Salini: «Negli Usa il 30% dei ricavi. È diventato il nostro primo mercato»
I grandi progetti infrastrutturali di Donald Trump per ora sono sogni, tutti da trasformare in leggi e stanziamenti. Ma per
In America Salini, per centrare questo traguardo e guardare oltre, ha deciso di cambiare passo: non più solo singoli appalti ma - grazie al trampolino della sua neo-controllata americana, la storica azienda delle costruzioni
Salini è anche reduce da un’altra esperienza inedita: il primo tour americano sotto le bandiere di Lane proprio per alzarne il profilo, un «rebranding» che presenti il suo ruolo di leader in 50 paesi e la qualità delle sue opere sia al pubblico che nella comunità finanziaria. Il tour ha fatto tappa tra Washington e New York per celebrare con concerti il 150enario di Arturo Toscanini, leggendario direttore d'orchestra che ebbe grande fortuna negli Stati Uniti. «È il primo importante tour non legato a un progetto, per far vedere il nostro impegno anche nella cultura, nella comunità - spiega il chief executive - E al contempo abbiamo avuto incontri con investitori istituzionali per farci meglio conoscere».
Lane, nel nuovo disegno dei progetti-sogno, è un tassello cruciale con i suoi 1,35 miliardi di fatturato annuale e il ruolo di punta nelle P3, le Public Private Partnership al centro del rinnovamento infrastrutturale e di recente protagoniste di progetti-record, quali un contratto da 1,5 miliardi per l'autostrada 495 nei pressi di Washington e da 2,3 miliardi per la I-4 Ultimate in Florida. «Lane ha cinquemila dipendenti, attività in 28 stati, 45 impianti ed è già il principale produttore di asfalto nazionale» riassume Salini. «Ora il salto deve essere verso le grandi infrastrutture: entro il 2019 abbiamo previsto una crescita del cento per cento, senza neppur tener contro di eventuali piani di Trump sulle infrastrutture. Il Presidente le ha riportate al centro dell'attenzione, ma le necessità sono reali. La Casa Bianca ha promesso forse oltre mille miliardi per ponti, strade, treni, aeroporti, reti elettriche o idriche. «È un problema da mille miliardi?» si chiede Salini. «Forse da settemila. Ma si può cominciare. E il vantaggio è che se in Europa spesso i costruttori sono penalizzati, qui non accade. Qui si discute come fare, non se».
Salini conta anzitutto sul fatto che «ora abbiamo dimensioni da primo player nelle grandi opere, nel segmento del cosiddetto Heavy civil engineering. I concorrenti sono colossi statunitensi quali Fluor e Bechtel, ma sono conglomerate con molteplici attività. Noi invece siamo leader mondiali già da quattro anni in comparti quali acqua e trasporti». La nuova strategia, stando a Salini, prevede di affrontare l'emergenza di un parco infrastrutture troppo vecchio in America: «Lo si è visto in California, dove di recente è scattata l’evacuazione di massa per i danni scoperti proprio ad un diga, quella di Oroville». In tutto si contano 14.000 dighe a rischio nel Paese su un totale di 200.000. «Faremo proposte concrete su progetti-sogno e forse il primo sarà proprio sulle dighe - incalza - Proposte che includano sia ingegneria che finanza. Possiamo dar vita a coalizioni di imprese, assicurazioni, proprietari di infrastrutture e comunità locali».
Nè Salini, fedele alla nuova ambizione, si ferma alla dighe: «Può esserci un piano acque, per affrontare la siccità in California. E un piano per l’alta velocità, ancora assente, come per gli aeroporti. Per una rete elettrica, oggi inadeguata. L’idea è di offrire intere soluzioni, servizi, e non solo progetti di costruzione». Per il nuovo grande salto americano Salini è convinta di essere facilitata dalla sua esperienza di progetti ovunque nel mondo, dall'Africa all'America Latina, oltre che dai sogni. «Siamo abituati - dice - a lavorare in ogni contesto ambientale ed anche in luoghi molto difficili».