Appalti

Codice appalti, lo spettro dell'incompiuta grava sulla riforma

di Mauro Salerno

Doveva dare regole stabili, semplici, flessibili. In due parole: disegnare la cornice normativa più avanzata possibile (e in linea con l'Europa) per fare da rampa di lancio alla ripresa degli investimenti in un settore bloccato da dieci anni.
È utopico pensare che l'impulso alla ripresa possa semplicemente passare da una legge, ma l'idea era quantomeno spazzare il campo dalle storture e i labirinti normativi del passato. Nonostante i principi di fondo - trasparenza, qualificazione del mercato e delle stazioni appaltanti, indipendenza dei commissari di gara, vigilanza e regolazione flessibile dell'Anac - siano stati condivisi da Governo, Parlamento e imprese, il bilancio a poco più di un anno dall'entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici rischia di essere impietoso. Gettando un'ombra sulle chance di successo di questa ennesima riforma di un settore da cui passa una spesa da oltre 100 miliardi di euro all'anno (tra lavori, servizi e forniture) e su cui all'inizio avevano scommesso tutti.

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Colpa della difficoltà incontrate a calare sul mercato la rivoluzione disegnata dalle pagine della Gazzetta ufficiale ad aprile 2016. Per mettere in pratica la riforma servono ben 60 provvedimenti attuativi. Finora - tra decreti e linee guida Anac - ne sono stati approvati poco più di una decina. E il paradosso è anche quelli già arrivati a un buon punto di definizione, in aggiunta ai manuali Anac già sbarcati in Gazzetta, devono essere rivisti per essere adeguati alle oltre 450 modifiche apportate al nuovo codice dal cosiddetto «decreto correttivo», varato a maggio per "registrare" in corsa le norme varate solo un anno prima e rimaste in larga parte inattuate.
A un anno dal via la riforma è tornata ai blocchi di partenza. A parte il rafforzamento del ruolo dell'Autorità guidata da Raffaele Cantone - su cui peraltro si è registrato qualche scossone - i pilastri della riforma (riduzione delle stazione appaltanti, commissari di gara, rating di impresa, digitalizzazione delle opere pubbliche) sono ancora tutti da mettere in piedi. L'obiettivo di ridurre le stazioni appaltanti (32mila escluse le scuole, dicono le stime più accreditate) rischia di arenarsi sul più classico dei conflitti italiani: la volontà delle amministrazioni di mantenere la propria fetta di potere sta prevalendo sulla necessità di semplificare il sistema.

La bozza di decreto su cui hanno lavorato i tecnici delle Infrastrutture distribuisce in quattro fasce di importo l'elenco delle Pa abilitate a bandire le gare, in base a parametri di organico e competenza. Uno schema che porterebbe a ridurre a circa seimila gli enti abilitati, dopo che inizialmente si era fissato l'obiettivo a qualche centinaio di amministrazioni. Sarebbe già un gran risultato. Purtroppo, il testo è sparito dai radar ufficiali e, in base alle indiscrezioni, rimpalla da mesi tra Porta Pia e Palazzo Chigi.
Altro tassello-chiave del puzzle sarebbe l'albo dei commissari di gara esterni alle amministrazioni, gestito dall'Anac. L'Anticorruzione ha avviato le macchine e sarebbe anche pronta a partire. Nonostante l'importanza della novità, fondamentale per spezzare le catene di ambiguità tra dipendenti pubblici e imprese che inquinano le gare, non sembra però esserci fretta nell'introdurla. L'innovazione si scontra con l'opposizione delle grandi stazioni appaltanti e dei Comuni, ufficialmente motivata con il rischio di aumento dei tempi e dei costi di gestione delle gare. Il decreto Mit che dovrebbe semplicemente fissare le tariffe di iscrizione all'albo e i compensi per i commissari resta allora fermo. Senza la sua pubblicazione, l'Anac non può emanare il regolamento che attiva materialmente il nuovo albo. Dunque, per ora tutto rimane com'è. E ciascun ente pubblico continua a scegliersi i commissari di gara in casa.

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Un impatto pesante del Correttivo varato a maggio si riverbera sull'attività di regolazione «flessibile» demandata all'Autorità. Le centinaia di correzioni imposte dal Dlgs 56/2017 al codice appalti hanno avuto l'effetto di far invecchiare anzitempo molte delle indicazioni contenute nelle linee guida dell'Autorità. Non solo quelle in itinere, ma anche quelle già pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.
Conseguenza? L'Anticorruzione si è dovuta rimettere subito al lavoro per aggiornare tutti i "manuali", messi in discussione dal decreto. In cinque casi la procedura è a buon punto. I documenti sono stati aggiornati a tempo di record, rimessi in consultazione tra gli operatori e inviati per un nuovo parere del Consiglio di Stato. Solo dopo il nuovo via libera di Palazzo Spada l'Autorità potrà licenziarli definitivamente.
Tutto necessario? «Il passaggio a Palazzo Spada è dovuto - spiega il consigliere Anac Michele Corradino -. È una fonte di legittimazione dei nostri provvedimenti». E in questo momento meglio evitare ogni rischio di incertezza.

Ora l'attenzione si sporta al rating di impresa, destinato a valutare, in modo volontario, la reputazione conquistata sul campo dai costruttori. L'Autorità ha appena cominciato a rimetterci mano. Tema delicato. Se ne riparlerà dopo l'estate.
Nel frattempo, oltre alle linee guida già rivisitate, dovranno essere rivisti anche altri vademecum arrivati a un buon grado di definizione, come quello sul partenariato pubblico privato che al momento attendono i pareri del Mef, dell'Agcom dell'Autorità Trasporti prima del varo definitivo. Riferendosi all'attuazione delle riforma, qualcuno parla già di «tela di penelope» e guardando alla vicina stagione elettorale di «rischio incompiuta». Forse l'immagine è troppo forte, ma rende l'idea che si sta facendo strada tra gli operatori.

I decreti del ministero delle Infrastrutture, il punto sull'attuazione

Linee guida dell'Anac, il punto sull'attuazione

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