Appalti

Esclusione dalle gare/1. Illeciti professionali, cartellino rosso anche con sentenza di primo grado

di Roberto Mangani

Ai fini della sussistenza del grave illecito professionale nella configurazione delineata dall'articolo 80 del D.lgs. 50/2016 non è necessario che la sentenza penale di condanna che accerta la commissione di reati rilevanti ai suddetti fini abbia carattere definitivo.
Nel contempo, la commissione di tali reati può anche essere risalente nel tempo, posto che il limite temporale di tre anni – indicato dalla Direttiva Ue 24/2014 e richiamato anche nelle Linee guida dell'ANAC - decorre non dal momento storico in cui è stato posto in essere il fatto che costituisce reato bensì dalla data del provvedimento giurisdizionale che ne ha accertato la sussistenza.

Sono questi i principi più importanti affermati in una recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192 , che offre un'interessante contributo interpretativo ai fini della corretta definizione della causa di esclusione dalle gare fondata sul grave illecito professionale, nella versione introdotta dal D.lgs. 50/2016.

Il fatto. Un'azienda sanitaria aveva indetto una procedura di gara per l'affidamento del servizio di sterilizzazione da svolgersi presso un complesso ospedaliero.
Nell'ambito del contenzioso giudiziario che si era successivamente instaurato, un concorrente aveva proposto ricorso incidentale con cui chiedeva che fosse disposta l'esclusione di altro concorrente che – sia pure sotto una diversa denominazione sociale – aveva subito una condanna in primo grado da parte del Tribunale penale di Pescara in relazione alla commissione del reato di truffa continuata a carico di aziende sanitarie, con il conseguente divieto di contrarre per un anno con la pubblica amministrazione.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso incidentale, confermando il provvedimento di esclusione dalla gara che era stato adottato dalla stazione appaltante.

In particolare, il TAR Veneto ha posto a fondamento della sua decisione due ordini di argomentazioni.
In primo luogo ha evidenziato che l'esclusione è stata disposta dalla stazione appaltante in relazione non alla esistenza della sentenza di condanna in sé considerata quanto in considerazione dell'omessa dichiarazione da parte del concorrente di detta sentenza. Questa omissione è apparsa al giudice di primo grado decisiva in relazione al fatto – e in questo senso si sviluppa la seconda argomentazione – che la causa di esclusione di cui all'articolo 80, comma 5, lettera c) del D.lgs. 50/2016, fondata appunto sul grave illecito professionale, lascia in capo alla stazione appaltante la più ampia discrezionalità nella valutazione dei fatti potenzialmente rilevanti ai suddetti fini. Di conseguenza il concorrente non ha alcuna facoltà di operare autonomamente una valutazione in merito al rilievo di tali fatti, non potendo porre in essere alcun tipo di filtro ed essendo quindi obbligato a dichiarare tutte le situazioni potenzialmente rilevanti, in modo da consentire all'ente appaltante di compiere con piena cognizione di causa le valutazioni di sua competenza.
Contro la decisione del primo giudice il concorrente escluso ha presentato ricorso al Consiglio di Stato. A sostegno di tale ricorso ha evidenziato in primo luogo che i fatti ad esso imputati non integrerebbero la fattispecie del grave illecito professionale come delineata dall'articolo 80, comma 5, lettera c) del D.lgs. 50; e ciò sia sotto il profilo della non definitività dell'intervenuta sentenza di condanna che della notevole lontananza nel tempo delle condotte ritenute criminose.

In secondo luogo, ha sottolineato che l'eventuale provvedimento di esclusione avrebbe comunque dovuto essere preceduto da un contraddittorio con il concorrente – che invece nel caso di specie è mancato - diretto ad accertare l'effettiva incidenza dei fatti contestati ai fini della configurabilità del grave illecito professionale.

La posizione del Consiglio di Stato: sentenza non definitiva e limite temporale. Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello, confermando la sentenza di primo grado e arricchendola di ulteriori contenuti.
In via preliminare il massimo giudice amministrativo ricorda la ratio della causa di esclusione, che è quella di tutelare il rapporto fiduciario che deve sussistere tra committente e appaltatore dando rilevo a qualunque tipo di illecito che per la sua gravità sia idoneo a minare tale rapporto.
Nell'ambito dei gravi illeciti professionali rientrano anche, per espressa previsione della norma, le significative carenze nell'esecuzione di un precedente appalto che ne hanno procurato la risoluzione anticipata confermata all'esito di un giudizio o che hanno dato luogo a una condanna al risarcimento del danno.

Nel caso di specie ricorrono gli indicati presupposti. La sentenza di condanna in sede penale evidenzia infatti sia le significative carenze nell'esecuzione di una pluralità di precedenti contratti di appalto sia l'intervenuta condanna al risarcimento del danno.
Nessun rilievo a fini esimenti può poi derivare dal fatto che la sentenza penale di condanna non ha carattere definitivo, poichè anche i provvedimenti non definitivi assumono rilievo qualora contengano una condanna al risarcimento del danno.
Quanto all'altra obiezione sollevata dal ricorrente relativa alla notevole distanza temporale dei fatti oggetto di condanna, il Consiglio di Stato evidenzia come il limite temporale di tre anni indicato dalla Direttiva Ue 2104/24 come periodo massimo entro il quale i fatti possono assumere rilievo va riferito non alla data di commissione del reato come fatto storico in sé considerato bensì alla data in cui è intervenuto il provvedimento giurisdizionale che ha accertato tale reato.

Questa interpretazione è la sola in grado di salvaguardare i principi di effettività e di giustizia sostanziale. Se infatti la decorrenza del termine triennale fosse ancorata alla effettiva commissione del reato anziché alla data del suo accertamento in sede giurisdizionale si rischierebbe di vanificare la portata precettiva della norma, considerato che il concorrente ha tutto l'interesse ad occultare il reato per il maggior tempo possibile.

Il contraddittorio. Quanto infine all'ulteriore obiezione sollevata nel ricorso fondata sulla mancata instaurazione del contraddittorio preliminarmente a ogni decisione in merito all'eventuale adozione del provvedimento di esclusione, il Consiglio di Stato evidenzia che l'onere del contraddittorio in capo all'ente appaltante sussiste solo a condizione che il concorrente abbia puntualmente osservato l'obbligo di rendere una dichiarazione completa e veritiera in merito
a tutte le situazioni potenzialmente rilevanti ai fini della configurabilità del grave errore professionale.

Viene quindi confermato il principio – che si è andato consolidando nel precedente regime normativo – secondo cui il concorrente non può operare alcuna selezione nell'individuazione dei precedenti penali eventualmente sussistenti a suo carico, dovendo rendere quindi una dichiarazione completa e omnicomprensiva, lasciando poi all'ente appaltante ogni valutazione in ordine alla concreta rilevanza di tali provvedimenti.

In mancanza di tale condotta collaborativa da parte del concorrente quest'ultimo non può certo richiamare l'obbligo del contraddittorio a carico dell'ente appaltante. Sarebbe infatti ben singolare che si consentisse al concorrente di tentare di celare le proprie situazioni potenzialmente pregiudizievoli al fine di evitare l'esclusione dalla gara e poi consentire allo stesso di invocare il contraddittorio una volta che tali situazioni siano comunque venute alla luce.
Ne consegue che qualora il concorrente, in violazione dei principi di trasparenza e leale collaborazione, abbia reso dichiarazioni incomplete o non veritiere in merito alla propria situazione, l'ente appaltante potrà procedere alla relativa esclusione dalla gara senza obbligo di esperire alcun preventivo contraddittorio.

La sentenza del Consiglio di Stato

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