Appalti

Appalti/2. Commissari di gara, qualificazione stazioni appaltanti e progettazione: tre grandi incompiute

di Giuseppe Latour

A gennaio pareva a un passo dal via libera. Eppure, da allora se ne sono perse le tracc e . Il Dpcm sulla qualificazione delle stazioni appaltanti (articolo 38, comma 2), di competenza del ministero delle Infrastrutture e di quello dell'Economia, ad aprile 2016 era stato segnalato da tutti come uno dei pilastri della riforma del mercato degli appalti pubblici. Con il passare dei mesi, però, si è arenato sul più classico dei conflitti italiani: la volontà delle amministrazioni di mantenere la propria fetta di potere sta prevalendo sulla necessità di semplificare il sistema.

Il principio sul quale si muoveva il Codice era semplice: non tutte le amministrazioni potranno più fare tutto. È necessario tagliarne il numero (oggi sono circa 32mila escluse le scuole, secondo il Mit) e migliorarne le competenze. Dovrebbe nascere, a questo scopo, un albo tenuto dall'Anac, al quale sarà necessario iscriversi per tutti gli appalti di lavori di importo superiore a 150mila euro, a meno di non affidarsi a una centrale di committenza. L'elenco, secondo la bozza di decreto, sarà distribuito su quattro livelli. Per ognuno di questi ci sarà un numero minimo di personale interno qualificato. Ed è proprio questo uno dei punti sui quali si è bloccato il testo: fissando dei limiti troppo elevati si metteranno in fuorigioco migliaia di stazioni appaltanti. Una scelta difficile, visto che nelle scorse settimane è emersa chiaramente la volontà di puntare a obiettivi di taglio ridotti rispetto alle prime ipotesi. Anziché scendere a poche decine di stazioni appaltanti, adesso il Governo si accontenterebbe di arrivare a quota 6mila. Nel frattempo, il testo galleggia a Palazzo Chigi. E, tra l'altro, la sua mancata approvazione blocca anche il decreto che dovrà definire gli ambiti territoriali di riferimento per le centrali di committenza: i due testi sono legati a filo doppio.

Ma, a scorrere l'elenco dei provvedimenti di competenza del Mit, non è questo il solo decreto finito nel congelatore. Un caso molto rilevante riguarda l'articolo 77 e il nuovo albo Anac per i commissari di gara esterni. E' un'altra delle novità chiave del Codice: per limitare gli episodi di corruzione, gli esperti che compongono le commissioni dovranno avere il timbro dell'Autorità, accedendo a un elenco e sottoponendosi a una vigilanza specifica. Nonostante l'importanza della novità, però, non sembra esserci fretta nell'introdurla. Il decreto Mit che dovrà fissare le tariffe di iscrizione all'albo e i compensi per i commissari è fermo. Senza la sua pubblicazione, l'Anac non potrà emanare il regolamento che attiva materialmente il nuovo albo. Un altro esempio è quello del Dm sui livelli di progettazione, fondamentale per completare la riforma dal lato dei servizi di ingegneria e architettura. La bozza, dopo essere uscita dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, si trascina ormai da mesi. Soprattutto, hanno pesato questioni come la creazione di un livello di progettazione semplificato per le manutenzioni (sulla quale servirà un nuovo decreto) e la necessità di trovare una formula rapida per l'accesso ai concorsi. E c'è anche il Dm sul direttore dei lavori e sul direttore dell'esecuzione: scritto in una prima bozza dall'Anac, è stato stoppato dal Consiglio di Stato. O c'è il decreto che dovrà definire il fondo progettazione del Mit. Il nuovo plafond, considerato da tutti strategico, sarà finanziato tramite il Dpcm investimenti, ma non si conoscono ancora le sue modalità di funzionamento.

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