancora di più la situazione.
BIANCHI: «Armani vuole più poteri sui contratti? Più di così sfioriamo la dittatura. Il contenzioso in corso d'opera è una valvola di sfogo essenziale, non si può eliminare. Anche perché le stazioni appaltanti dicono che mettono in gara un progetto esecutivo, ma poi di fatto non lo è, lasciano sempre alle imprese un progetto "di cantiere", e questo rende inevitabile il contenzioso. Il punto è affrontarlo e risolverlo in tempi certi e con chiarezza, invece i funzionari della Pa sono terrorizzati dai controlli della Corte dei Conti e i problemi si trascinano senza risolversi, facendo gonfiare e incancrenire le riserve iscritte dalle imprese. Questo è dovuto anche all'incertezza creata dal Codice appalti, che invece di semplificare e dare certezze al settore ha fatto il contrario.

Il manifesto delle imprese chiede di superare il sistema della soft law dell'Anac, giusto? E tornare a un regolamento unico?
BUIA E BIANCHI: Noi non siamo contrari alla soft law per principio, ma ci sono sentenze del Consiglio di Stato che mettono in discussione la gerarchia delle fonti prevista dal Codice, e dunque le Linee guida Anac. Il risultato è che c'è ancora più incertezza di prima.

Dunque, tornando alle imprese in crisi presidente, oltre al rilancio del settore come se ne esce?
BUIA: Bisogna affrontare il problema della liquidità delle imprese. Cominciamo a togliere lo split payment sui pagamenti della Pa, che sottraendo l'Iva agli appaltatori toglie liquidità che nel 2018 salirà da 1,3 a 2,4 miliardi di euro all'anno. Cominciamo a pagare le imprese nei tempi dovuti dalle norme Ue, parliamo di 8 miliardi di arretrati. Cominciamo, come diceva Bianchi, ad affrontare e risolvere i contenziosi in corso d'opera in tempi rapidi e certi, senza trascinarli negli anni, anche a opere finite da tempo.Di questo dovrebbe occuparsi il tavolo di crisi permanente.

Al tavolo devono sedere anche le banche?
Certo, la loro presenza è fondamentale. In passato hanno finanziato a pioggia operatori occasionali, poi con la crisi hanno chiuso i rubinetti completamente per le imprese di costruzione, anche quelle sane. Da anni stiamo cercando di costruire un migliore dialogo con loro, per presentare noi e valutare loro, meglio, i progetti di investimenti. Sui crediti incagliati, però, rilanciamo ora la norma non passata con la legge di Bilancio, ma appoggiata da molte forze politiche. Una norma che incentivi le banche a occuparsi dei crediti in sofferenza, gli Npl, non con la svendita al 20-30% del loro valore a fondi esteri, ma invece rinegoziando con imprese e famiglie per allungare la durata e ridurre il debito, ma di molto meno. Le imprese si salvano ma alla fine anche le banche ci perdono di meno».

Ma è vero, come dice Armani, che a volte le imprese approfittano del concordato preventivo per alleggerire i debiti e poi tornare sul mercato "più leggere"?
Molte ne approfittano, è vero, ci sono casi di concordati chiusi con il 5-10% del debito riconosciuto, e il 90-95% cancellato. Ed è concorrenza sleale che io mi alleggerisca in questo modo e poi partecipi sereno alle gare d'appalto. Noi da anni proponiamo di fissare il tetto minimo al 40% dei debiti chirografari riconosciuti per poter chiedere il concordato. Non so perché non ci ascoltano. La norma originaria è stata snaturata, l'attuale normativa ammette l'utilizzo truffaldino del concordato. Alla fine, se c'è la volontà di aprire un tavolo per le crisi e il rilancio del settore, noi siamo disponbibili a discutere di tutto.

Anche della qualificazione?
La soluzione non è dare mani libere alle stazioni appaltanti, o passare ai settori esclusi. Non ci possono essere regole diverse per ogni stazione appaltante. Va bene graduare i requisiti in base alle dimensioni e caratteristiche dei lavori, ma il sistema deve essere unico nazionale. E anzi bisogna chiarire che non si possono inserire in gara requisiti soggettivi da mettere nelle offerte, quelle devono valurare solo i requisiti oggettivi.

Nel manifesto proponete forti misure per favorire la riqualificazione urbana: la pubblica utilità, un'Agenzia nazionale... Ci spieghi meglio...
L'interesse pubblico vuol dire che se uno strumento urbanistico approva un'operazione di trasformazione urbana, al comune e al soggetto promotore vengono conferiti particolari poteri d'azione, per superare il blocco di minoranze di proprietari. Si può arrivare anche all'esproprio, ovviamente a prezzo di mercato, ma fondamentale, come a Marsiglia, sarebbe il ruolo di un'Agenzia nazionale che svolga il ruolo di promotore, meditaore e facilitatore degli interventi, che coordini le aree di traformazione e quelle dove ricollocare le proprietà espropriate o gli edifici da delocalizzare. Inoltre proponiamo che un bonus fiscale simile a quelli per il sismico e la riqualificazione energetica si possano applicare anche alle riqualficazioni urbanistiche e alla demolizione e ricostruzione. Anche perché l'adeguamento sismico ed energetico in molti casi non si possono fare ristrutturando l'esistente, molto meglio demolire e ricostruire.



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