Appalti

Pronto il decreto che riduce le stazioni appaltanti (ma ad attuarlo sarà il prossimo governo)

di Massimo Frontera

È ai blocchi di partenza l'atteso regolamento che attua la riduzione e la selezione delle stazioni appaltanti e che istituisce un albo presso l'Anac - suddiviso in quattro fasce - la cui iscrizione è obbligatoria per tutti gli enti che intendono pubblicare bandi per acquisire lavori, servizi e forniture.
L'apposito Dpcm di attuazione del codice appalti (articolo 38 del Dlgs 50/2016) è stato chiuso da Palazzo Chigi e trasmesso a Regioni e Comuni per l'intesa in conferenza unificata. In quella sede comincerà il confronto tecnico con i diretti interessati, che - è facile prevedere - non sarà né breve né semplice.

Si tratta infatti di ridurre sensibilmente il numero dei centri di spesa. Il regolamento obbliga gli enti a investire sulle professionalità tecnico-economiche necessarie a gestire appalti, anche complessi. È il caso ad esempio di tutte le gare in Ppp (partenariato pubblico privato) che, secondo il Dpcm, richiederanno «la presenza di almeno un dipendente con il titolo di studio non inferiore alla laurea in scienze economiche», indipendentemente dalla fascia di importo dell'appalto.

Al netto della discussione da avviare in conferenza unificata, è già sicuro che passerà parecchio tempo prima dell'entrata in vigore delle nuove regole. Sullo schema di Dpcm serve intanto il parere del Consiglio di Stato e dell'Anac. Poi serviranno - una volta approvato il Dpcm - altre due misure attuative. La prima è un provvedimento dell'Anac per stabilire l'attuazione della qualificazione. Questa sorta di sub-regolamento (previsto dal codice appalti) dovrà arrivare entro sei mesi a partire dall'entrata in vigore del Dpcm. Dopodiché, entro i successivi 90 giorni, il sistema di qualificazione entra finalmente in vigore.
Il secondo provvedimento attuativo consiste in un decreto dell'Economia (entro 90 giorni dall'entrata in vigore del Dpcm) sulle «apposite linee guida esplicative» dei criteri sull'organizzazione delle stazioni appaltanti che svolgeranno le funzioni per conto degli enti che non hanno (ancora) ottenuto la qualificazione.
Poi c'è il periodo transitorio, che nel testo inviato a regioni e comuni è indicato in 18 mesi, durante i quali «le stazioni appaltanti che hanno fatto domanda di qualificazione conservano, fino ad avvenuta qualificazione, la capacità di espletare la propria attività, e di acquisire il codice indentificativo di gara (Cig)».

Considerando questa scansione di tempi (che nella discussione istituzionale è più probabile che vengano ulteriormente dilatati che non il contrario) si ricava la quasi certezza che sarà il prossimo governo a portare il provvedimento al traguardo. Sempre che - ovviamente - il nuovo governo non rimetta in discussione lo stesso codice appalti, il quale, peraltro, resta ancora largamente inattuato nelle varie specificazioni operative che ancora si attendono dall'Anac e dallo stesso ministero delle Infrastrutture.

Il cuore del Dpcm sta nei requisiti chiesti alle stazioni appaltanti. Ma un tema è certamente quello della qualificazione riferita ai servizi di architettura e ingegneria. Attività che il Dpcm di fatto assimila e lega a doppio filo agli appalti di lavori. Al comma 4 dell'articolo 4 si legge infatti che «le stazioni appaltanti e le centrali di committenza possono procedere all'acquisizione di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria, se sono in possesso della qualificazione corrispondente all'importo stimato dei lavori posti a base di gara per i quali vengono richiesti predetti servizi». Una prescrizione che potrebbe limitare drasticamente lo spazio di manovra degli enti locali sui concorsi di idee o sui servizi di pianificazione urbanistica.

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