Appalti

«Illeciti professionali», basta una sentenza di primo grado per escludere dalla gara

di Giuseppe Latour

È sufficiente una sentenza non definitiva per far scattare il cartellino rosso dell'esclusione dalla gara. È questa la grande novità contenuta nella sentenza n. 4192 del 2017 del Consiglio di Stato. La pronuncia allinea completamente Palazzo Spada alle indicazioni dell'Anticorruzione. E stabilisce che l'elemento rilevante per valutare il curriculum dell'impresa è la presenza di «significative carenze» nell'esecuzione di un contratto precedente. Non è decisivo, per arrivare all'esclusione, il fatto che queste carenze siano inserite in una sentenza diventata definitiva.

Il caso parte da una gara per l'affidamento di servizi sanitari da svolgere presso l'ospedale di Mestre, per un importo pari a 10 milioni di euro. Dalla procedura è stata esclusa un'impresa, «deducendo che tale società sarebbe stata condannata dal tribunale penale di Pescara» al divieto di contrattare per un anno con la pubblica amministrazione perché «avendo omesso di adottare e attuare modelli di gestione ed organizzazione idonei a prevenire la commissione dei reati di truffa nell'esercizio dell'attività di sterilizzazione di presidi medico chirurgici, non avrebbe impedito l'esecuzione dei reati di truffa continuata ai danni di aziende sanitarie ad opera del legale rappresentante ed amministratore unico della società e degli altri soggetti». Quella condanna, cioè, costituirebbe grave illecito professionale ai sensi dell'articolo 80, comma 5, lettera c) del Codice appalti.

Secondo la ricorrente, però, «la condanna del tribunale di Pescara non è definitiva, essendo pendente l'appello» e quindi non sarebbe possibile procedere all'esclusione.
Un'impostazione che il Consiglio di Stato respinge in blocco.

L'articolo 80, comma 5 lettera c) del decreto n. 50 del 2016, infatti, prevede che «un operatore economico deve essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto qualora la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che esso si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da mettere in dubbio la sua integrità e affidabilità».
L'obiettivo è tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico, consentendo di attribuire rilevanza ad ogni tipologia di illecito che, per la sua gravità, sia in grado di minare l'integrità morale e professionale dell'impresa.

Tra i gravi illeciti espressamente contemplati dalla norma rientrano «le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata». E la pronuncia di una sentenza definitiva non è un elemento decisivo. «Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza del tribunale di Pescara, ricorrono sicuramente i presupposti per porre in dubbio l'integrità ed affidabilità del concorrente».

Per quanto riguarda la non definitività della sentenza, «la tesi dell'appellante è smentita dalla stesse linee guida n. 6 dell'Anac» secondo le quali «i provvedimenti non definitivi rilevano ai fini dell'articolo 80, comma 5, lettera c)». Quindi, Palazzo Spada si allinea alle indicazioni dell'Anticorruzione. Ma non solo. C'è da fare anche una precisazione sui tempi. Per l'Anac, infatti, «il periodo di esclusione dalle gare non può superare i tre anni a decorrere dalla data dell'annotazione della notizia nel casellario informatico gestito dall'Autorità o, per i provvedimenti penali di condanna non definitivi, dalla data del provvedimento». Questi tre anni non possono, invece, decorrere dal verificarsi del fatto. «Quando l'errore professionale deriva dalla commissione di un reato, che il più delle volte viene occultato dal responsabile, la decorrenza del termine triennale di esclusione dalla data di commissione del reato, anziché dalla data del suo accertamento giurisdizionale equivarrebbe a privare di ogni effetto il precetto normativo, il che non è possibile».

La sentenza del Consiglio di Stato

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©